Tra i tantissimi aspetti apprezzabili di Westworld, nuova acclamata serie HBO creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, ci sono i bellissimi titoli d’apertura. Art of the Title, sito web che si occupa di omaggiare e analizzare i titoli di testa di film, serie TV, videogiochi e altro, ha intervistato il regista Patrick Clair. Italiansubs Blog ha tradotto l’intervista per voi!
“Arriva l’alba su un paesaggio sconosciuto. Ma quello non è il sole e questo non è lo splendore naturale del West americano. È la gabbia toracica di un cavallo – non cresciuta, ma costruita come un giocattolo di un parco divertimenti. Strumenti robotici danzano con precisione, accordando corde di un pianoforte così come tendini, connettendo tasto con martello, muscolo con osso. Il cavallo inizia a galoppare, con dei movimenti alla Muybridge, guadagna velocità mentre le macchine continuano il loro lavoro. Un pallido cavaliere sale in sella, mezza formata e a mezzo cane, una rivoltella a sei colpi nella sua presa. Sguardo fisso, il piano suona, e i due amanti si abbracciano, esposti e non completi. Il piano continua a suonare, ora senza il suo suonatore – per lui è tempo di ritornare al tavolo da disegno.”
Così come molti dei migliori titoli di testa, quello di Westworld è stato affidato allo studio Elastic, che tra il suo immenso portfolio può vantare le sigle di Game of Thrones, True Detective, Daredevil, The Leftovers, Deadwood, Carnivàle, The Night Manager, Halt and Catch Fire, The Americans, The Man in the High Castle, Flesh and Bone, Masters of Sex, Luke Cage e molte altre.
Per questa serie, Elastic ha raggruppato i suoi migliori artisti, capeggiati da Patrick Clair, per poter realizzare la sigla della serie più attesa e ambiziosa degli ultimi anni. Di seguito potete trovare le personalità principali che hanno aiutato Clair in questo progetto.
Inoltre, HBO e i creatori della serie hanno scelto come compositore musicale Ramin Djawadi (pluripremiato compositore di Game of Thrones che aveva già lavorato con Nolan in Person of Interest), che oltre alla colonna sonora ha composto anche il tema della sigla.
Ed ecco a voi la traduzione dell’intervista fatta a Patrick Clair:
Dunque, parliamo di Westworld. Cosa ha significato per te questo progetto?
Patrick: Penso che ciò che è davvero speciale di questa serie è che Jonathan Nolan, Lisa Joy e J.J. Abrams sono stati estremamente ambiziosi. Hanno costruito una storia che è realmente epica – e non uso questo termine solo perché di moda – è ampia in termini dei set, del periodo storico, l’estetica, e i temi umani al centro della storia. Funziona, è emozionante, è avvincente, e ciò per me è qualcosa di molto speciale. Ci siamo sentiti molto fortunati a prenderne parte.
Devo proprio lodare HBO per fare cose del genere. Sono dei progetti enormi e rischiosi da intraprendere, dal punto di vista di un network. Noi abbiamo la possibilità di svolgere questo mestiere perché posti come HBO prendono questi rischi. Quindi spero proprio che il pubblico li premi con un fantastico responso perché ciò incoraggerà più show di questa natura. Più grandiosa fantascienza, più grandiosa narrativa di genere che scava nel nocciolo di cosa significa essere umani e pone domande molto scomode. È questo quello a cui mi piace lavorare e quello che mi piace guardare.
Abbiamo parlato con te in precedenza dell’amore verso la fantascienza classica. Conoscevi già l’originale Westworld e i lavori di Michael Crichton?
Patrick: Certo! È qualcosa di estremamente vicino al mio cuore. Sono stato molto fortunato a trovarmi all’inizio dei miei anni da teenager quando Jurassic Park è uscito al cinema. È stata una vera rivelazione per me, in termini di narrazione, in termini di temi tecnologici e fantascienza che raccontava una storia molto umana, avvincente, stimolante e con cui ci si può relazionare. Sono un grande fan dei film di Steven Spielberg naturalmente. Credo che col tempo siano diventati più interessanti e complessi, e penso che Jurassic Park sia un grande esempio del suo cinema appartenente a un genere caro alle famiglie.
