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The Following: elogio funebre di un ex follower

È dunque giunta al termine l’epopea di Ryan Hardy, più o meno.

41KOLCsA5mL._SX940_Chi sta scrivendo deve fare un’importante premessa: NON sono un fan di The Following, non apprezzo praticamente nulla di quello che la serie ha avuto da offrire ai propri fan nei suoi tre anni di messa in onda, ammesso che abbia offerto qualcosa, ma cercherò di essere il più oggettivo e razionale possibile in modo da rendere ben chiari quali siano i miei “problemi” con questa serie, non solo per coloro che saranno d’accordo col mio punto di vista ma anche per chi ha apprezzato il cammino di Hardy e soci.

The Following ha beneficiato sin da subito di vari fattori, a partire da un lavoro di promozione esemplare col suo canale, FOX, che ha rotto gli schermi pre-esistenti, autorizzando ufficialmente la visione non in diretta ma tramite DVR dello show, una strategia decisamente inusuale. Questo, unito ai nomi dietro e davanti la cinepresa, tra cui certamente spiccano nomi di richiamo quali il creatore Kevin Williamson (Scream 1, 2, 4, Dawson’s Creek, The Vampire Diaries) e l’attore protagonista Kevin Bacon, insieme a una trama sulla carta intrigante e colma di possibilità, ha assicurato alla serie un’attenzione iniziale non indifferente. A stimolare potenziali spettatori è anche una colonna sonora di tutto rispetto tra cui troviamo la cover Sweet Dream di Marylin Manson nel pilot e Change (In The House Of Flies) dei Deftones, oltre alla cover “Angel” dei Sepultura nell’episodio Chapter Two, e così via.

La trama, appena menzionata, è stata soggetta a evidenti cambiamenti e rattoppamenti in corso d’opera, è difficile non notarlo. Seguiranno, come prevedibile, notevoli SPOILER su tutta la serie, quindi se non l’avete seguita e avete intenzione di farlo (non metterò in discussione i vostri discutibili gusti…ops.) vi sconsiglio di continuare la lettura.

Il cammino di The Following e del suo protagonista, il tormentato ex agente FBI Ryan Hardy, inizia con l’evasione dal carcere di Joe Carroll, ex professore di letteratura inglese, serial killer già catturato in passato da Ryan e al momento in attesa di essere condannato a morte. A contraddistinguere Carroll da un’infinità di altri serial killer è il movente che l’ha portato a uccidere e eviscerare 14 studentesse: “creare arte” come il suo idolo supremo, Edgar Allan Poe. Nel suo periodo in prigione, Joe riesce a costruirsi un suo culto con una nutrita schiera di seguaci, definiti “followers”. Una volta evaso, Carroll riesce a uccidere, con l’aiuto di alcuni suoi follower, la donna che ha testimoniato contro di lui e quindi principale responsabile della sua condanna insieme allo stesso Ryan, che poi lo ricattura col benestare di Joe. I follower, però, rapiscono suo figlio Joey per volere dello stesso Carroll e poco tempo dopo questi riesce a evadere nuovamente. Da qui ricomincia la “battaglia” tra Ryan e Joe, contraddistinti da un particolare rapporto che verrà sviscerato nelle seguenti puntate e stagioni.

joe-ryan-the-followingQueste le basi della serie, che poi si sviluppa in modo discutibile, per dirla in modo diplomatico. Se infatti la storia inizia a cambiare sensibilmente corso col passare delle stagioni, col totale accantonamento del culto di Edgar Allan Poe, sin da subito si nota invece una certa predisposizione della serie a notevoli plot holes e soluzioni di dubbia credibilità, oltre che a una non indifferente stupidità di buona parte dei personaggi minori e, in determinati frangenti, persino di quelli principali.

Abbiamo infatti un FBI terribilmente inefficiente, con agenti che sono nient’altro che carne da macello e “strategie” prive di senso, col risultato che l’unico che sembra utilizzare il cervello è, ovviamente, Hardy. Ma se Atene piange, Sparta non ride. Anche la folta schiera di follower, infatti, non si distingue particolarmente per acume e non aiuta che la serie non si premuri affatto di far capire quale sia il grande fascino che consente a Joe Carroll di esercitare una devozione nei suoi follower tale da spingerli a fare tutto ciò che lui desidera e portando, di fatto, la maggior parte di questi alla morte. L’elemento “follower”, poi, rappresenta un punto di forza per la serie solo per breve tempo, in quanto difficilmente si riesce a ritagliare loro un ruolo interessante o anche solo dei personaggi decentemente definiti. Uno degli elementi chiave della serie, quel “trust no one” causato dalla possibilità di chiunque di essere un eventuale follower di Carroll, diventa ridondante e monotono molto in fretta. La serie soffre, inoltre, di ulteriori difetti quale un impressionante ripetitività dello schema narrativo che si nota di stagione in stagione sempre di più e nel quale l’unico elemento a emergere, più o meno, è il particolare rapporto tra i due personaggi principali della serie: Ryan e Joe.

the-followingVere e proprie nemesi l’uno dell’altro ma non solo. Seppur Hardy si rifiuti di ammetterlo apertamente fino alla fine, mentre Joe fa pressione affinché lui accetti questo aspetto di sè, c’è una certa “attrazione” tra i due, l’uno non può esistere senza l’altro. Malgrado Ryan detesti l’idea di tornare sul campo, la sua vita prima dell’evasione di Joe è vuota, colma di tristezza, solitudine e alcool, mentre il ritorno in gioco di Carroll e, di conseguenza il suo, lo fa tornare in vita. Come afferma più volte lo stesso Joe, lui conosce Ryan Hardy meglio di chiunque altro, compreso lui stesso.

