Prendete una serie ospedaliera, aggiungeteci le atmosfere, le tematiche e i personaggi surreali di Twin Peaks, e fate dirigere il tutto da quel genio malato di Lars von Trier. Ecco a voi Riget – The Kingdom. Siete stati avvertiti, con delle simili premesse non potete attendervi una serie convenzionale, né tanto meno un’opera di facile apprezzamento.
Per comprendere meglio di cosa andremo a parlare è bene avere a mente chi è il suo creatore e regista: Lars von Trier. Fondatore del movimento cinematografico “Dogma”, vincitore della Palma d’oro a Cannes (per Dancer in the Dark), è uno degli autori viventi più controversi al mondo (basti pensare che, per scherzo, ha rilasciato dichiarazioni filo-naziste al Festival di Cannes nel 2011). Il suo stile registico è tremendamente asciutto e distaccato, in pochissimi film si è concesso di essere esteticamente più virtuoso (Antichrist e Melancholia in particolare) perché in tutti gli altri è la camera a mano a fare da padrone. Movimenti rapidi, instabili, voyeuristici per descrivere piccole o grandi tragedie, condite spesso con elementi surreali e grotteschi. La sua visione della vita è a dir poco pessimistica, e per questo tutti i suoi personaggi sono destinati a soccombere in un modo o nell’altro. Non c’è speranza, non c’è nessuna luce in fondo al tunnel.
The Kingdom (Riget nella sua versione originale) rappresenta esattamente questa poetica in forma televisiva. Uscita nel 1994 e costituita da otto episodi divisi in due stagioni, doveva in origine essere composta da una terza e ultima stagione, ma la morte dell’attore protagonista (Ernst-Hugo Järegård) ha fatto sì che la produzione fosse bloccata, nonostante le sceneggiature fossero già state completate.
La trama ruota attorno alla vita lavorativa di alcuni dipendenti del “Rigshospitalet”, uno dei principali ospedali danesi (soprannominato “Il Regno”). Seguiremo così le vicende di Helmer (Ernst-Hugo Järegård), lo spietato primario svedese, di Moesgaard (Holger Juul Hansen), il superficiale direttore ospedaliero, di Hook (Søren Pilmark), un medico di ruolo ribelle, e dell’autista di ambulanze Bulder (Jens Okking). La quotidianità di tutti loro verrà spezzata quando l’anziana signora Drusse (Kirsten Rolffes), madre di Bulder, entrerà nell’ascensore dell’ospedale e sentirà il pianto di una bambina, nonostante nessun altro presente riesca a sentirlo. La donna intuisce così che si tratta del pianto di un fantasma. Come ci viene spiegato dall’incipit di ogni episodio, è giunto finalmente il momento in cui la realtà quotidiana si scontri con quella ultraterrena.
Fin dall’episodio pilota vengono generate molte domande: cos’ha scatenato l’interazione tra il mondo dei morti e quello dei viventi? Chi è la bambina-fantasma? In che modo gli altri personaggi verranno influenzati da questa scoperta? Ebbene, sappiate fin da subito che le domande fondamentali avranno risposta, ma più si andrà avanti più ne nasceranno di nuove senza soluzione (almeno fin quando non potremo leggere le sceneggiature degli episodi rimanenti). Se siete amanti della chiarezza, della completezza e detestate quando non è presente una quadratura del cerchio, beh… non è esattamente la serie fatta per voi. C’è da dire però che l’apertura dei finali è stata voluta dallo stesso von Trier: è quindi una vera e propria decisione autoriale.
Nonostante questo punto, che sicuramente dividerà gli spettatori, non posso che consigliare la serie. Non è forse imprescindibile, ma è di sicuro un prodotto unico e irripetibile. Non ritroverete in nessun altro serial lo stesso stile di narrazione, montaggio e soprattutto registico di von Trier: i suoi personaggi, uno più odioso e testardo dell’altro, sono indimenticabili tanto quanto lo è il clima generale. L’atmosfera presente non è solo malsana, è proprio irrespirabile; la fotografia usa intensivamente il colore seppia, a tal punto che la pelle dei protagonisti avrà quasi lo stesso colore delle pareti e dei pavimenti sporchi. Come se non bastasse sono predominanti i toni scuri e le location claustrofobiche, accentuate dall’utilizzo della steadycam che aleggia, scruta e pedina i personaggi come fosse un fantasma. Le tematiche sono coerenti con lo stile: si parla della lotta tra il bene e il male, di morte, aborti, eutanasia, corruzione, ricatto, manipolazioni mentali, rimorsi, amori distruttivi, malattie mentali, furti, odio razziale… il classico calderone demoniaco del buon Lars.
All’inizio di questo articolo avevo affermato che The Kingdom fosse la versione ospedaliera di Twin Peaks, e immagino vi starete chiedendo il perché. Di certo non basta la presenza tangibile dell’aldilà per far nascere paragoni con il capolavoro di David Lynch. In realtà l’ispirazione è fortissima, ed è meglio comprensibile sapendo che la prima stagione è uscita nel 1994 (poco tempo dopo lo scoppio del fenomeno Twin Peaks). Se vogliamo, è quasi una sua rivisitazione in chiave horror, con gli stilemi del miglior cinema scandinavo. Innanzitutto, l’evento centrale della narrazione è in entrambi casi un giallo che condurrà a ripercussioni metafisiche: nella serie di Lynch riguardante l’omicidio di una ragazza, in questa la morte di una bambina. In secondo luogo, i personaggi secondari sono surreali nel vero senso della parola, nonostante l’alone creato sia più allegro e leggero nel caso di Lynch, e molto più pessimista, caustico e disincantato in quello di Trier (nell’opera del regista statunitense, l’agente Dale Cooper era pur sempre un’ancora di salvezza, un personaggio che incarnava la speranza e l’umanità stessa; il protagonista di The Kingdom è invece un primario sociopatico, immorale e vendicativo…). Se nel primo caso è normale ridere, o almeno sorridere, per l’assurdità delle situazioni, nel secondo non c’è spazio per la leggerezza. Ogni evento e situazione sono carichi di tensione, rabbia e incomprensione. Bisogna poi citare la presenza in entrambi di sogni, visioni, personaggi onniscienti e ultraterreni, e persino di giganti. Non vi sembra abbastanza? Vi do un’ultima informazione: il protagonista di Riget, nel primo episodio, entra a far parte di un privilegiato e mistico gruppo chiamato “La Loggia” che comanda l’intero apparato sanitario (metaforicamente, il mondo comune). Non credo sia necessario aggiungere altro a questo punto.
Questo è The Kingdom. Lo avete già visto? Pensate di recuperarlo? Fatemelo sapere scrivendo un commento! Vi do un ultimo consiglio: se volete guardarlo, reperite la versione danese (presente anche nei DVD italiani) perché quella trasmessa in Italia è stata rimontata e tagliata di decine di minuti. Come al solito insomma… noi siamo per la versione originale, sempre!
Alessandro
Ultimi post di Alessandro (vedi tutti)
- Best of 2018: Top 10 migliori film della periferia americana - 7 Gennaio 2019
- The Usual Subspects: Febbraio 2018 - 12 Febbraio 2018
- The Usual Subspects: Gennaio 2018 - 24 Gennaio 2018