Ma vedere Jurassic Park mi ha immediatamente portato a leggere il romanzo di Jurassic Park, che è molto espansivo, dettagliato e tecnico. Ha davvero dato fuoco alla mia immaginazione a quell’età. Dopo quello, sono corso a leggere una pila di libri di Crichton e questi mi hanno praticamente reso consapevole di ciò che avrei voluto creativamente fare nella mia vita, mi hanno messo al corrente sui tipi di storia che trovo veramente stimolanti. Ho iniziato a lavorare nel campo dei documentari probabilmente dieci anni fa, ed è tutto grazie a tecnologia, etica e cose che ho iniziato a coltivare leggendo i lavori di Michael Crichton.
È stato qualche anno dopo che ho finalmente visto il film Westworld, che non è molto adatto a bambini di dieci anni. Quello che mi ha colpito è che mi aspettavo una semplice storia su dei robot cowboy. Mi aspettavo che fosse qualcosa con i cowboy che impazziscono e con molta eccitazione e violenza – cosa che è – ma c’è anche un livello più profondo, ovvero l’esplorazione del vizio e del modo in cui il vizio ci domina. Come il lato più oscuro dell’umanità sia la motivazione dietro a così tante decisioni che prendiamo, specialmente le decisioni negative. Quello che ho trovato stimolante del punto di vista di Jona, Lisa e J.J. è che si sono seriamente immersi in questa parte di storia. Tutto è iniziato quando ho letto un’intervista di Jona e Lisa in uno dei siti di rumor televisivi sul come la serie sarebbe stata il loro punto di vista di Westworld. Ho pensato che fosse affascinante ed elettrizzante. Avevamo appena finito True Detective e ci stavamo guardando intorno per cosa sarebbe potuto essere stimolante da fare successivamente, e nell’esatto momento in cui l’ho letta ho mandato un’email a Jennifer Sofio Hall [Managing Partner di Elastic] che diceva: “Jenn, devi aiutarmi a dare la caccia a questo. Voglio disperatamente lavorare su questa serie.” E devo ammettere che lei ha fatto esattamente come avevo chiesto e due anni dopo eccoci qua che ne parliamo.
Come è stato il primo incontro con i produttori riguardo all’intro? Avevano un’idea per i titoli d’apertura?
Patrick: Quello che è stato veramente bello di Westworld è che Jona e il team si sono davvero presi il loro tempo per lavorare con noi. Penso di aver passato più tempo con loro che con tutti gli altri show a cui ho lavorato. Ed è stato molto stimolante per me perché sono un grande fan della scrittura di Jona e dei progetti che ha realizzato con suo fratello [Christopher Nolan]. Il suo lavoro in televisione è lo stesso: si immerge nella tecnologia, usa il cambiamento della tecnologia per gettarsi in profondi quesiti etici sul come viviamo; e sono anche semplicemente delle storie belle e umane con personaggi interessanti. Avere tempo per discutere con loro è stato emozionante.
È iniziato tutto con una lavagna completamente vuota. Loro hanno condiviso un sacco di materiale delle serie – e qui erano presenti molte compagnie diverse – e abbiamo speso molto tempo, circa cinque settimane, esplorando idee. Abbiamo costruito questa immensa e lunga pedana e io ho estratto alcune delle mie citazioni preferite. Chiunque abbia visto il video di All is Full of Love diretto da Chris Cunningham…
Stavo proprio per menzionarlo…
Patrick: Sono felice di essere stato un po’ svergognato a riguardo, perché adoro Chris Cunningham e mi pareva il posto perfetto per giocare su questo. Spero che nessuno pensi che sia poco originale, ma a me è parsa l’occasione per esorcizzare questa mia profonda passione. E mi è sembrato il luogo perfetto per farlo perché aveva a che fare con tutti i giusti temi e la giusta estetica.
Detto questo, ci sono molte cose nel design della serie che ricordano il design di The Dark Knight e film come quello. Che a loro volta si rifanno a maestri come Kubrick. Ho un’ossessione per i cerchi, i quadrati e la simmetria e l’equilibrio, e come prendere situazioni della vita reale e passare a cose che diventano grafiche nella loro semplicità. E tutto ciò fa parte della sigla.
Abbiamo costruito questa estetica molto forte per una sequenza e siamo tornati da Jona e il team per presentargliela. È lì che si è fatta interessante.
