Eccoci arrivati all’ultimo episodio della serie che ha segnato il debutto in TV per il regista premio Oscar Paolo Sorrentino: The Young Pope chiude i battenti. Ma sarà davvero così?
Contiene spoiler sul finale di stagione. Gli episodi precedenti li trovate qui.
Ci eravamo lasciati con quelle lettere d’amore che Lenny scrisse alla sua ragazza californiana e che sono state pubblicate sul New Yorker. Il cardinale Kurtwell vuole far leva su quel materiale per mettere in imbarazzo Pio XIII, spostando i riflettori dall’inchiesta di pedofilia al giovane Pontefice, facendolo passare per dissoluto. L’esito della macchinazione però è tutt’altro che imbarazzante: quelle lettere hanno aperto una breccia all’interno della personalità nascosta di un Papa che non si concede mai alla folla, invisibile e austero, mostrando un lato tenero, umano e sensibile. Grazie Sorrentino per non aver ceduto al cliché del ricatto e della macchinazione. Soprattutto per aver messo in evidenza il lato positivo della vicenda delle lettere che facilmente si prestano ai pettegolezzi da bar. E non perché si tratta del Papa e quindi va bigottamente salvaguardato (come hanno sottolineato alcuni, pochi per fortuna, commenti che ho letto nei vari social), ma perché ha deciso di non metter in scena il dramma e la decadenza della figura istituzionale vittima di un scandalo da rotocalco. Il Papa di Sorrentino è un personaggio prima di tutto umano che vive conflitti quotidiani, personali e di fede. Il regista napoletano ci ha abituato a questa figura autoritaria che vive nella sua torre d’avorio, riluttante a essere avvicinata da persone estranee alla sua cerchia ristretta (l’incontro con il Patriarca di Mosca, ad esempio). Ma allo stesso tempo ci ha mostrato la fragilità di questo uomo che dopo un percorso tortuoso ha deciso finalmente di mostrare il suo lato più intimo, non provando minimamente a impedire il ricatto di Kurtwell, fermando il mondo e facendolo parlare d’amore: “Da giorni le prime pagine dei giornali non concentrano la loro attenzione sul male, ma sul bene”. E se non è rivoluzione questa! Tuttavia resta pur sempre aperta la questione pedofilia e Pio XIII adesso deve affrontarla dopo il rientro di Gutierrez in Vaticano.
LA PARABOLA DI LENNY BELARDO
Ora che il Papa bambino è diventato un uomo, è arrivato il momento di agire come tale e smetterla di andare a rifugiarsi sotto la tunica di suor Mary. Ora che anche il padre spirituale, il cardinale Spencer è morto, Lenny capisce che non ha più bisogno di una figura materna a cui far riferimento ma di un collega che lo consigli. La maturazione di Lenny non è tanto un percorso che il Pontefice compie autonomamente quanto un’evoluzione rintracciabile attraverso le figure a lui più vicine. Il cardinale Gutierrez (Javier Camara), suor Mary (Diana Keaton), Voiello (Silvio Orlando), Sofia (Cecile de France) e il cardinale Spencer (James Cromwell) sono tutti degli specchi in cui si riflette la personalità sfaccettata di questo Papa, un personalità contraddittoria e che si concede gradualmente allo spettatore secondo un percorso umano e spirituale. Penso che uno dei grandi meriti di The Young Pope sia il modo in cui Sorrentino ci ha fatto conoscere la personalità di Pio XIII attraverso la sua relazione con gli altri, dando ai dialoghi e alla parola il ruolo di portare avanti l’azione: tutti i personaggi secondari sono riusciti ad amplificare i dilemmi interiori del protagonista e la sua incoerenza fino a rendere evidenti le carenze personali di Lenny. Quella di The Young Pope è l’iperbole di Pio XIII raccontata attraverso una parabola, con la personalità del Pontefice che funge da ponte tra immaginazione e realtà.
Dopo un inizio di serie turbolento e d’impatto, questo finale di stagione ci regala un Lenny Belardo più malleabile, meno scontroso ma non meno irriverente. Un Pio XIII che risulta essere oltre che santo anche onnisciente, il quale ha sempre saputo che suor Mary è un’orfana e che Gutierrez è omosessuale e reduce da un’infanzia di abusi sessuali. Un espediente, quest’ultimo, forse un po’ telefonato già nelle puntate precedenti (quando troviamo Voiello che fa visita nella sua stanza circondato da peluche) ma non per questo meno efficace, perché permette di aggiungere un altro tassello al puzzle che costituisce la personalità di Belardo: quella paura trasformata in rabbia che adesso necessita di una via d’uscita e che da sempre ha ostacolato la ricerca e il soddisfacimento delle proprie priorità. Gutierrez e Lenny condividono, seppur con gradi diversi, un passato traumatico che ha segnato la loro esistenza. In entrambi i casi e per motivi differenti tutti e due sono stati vittime di un’infanzia negata per mano di qualcun altro: “Tutto ciò che ricordo della mia infanzia è che a un tratto non c’era più”, confida il Pontefice a un cardinale Gutierrez che fa trasparire dal suo sguardo tutta la sofferenza e la rabbia derivata da quel passato mostruoso. Se Silvio Orlando ha dominato la scena negli episodi precedenti, Javier Camara ha dato vita a una performance davvero profonda ed efficace, intima e struggente in questo finale di stagione. Se all’inizio dell’episodio la rabbia si mescola alla determinazione nel sottolineare l’incoerenza del Papa nel nominare un segretario personale omosessuale, dopo che il Pontefice stesso aveva dato il via a una loro persecuzione all’interno della Chiesa, nell’udienza con il cardinale Kurtwell quella rabbia e quella sofferenza viene esasperata con dei primi piani carichi di tensione e una recitazione drammatica e magistrale. È uno dei due climax dell’episodio, in cui Gutierrez e Kurtwell vengono messi a confronto con il primo che, nonostante il suo passato, è riuscito a seppellire il mostro che Kurtwell non è riuscito a contenere in età adulta. Il racconto del cardinale americano è disperato e drammatico, grazie a un’ottima resa da parte dell’attore che lo interpreta (Guy Boyd), mentre la reazione silenziosa di Gutierrez passa per due volte e in pochi minuti da rabbiosa a rilassata fino a quando Lenny non fa il suo “giochetto” e Kurtwell viene spedito in Alaska.
