In occasione dello speciale natalizio di Black Mirror, tre blogger, Lola23, jogi__ e Edel Jungfrau, si sono uniti per raccontarvi questo ulteriore capolavoro di Charlie Brooker. ItaSA Blog vi presenta White Christmas.
Inaspettatamente, il 2014 è l’anno in cui Charlie Brooker ci regala un episodio natalizio speciale di Black Mirror, seguito da una terza stagione di cui, però, ancora si sa poco. Questo episodio speciale arriva a sconvolgere il Natale di tutti, perciò tenetevi strette le vostre credenze e tradizioni, perché si entra in un mondo che, come da tradizione per Black Mirror, è tutto tranne quello che conosciamo. Non è facile giudicare un lavoro così geniale ed è per questo che abbiamo deciso di unire le forze e la profonda ammirazione per questo tipo di esperienza televisiva (perché chiamarla serie TV è a dir poco riduttivo) per parlarvene in una recensione approfondita.
Se non avete visto ancora l’episodio potete trovare sottotitoli di ItaSA a questo indirizzo, e noi vi consigliamo di non proseguire la lettura, perché seguono spoiler.
In una casetta sperduta in un posto non specificato, troviamo Potter (Rafe Spall) e Matt (Jon Hamm). Come due amici di vecchia data che non si vedono da molto tempo, i due si siedono ad un tavolo per raccontarsi finalmente qualcosa delle loro vite, in occasione delle feste natalizie. Per rompere il ghiaccio, Matt racconta qualche aneddoto della propria vita e del suo lavoro.
La blogger Lola23 ci racconta la sua opinione sulle prima parte dell’episodio.
Niente è troppo reale.
Un loop di solitudine e isolamento. Ecco l’epigrafe della prima “storia” di questo speciale natalizio. Charlie Brooker non ha mai fatto mistero della sua sarcastica avversione per le tecnologie, o meglio per la loro spropositata commistione con le nostre vite personali, con le nostre intimità. In questo primo racconto vediamo Matt vestire i panni di quello che dapprima ci sembrerebbe un single coach, mentre pian piano, invece, la narrazione lo trasforma in quello che potrebbe essere definito più come un mercenario. Una persona che per denaro arruola le proprie competenze manipolatorie al soldo di aziende e tecnologie, nascondendosi dietro la debole scusa che, in fondo, manovra soltanto dei codici, degli avatar, degli estratti di coscienza (quando non delle vere e proprie coscienze, sebbene sfigate, come quella del povero Harry). Ma andiamo per gradi. Matt per soldi è ben lieto di celarsi dietro uno schermo e tirare i fili di una serata di un single imbranato al fine di procurargli un amplesso o, bene che vada, una ragazza. Come? Con una sorta di Google Glass portati alle estreme conseguenze. Sono gli Zed Eyes che permettono di condividere tutto ciò che si vede e si sente. Eccola là, la mania della condivisione: spiattellata, ridicolizzata o, meglio, presentata per quel che è. Un disperato grido di aiuto, un accorato bisogno di dire “io ci sono, guardami, eccomi”. Matt suggerisce passo passo ad Harry cosa dire, come dirlo, cosa fare, chi guardare. Ma ovviamente, non è tutto oro quel che luccica. Le conseguenze degenerative sono lì dietro l’angolo, a dimostrazione ancora una volta che la solitudine genera altra solitudine e che la condivisione tecnologica è solo un surrogato della condivisione umana, e dunque è vuota, insoddisfacente e pericolosa. A prescindere, però, dalla conseguenza in sé e per sé, la riflessione nuda e cruda sta sul perché si arrivi a vendersi, a vendere la propria privacy e le proprie insicurezze a un pugno di spettatori famelici e frustrati, pur di non rischiare. Il punto è tutto là: il rischio delle relazioni, della delusione, della responsabilità. Si preferisce delegare a un coach, uno schermo, un social network tutta la fase costruttiva di un rapporto, fosse anche un singolo appuntamento. Tutto questo per essere sempre pronti, scattanti, sagaci, smaglianti opportuni. Per tagliare fuori dalla nostra esistenza il margine di errore. Brooker sembra dirci: “Sicuri che sia fattibile? Annullare l’errore non è un errore in sé?”. Stiamo talmente delegando le nostre vite alle varie protesi digitali (e narcisistiche, come direbbe Marshall McLuhan) che ci circondano che quelle vite, alla fine, ci sfuggono di mano, perché non sono più le nostre. E se nel consumo merceologico vale il motto “soddisfatti o rimborsati”, quando si tratta di carne e anima, quella regola non vale, perché la merce sei tu. Si è risucchiati per sempre e ci si spegne, con la stessa facilità con cui si può spegnere uno schermo.