Jona possiede questa brillante mente da scrittore e ci ha scavato all’interno cominciando a tirar fuori alcune idee che erano più emozionalmente impegnative di quelle che avrei proposto io. È da questo momento che ci è parso di essere stati sguinzagliati, in un modo realistico ma anche molto collaborativo. È qui che abbiamo iniziato a scavare nell’idea dell’Attrazione che diventa ridonante, che viene in qualche modo uccisa alla fine. Ci è voluto molto tempo per farci venire l’idea di lui che rientra nella vasca con il latte, ma quest’idea che ci fosse un personaggio che abbiamo reso ridonante è stata apprezzata.
L’idea di approfondire su questi amanti robot – robot che sono stati creati con lo scopo del piacere e vizio umano, queste cose oscure degli uomini – l’idea di loro che se la squagliano per il loro personale appuntamento romantico e sessuale era piuttosto forte e interessante. Ovviamente è qui la connessione con All is Full of Love.
Poi abbiamo giocato con la simbologia del cavallo che galoppa attraverso un paesaggio Western, ma realizzato in modo che fosse questa grottesca creatura scheletrica che veniva assemblata dai robot. Tutte queste cose ci sono venute in mente mentre eravamo seduti in questa stanza vicino alla Warner Bros. e sputavamo fuori idee di continuo. È stato un processo che ha avuto abbastanza tempo per respirare. Abbiamo iniziato con loro a febbraio e abbiamo consegnato pochi giorni prima che andasse in onda [a ottobre]. È stato molto soddisfacente e stimolante.
Puoi accompagnarci attraverso la simbologia? Ci sono cose prese dalla fantascienza, ma anche tante metafore Western. Penso in particolare all’occhio e all’Uomo vitruviano. Che significato hanno nella sequenza?
Patrick: Il mio pensiero iniziale, prima che vedessi qualsiasi materiale significativo della serie, era che l’avremmo visto e avremmo trovato qualche modo poetico di ripresentarlo. Ciò che è stato frustrante ma anche una bella sfida è che quello che viene mostrato nella serie è bellissimo, splendido e poetico di per sé. Quindi questo significa che non possiamo reinterpretarlo e renderlo astratto perché è già bellissimo. Abbiamo dovuto mostrarlo in modo che avesse un’importanza più profonda.
Quindi abbiamo studiato quello che c’era nella serie – un bell’esempio sono gli occhi – abbiamo guardato qualcuno dei materiali iniziali in cui stavano costruendo l’Uomo vitruviano, poi ci siamo rintanati per ideare il modo in cui pensavamo che un occhio potesse formarsi e quindi siamo tornati. A quel punto anche la produzione aveva creato delle inquadrature di come l’occhio potesse crearsi. Ho amato quello che ho visto nella serie anche di più, e quindi siamo tornati indietro e abbiamo pensato all’idea di incorporare ciò in quello che stavamo già facendo.
Quindi c’era questo grandioso giro di feedback fra il design della narrazione e il design dei titoli d’apertura. Ciò ci ha fatto realizzare che lo show stava facendo questo incredibile lavoro nel campionamento di simbologia Western, come i cowboy, i cappelli da cowboy, le pistole, i cavalli, per poi prenderli e metterli in questo spazio grafico e fantascientifico. E noi abbiamo provato a prendere lo stesso approccio. Quali sono le più epiche e belle convenzioni Western a cui possiamo pensare per poi inserirle in una desolata, grafica e fantascientifica cornice, e da qui provare a dargli questa singolarità che deriva dalla visione di un cavallo galoppante con gabbia toracica esposta?
Hai menzionato il giro di feedback. C’è molta coerenza fra ciò che vediamo nell’intro e ciò che c’è nella serie, che è molto inusuale. In termini di produzione pratica, la serie vi ha procurare risorse 3D, fotogrammi o arredi scenici per tutte queste cose?
Patrick: L’hanno fatto. Tranne alcune notevoli eccezioni, tante cose le abbiamo costruite da zero qui, ma abbiamo preso ispirazione dal materiale della serie. Avevano il pianoforte meccanico nel loro ufficio di produzione e abbiamo speso un giorno per fare foto e video di quella cosa e del suo funzionamento. Abbiamo poi provato a ricrearlo al computer, specialmente perché sapevamo che sarebbe stato un elemento che si sarebbe ripresentato nella serie. Mi piace pensare che ci siamo andati molto vicino.