Se tutto il mondo vede Hardy come un eroico agente che ha assicurato alla giustizia un orribile criminale quale Joe, egli sa invece che Ryan è tutt’altro che un grande esempio di virtù, essendo presente in lui un certo lato oscuro che tutto il resto del mondo ignora. Infatti, pur essendo effettivamente un nobile uomo disposto in più occasioni a sacrificare se stesso per il bene degli altri, non è esente da omicidi anche non giustificabili, riconducibili non a un atto di autodifesa o come unico mezzo per impedire ulteriori vittime, ma per un “bisogno” di uccidere che, in un certo qual senso, lo accosta a Joe.

Emblematico è, ad esempio, l’omicidio che perpetra da adolescente ai danni dell’assassino di suo padre, il quale difficilmente avrebbe causato ulteriori vittime ma ucciso proprio per necessità da Ryan. Portando a galla simili questioni, Joe riesce effettivamente a entrare nella testa di Hardy e ad esercitare una sorta di fascino nei suoi confronti, dando vita ad un vero e proprio rapporto di amore e odio tra i due. L’unica differenza è che Joe non si fa problemi ad ammetterlo e che, anzi, conferisce grande importanza a tale rapporto, mentre esso rappresenta uno dei più oscuri segreti di Ryan, che non si permette di condividere con nessuno. Un tipo di rapporto di certo non originalissimo ma che esercita il suo indubbio fascino, anche grazie al pregio di non presentare un protagonista del tutto buono ma mischiando bianco e nero, dando vita a sfaccettature decisamente più intriganti, per quanto siano spesso messe in mostra in modo grossolano, senza dimenticare l’influenza che ha l’ottima interpretazione di Joe Carroll grazie a un esemplare James Purefoy, un altro dei pochi pregi di questa serie, malgrado una scrittura e gestione abbastanza zoppicante del personaggio.

Joecaroll1Come saprete se siete arrivati fino in fondo a questo cammino, l’antagonista per eccellenza della serie è passato a miglior vita, malgrado non siano mancate le teorie complottistiche in merito, nella puntata Evermore tramite iniezione letale. Nei cinque episodi seguenti, malgrado sue sporadiche apparizioni sotto forma di visioni di Ryan, a ricoprire il ruolo di antagonisti sono stati quindi dei Mark Grey e Theo Noble di spessore decisamente inferiore al loro predecessore. Una volta salutato anche Mark Grey, nel series finale The Reckoning ci è rimasto quindi un Theo incapace di prendere le redini e tenere alto l’interesse, nonostante anche l’ingresso in scena di una misteriosa società di killer facoltosi rappresentata da una donna chiamata Eliza, la quale sarebbe chiaramente dovuta essere l’antagonista della quarta stagione di The Following che non vedrà mai la luce.

Nel finale abbiamo un apparente morte di Theo (Carroll nel primo season finale The Final Chapter ci ha insegnato che se non vediamo il cadavere, sarebbe saggio non crederci) seguita dalla sparizione di Ryan che diventa “ufficialmente” morto ed è quindi in grado di fare giustizia nel modo che ritiene più appropriato senza dover sottostare ad alcuna regola, lui che era noto per violarle spesso. La scena, che non vediamo ma che viene ampiamente lasciata intuire agli spettatori, in cui Hardy chiede informazioni sulla società e poi uccide, senza particolari ragioni, la spia dell’FBI (una delle tante nel corso della serie) dice molto più di quanto possa sembrare: Joe Carroll ha vinto. Ryan Hardy è diventato quel giustiziere che uccide non solo per far giustizia ma anche perché è ciò che lui desidera. In un certo senso, Ryan sente il bisogno di uccidere proprio come lo sentiva Carroll, anche se si tratta di due situazioni differenti tra loro. Una nota di colore per concludere però un series finale, e una serie in generale, che definire traballante sarebbe un gran complimento, e il “non finale”, per quanto possa essere preso anche come tale, è l’ultimo dei suoi problemi. I difetti sono sotto gli occhi di tutti e personalmente non raccomanderei il recupero di questa serie a nessuno a meno di non voler deliberatamente vedere un prodotto mediocre con alcune vette trash non mali.

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Blogger su itasa dall'estate del 2015, sito scoperto grazie alle mie prime serie TV. Solo negli ultimi anni mi sono totalmente convertito alle serie subbate, cercando costantemente di far fare altrettanto ad amici, conoscenti, e magari anche semi-sconosciuti. A livello televisivo il mio non plus ultra è Breaking Bad. Poco originale, dite? Come si suol dire: "if it ain't broke, don't fix it".

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