Se Kurtwell sia stato effettivamente tradito dalla sua malattia o se Lenny abbia di nuovo giocato l’intercessione con l’Onnipotente per punire il cardinale pedofilo è un’ambiguità sottile eppure importante, se consideriamo che le voci che girano in Vaticano fanno di Lenny un santo in terra. Del resto, è necessaria una fede solida per compiere miracoli, perché è richiesta una grande fiducia in Dio. E se queste qualità il Pontefice le aveva definite sarcasticamente calunnie, effettivi riscontri li considera, invece, il Cardinale Michel Marivaux (Sebastian Roché) che tenta di convincere il Santo Padre a trascorrere il Natale in Honduras, tra i fedeli della beata Juana. Lenny decide di accettare: sarà il primo viaggio pastorale ufficiale del Papa (quello a casa di Tonino Pettola non conta).
YOU CAN’T ALWAYS GET WHAT YOU WANT
Se nel corso degli episodi precedenti Sorrentino aveva stuzzicato l’attenzione dello spettatore inserendo delle sequenze in cui compariva questa ragazzina sudamericana in alcune inquadrature, con il season finale si arriva a dare risposta anche a questa domanda. Il regista napoletano non è nuovo all’inserimento di riferimenti onirici nei suoi prodotti: The Young Pope stesso ne è pieno e non ultimo è il sogno in cui Lenny parla con tutti i Papi precedenti che gli svelano la vera essenza del potere, ovvero l’essere una semplice banalità. Tuttavia, nonostante queste sequenze oniriche stuzzichino l’attenzione sia sul piano estetico che allusivo, Sorrentino opta per un finale ancorato alla realtà. Lenny decide di compiere quel passo che lo porta alla sua effettiva maturazione, ad adempire le sue promesse (promuove a Cardinale il suo confessore Don Tommaso, Marcello Romolo), a tagliare il cordone ombelicale che lo lega alla madre surrogata suor Mary, inviandola in Africa a occuparsi dei villaggi di Suor Antonia e ad affrontare una volta per tutte ciò che continuava a rimandare da sempre: la ricerca dei suoi genitori.
Nel breve dialogo con uno dei bambini in visita ai musei vaticani, all’affermazione del ragazzino che non vuole una mamma con la barba, il Pontefice risponde che bisogna accontentarsi di ciò che si ha. Sotto testo: anche se tua madre ha la barba, hai comunque una madre. Ma il bambino replica dicendo che non ha voglia di accontentarsi, trovando l’assenso del Papa. Per questo motivo Lenny decide di non voler più essere una semplice traccia e, dopo aver detto addio ai suoi genitori surrogati, vuole andare lì dove i suoi genitori naturali vivono dopo averlo abbandonato: a Venezia.
Se effettivamente Lenny si fosse affacciato su piazza San Marco è un dubbio che ho avuto dalle prime inquadrature: primi piani sulla folla impassibile alternati a primi piani del Papa e dei Cardinali vicini. Uno sguardo contratto, emozionato e nervoso quello che Jude Law dipinge egregiamente sul volto di Pio XIII. Uno sguardo allo stesso tempo sollevato quello di Lenny che si lancia in un discorso citando la beata Juana e che rappresenta il culmine della sua ricerca spirituale personale: Dio è la linea di demarcazione tra tutti quegli opposti che trovano terreno fertile nell’animo umano. “Dio non si concede, non si fa vedere, non parla, non bisbiglia. Dio sorride”. Il discorso di Pio XIII si chiude così come si era aperto l’episodio, parlando di amore. C’è ancora tempo per tutti di cercarlo intorno a se stessi e per Lenny di cercarlo, tra la folla che lo acclama come una rockstar, in quei genitori per i quali si è recato a Venezia. Li intravede, o forse li immagina, attraverso quel cannocchiale regalatogli da Gutierrez il giorno prima. Una scena che ci conduce verso quel finale aperto, che lascia il dubbio che forse compie il suo destino da Papa e poter finalmente riabbracciare i suoi genitori, perché solo quando sarà morto potrà effettivamente riabbracciare tutti coloro che lo stanno ascoltando, genitori compresi.
You can’t always get what you want, Lenny. But if you try sometimes well you might find.
givaz
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