Il succo del discorso è il fatto che Jona e il suo team si sono presi il tempo di dare importanza ai titoli d’apertura. È questo che porta alle buone sigle. Se guardo a quelle fatte da noi di cui sono più orgoglioso – True Detective, Daredevil, The Man in the High Castle, The Night Manager – sono tutte situazioni in cui i creatori degli show, nonostante debbano fare i conti con montaggi di otto o dieci episodi, appuntamenti con la stampa e tutto il resto, prendono il loro tempo per telefonarci o incontrarci per parlare e lavorare. Sono dell’idea che sia questo tipo di collaborazione che porti al successo.
Be’, i risultati parlano da soli. Vorrei parlare un po’ dell’animazione. Questa è una delle tue tante collaborazioni con Raoul Marks. Puoi parlarmi un po’ della tua relazione lavorativa con lui e come si sviluppa questo processo?
Patrick: Raoul è un mio fantastico e stretto collaboratore. Abbiamo iniziato a lavorare assieme in Australia qualche anno fa e abbiamo una cooperazione che mi piace molto. Noi non siamo venuti dalle grandi città, ma da quelle piccole, ed entrambi siamo finiti a Sydney circa tre anni fa. Abbiamo iniziato a lavorare assieme quando io avevo appena ottenuto True Detective e stavamo cercando di essere all’altezza di questo incarico che abbiamo trovato stimolante ma in ugual modo terrificante.
Quello che Raoul è capace di offrire in quanto artista della computer grafica è che capisce gli intenti di un’inquadratura e il ritmo della narrazione. Questo è molto stimolante per un regista come me, avere la possibilità di lavorare con qualcuno che possiede una profonda e pratica conoscenza del lato tecnico di come realizzare le cose, ma che capisce anche l’impatto emotivo che queste cose devono avere. A volte è il dettaglio più piccolo che aiuta a raccontare una storia in un modo che può essere potente emozionalmente così come valido esteticamente.
Volevo chiederti a riguardo di un’altra collaborazione: il compositore Ramin Djawadi, che ha anche composto l’intro di Game of Thrones di Elastic. Sei riuscito a lavorare con lui e la sua musica per Westworld presto nel processo?
Patrick: Assolutamente. Quando stavamo lavorando allo sviluppo della sequenza da un po’ ormai, siamo arrivati al punto in cui dovevamo girarla. Ramin stava lavorando con Jona sul tema musicale dell’intro e ce l’hanno fatto avere. È in quel momento che abbiamo seriamente reso permanente il nostro modo di raccontare la storia. Ovviamente c’è una stretta relazione fra il ritmo della musica e la storia della sigla, il modo in cui diversi elementi si uniscono alla musica, il modo in cui diversi elementi si uniscono ai titoli in una maniera molto letterale – cioè: il pianoforte è proprio lì su schermo!
Dunque abbiamo avuto molti scambi con Ramin. Ritengo che la sua musica sia mozzafiato e sono un fan del suo lavoro da tempo. È stata la prima volta che ho lavorato con lui, ed è stato molto figo. Non abbiamo mai lavorato nella stessa stanza con lui, ma abbiamo avuto degli scambi continui su diverse versioni. Lui è stato grandioso quando facevamo piccolo cambiamenti alla sequenza per qualche ragione pratica o tecnica, la prossima versione della musica aveva tutti questi fantastici e finemente realizzati cambiamenti con la musica che si distendeva per accomodare i nostri in una maniera molto interessante.
La cosa più bella è che il team di Ramin ci ha mandato un sacco di video di loro che suonavano il pianoforte in modo che noi potessimo appaiare tutte le note. Devo proprio lodarli e ringraziarli pubblicamente per questo, ma devo farlo anche al nostro gruppo, Yongsub e Raoul, che l’hanno animato. È stata una grandiosa collaborazione fra il gruppo di compositori e il gruppo di animatori.
Quindi in realtà stiamo praticamente vedendo una versione scheletrica della mani di Ramin nella sigla?
Patrick: Sì, certo!
E quanto era grande il tuo team in questa produzione?
Patrick: Era piuttosto epico. Ci abbiamo messo molto più tempo del solito a sviluppare il design. Abbiamo speso circa cinque settimane a radunare le idee. Avevamo un team del design che a volte arrivava a sette o otto persone. Maxx Burman, che stava lavorando con noi come art director, ha avuto un grande ruolo nella formazione dei primi lavori di design. Paul Kim, di cui abbiamo già parlato in passato, è un designer brillante. Sono molto fortunato a poter contare sul suo aiuto per le mie idee. Era parte del gruppo ed era spalleggiato da Jeff Han, che è fantastico.
