Per la prima volta in Black Mirror, invece che nel presente o nel futuro, facciamo un tuffo nel passato!
L’articolo contiene spoiler!
Non riesco neanche a immaginarla, l’eternità.
Con l’eccezione di White Bear, che però ha un inizio più caotico e confusionario, nel suo presentarci la tecnologia che farà da perno alla storia di un episodio, di solito Black Mirror ci lancia più o meno immediatamente in un mondo nuovo, per poi proseguire con il mostrarci gli effetti di questa tecnologia nella società distopica in questione. In San Junipero, però, lo sceneggiatore Charlie Brooker inizialmente ci fa scoprire le protagoniste, lasciando solo qualche indizio su quello che sta realmente succedendo. In questo modo noi abbiamo il tempo di conoscere Kelly e Yorkie, di scoprire i loro desideri e i loro obiettivi senza essere influenzati dalla realtà dei fatti. E così veniamo subito messi di fronte a un forte contrasto fra le due.
Piano piano, però, i dialoghi ci portano a comprendere che quella che all’apparenza sembrava solamente un’avventura di due giovani donne, si rivela essere qualcosa di molto più profondo: siamo in realtà in un futuro più o meno prossimo in cui sia la coscienza dei vivi che quella dei morti viene trasferita in un ambiente simulato al computer, in cui queste persone possono essere turisti (nel primo caso) o dei veri e propri abitanti (nel secondo), vivendo con nostalgia in simulazioni di epoche passate. Il progresso tecnologico ha portato l’uomo a creare l’eternità, ad avere la possibilità di avere il completo controllo del proprio futuro, a sconfiggere l’unica certezza della sua esistenza: la morte non è più morte. È così che molti aspetti della vita perdono completamente di significato. Che senso ha restare in un corpo vecchio e debole quando la tua coscienza può essere trasferita nel tuo corpo più giovane? Ha senso parlare di vita piena di rimpianti se la vita stessa ha la possibilità di continuare senza fine? Un’innovazione come questa può avere conseguenze positive così come negative, e questo è perfettamente dimostrato dal già menzionato contrasto fra le due protagoniste. Yorkie, a causa di un incidente d’auto, nel mondo reale si è ritrovata in stato vegetativo all’età di 21 anni, e ora, 40 anni dopo, grazie a questa tecnologia può trasferirsi a San Junipero e bramare la morte per potersi godere l’eternità come compenso per tutti gli anni che non ha potuto vivere. Dall’altra parte, però, grazie a Kelly possiamo vedere San Junipero da una prospettiva opposta. Lei considera la città come un mero passatempo per divertirsi prima di morire, come un cimitero in cui nulla ha importanza. E grazie a uno straziante monologo recitato magnificamente da Gugu Mbatha-Raw scopriamo il motivo: i suoi amati non sono presenti. Puro e semplice. La morte della figlia a un’età relativamente giovane è avvenuta prima dell’arrivo di questa tecnologia che l’avrebbe di fatto impedita e, di conseguenza, il marito con cui Kelly aveva passato 49 anni della sua vita non ha voluto avere niente a che fare con l’eternità al momento della sua morte. E questo si riversa nell’odio e nel disprezzo da parte di Kelly del concetto stesso di San Junipero, perché scopriamo che non è neanche presente in lei la speranza religiosa che i suoi cari, morendo, possano essere passati a miglior vita e che lei, evitando l’eternità, possa raggiungerli. E in questo modo possiamo capire che una tecnologia come questa non fa solo perdere significato ad alcuni aspetti della vita, ma in alcuni casi è la stessa vita dopo la morte a perdere importanza: che senso ha l’eternità se non la puoi passare con chi ami?
Poi però, sulle note di “Heaven Is a Place on Earth”, incappiamo in quello che è probabilmente il più inaspettato colpo di scena della stagione: un episodio di Black Mirror con un lieto fine! Nei suoi ultimi istanti di vita, Kelly cambia idea. Il contrasto fra le due protagoniste viene rotto, perché in lei prevale quello che è probabilmente il comportamento innato più forte in un essere vivente: l’istinto di sopravvivenza. Scegliere l’opzione più superficiale a discapito di una morale espressa in precedenza era già avvenuto nello splendido finale di Fifteen Million Merits, anche se in quel caso si trattava di una dimostrazione molto più cinica ed edonistica. La scelta di Kelly in San Junipero invece è molto più sentimentale, dettata dal fatto che la protagonista capisce che con il tempo avrebbe potuto sopportare l’assenza della sua famiglia, e nel frattempo avrebbe potuto essere felice creandone una nuova con Yorkie. Si dice che il tempo curi tutte le ferite, e allora è lecito pensare che la massima espressione di tempo possibile, l’eternità, possa curare la massima espressione di ferita, la perdita dei propri cari.
♫ In this world we’re just beginning
To understand the miracle of living
Baby I was afraid before
But I’m not afraid anymore ♫
Ma l’episodio non è finito. Nei titoli di coda, mentre le note di “Heaven Is a Place on Earth” continuano, c’è tempo per un’ultima immagine, ci viene mostrato come risulta San Junipero nella realtà: delle braccia meccaniche in una sorta di sala server che gestiscono migliaia e migliaia di piccolissimi device contenenti ognuno una coscienza umana che viene identificata da un semplice codice. È incredibile come possa essere potente un’immagine così breve. Nonostante il cambiamento portato da questa tecnologia rimanga concettualmente e generalmente positivo, il semplice vedere come essa sia nella realtà crea uno sconforto non indifferente. Un saggio uomo di nome Craig Ferguson qualche anno fa ha fatto notare come dopo la nostra morte, la nostra intera vita sarà rappresentata solamente da un misero trattino, a cavallo fra la data in cui è iniziata e quella in cui si è conclusa; il finale di questo episodio è un’anticipazione di qualcosa di ugualmente demoralizzante: la morte sarà sconfitta, ma questo vuol dire che nel mondo reale la vita di tutti noi, la nostra intera e infinita esistenza, sarà rinchiusa in un piccolo cerchio e rappresentata solo da un codice. Io sono dell’idea che ne valga comunque la pena, ma, se arriverà il momento, preferirei non sapere cosa succede in quella sala.
Luigi Dalena
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