Felix Soletic ha ricostruito interi set dello show in Cinema 4D basandosi solo su trailer che avevamo trovato online a quel tempo. Se li guardo ora capisco che sono stati fondamentali per stabilire il tono. Anche più avanti durante il processo mi sedevo con i team di animazione e luce e guardavo ancora le strutture di Felix per lavorare a degli effetti di luce. Dan Alexandru e Henry DeLeon hanno aiutato nella struttura del design e nella ricerca. Avevamo un fantastico team di modelli 3D. Dustin Mellum ci ha aiutato con un bel po’ dei modelli con corpo rigido, ma una lode speciale va a Jose Limon e Jessica Hurst. Jose, che ha vinto l’Emmy con noi quest’anno e ha lavorato a Daredevil and The Man in the High Castle con me, ha un dono per modellare la forma umano che io ritengo davvero mozzafiato. La fase della realizzazione dei modelli 3D, che è stata capeggiata da Kirk Shintani, è stata fondamentale e affidabile. Ci sono un sacco di altri artisti della computer grafica che potrei elencare ma ora non posso farlo, è stato una grande squadra.
Il modo in cui lavoro meglio è quando io e Raoul possiamo far coppia e dar vita a qualcosa. Sarei negligente se non dicessi che Raoul era spalleggiato da Yongsub Song che è un talentoso artista di C4D, Maya, e After Effects che lavora con noi da due anni, e anche Shamus Johnson, che ha lavorato con noi per la prima volta ed è un nuovo arrivato che cerca nuovi metodi per lavorare in C4D e in Octane. Quei tre ragazzi entravano letteralmente in una stanza e semplicemente realizzavano la cosa. Non hanno dormito o preso un giorno di vacanza per un numero di giorni oscenamente lungo.
Hai menzionato la lunga fase dello sviluppo. Ci sono state altre idee che sono finite a togliere tempo a questa?
Patrick: Sicuramente di solito succede, ma qui abbiamo percepito che lo show avesse una concezione così singolare che è stato più un caso di sviluppare un’idea piuttosto che scegliere fra una serie di idee diverse. Quindi in realtà avevamo l’intero team al lavoro su quella che era effettivamente un’idea. C’erano diverse piccole variazioni che abbiamo esplorato, ma è sempre stata un’idea di base.
Che strumenti e software avete usato per creare il tutto?
Patrick: Molti modelli 3D li abbiamo fatti con ZBrush, soprattutto quelli organici. Abbiamo anche usato Maya per un bel po’ di modelli. Quindi, anche se il prodotto finale era in Cinema 4D, c’è stato tanto Maya per arrivarci. Abbiamo composto tutto in After Effects e una parte importante del processo è stato il rendering che abbiamo fatto con Octane. Per noi il maggiore passo in avanti è stato quando abbiamo assemblato delle GPU render farms in modo da ingrandire il rendering di Octane per poter lavorare a progetti più grossi. L’approccio di Octane è piuttosto diverso dal rendering tradizionale quando si tratta di hardware e scalabilità. Più avanti andiamo e più scopriamo che Octane è uno strumento davvero interessante per noi. Dalla mia prospettiva, in quanto persona non-tecnica, sembra che Octane stia aprendo delle aree molto stimolanti e diventerà una parte importante per la prossima fase di produzione dell’industria.
Hai dei personali titoli d’apertura Western o di fantascienza preferiti?
Patrick: Alien sicuramente splende nella mia mente. Sono riusciti a far sì che cinque lettere di tipografia svizzera diventassero bellissime e, più importante, qualcosa di profondamente nefasto ed emozionante da guardare. Mi piace quel tipo di semplicità. Questa è sempre una battaglia per me: come possiamo tornare a qualcosa di semplice?
Uno dei miei produttori esecutivi una volta mi ha detto: “Se non puoi descrivere la tua idea in una frase allora non sai cosa sia. Se non puoi descrivere la tua storia in una frase allora non sai che storia stai raccontando.” Questo echeggia nella mia mente ogni volta che mi siedo per iniziare un lavoro. Ci sono inevitabilmente due o tre momenti di crisi quando o il cliente o tu stai dicendo “Questo non funziona” o “Non volevo che fosse così”. Quello a cui miriamo sempre è come poter tornare all’essenza, come possiamo renderlo un qualcosa di semplice?
Fonte: Art of the Title
Luigi Dalena
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