Ora cedo il posto al collega blogger jogi__ che presenta la seconda parte della puntata.
Sarà molto più semplice se farai come ti dico.
Una delle particolarità di Black Mirror è sempre stato il cinismo protagonista della trama. Anche nel concetto fantascientifico in cui buona parte delle storie sono inserite, l’amoralità prende il posto del buonismo per dare una terrificante sensazione di realismo. Il secondo racconto del protagonista rispecchia alla perfezione questo aspetto. Charlie Brooker ci presenta fin da subito questa nuova intelligenza artificiale come interamente capace di riprodurre i sentimenti umani, ma in seguito non cade nei classici cliché del genere, non vuole inserire a forza una morale, anzi. Jon Hamm interpreta magistralmente un personaggio pieno di apatia nei confronti di quello che lo spettatore percepisce come una persona praticamente umana. Vengono applicate delle vere e proprie torture psicologiche, prima facendo presente a questo Cookie di non essere reale, e successivamente facendo passare mesi di nulla assoluto, per convincerla che fare ciò per cui è stata programmata è sempre meglio del nulla. Lo sceneggiatore ci fa entrare in empatia con questo personaggio, mostrandoci per esempio la sua atroce separazione dal corpo originale, e dopo ci mette di fronte alla dura realtà: si tratta solo di un codice. Anche la conclusione di questa breve storia rientra nello stile della serie. È difficile capire se abbiamo assistito ad un lieto fine. I due personaggi interpretati da Oona Chaplin sono in perfetta contrapposizione. Come dimostra il successivo scambio di battute tra Matthew e Potter, il giudizio su un epilogo simile varia dall’etica e dal pensiero di ogni persona. Quello che è certo è che ancora una volta Black Mirror è riuscito a rappresentare una plausibile, e a tratti agghiacciante, realtà.
Passo la parola alla mia collega Edel Jungfrau per il suo pensiero sulla terza e ultima parte dell’episodio.
Dov’è mia figlia?
La terza storia è in realtà la storia di Potter, legata da un fil rouge a quella di Matt. Quest’ultimo atto, in particolare, è quello che mi ha sconvolta di più, in termini di lacrime e di sofferenza. L’ho percepito più soffocante, perché penso che sia quello emotivamente più violento e simbolico, senza togliere nulla alle prime due storie. C’è la parte sentimentale, lo strazio di un uomo lasciato dalla fidanzata senza motivo e la sofferenza di sapere di avere una figlia e non poterla vedere, in nessun modo. E poi c’è la parte tecnologica, il simbolo della realtà quotidiana di oggi. Siamo abituati a scattare foto di continuo, a seguire le persone con un follow e non abbiamo remore a “bloccare” qualcuno sui social per non vederlo più. Non c’è realtà più vera di questa, oggi, ma se la applicassimo veramente alla vita? Cosa succederebbe se la tecnologia ci permettesse di zittire per sempre una persona ed eliminarla completamente dalla nostra vita? Una realtà spaventosa, straziante e che porta le persone alla follia, proprio come succede a Potter dopo la scoperta che la figlia in realtà non è la sua. La tristezza dovuta a questa scoperta e la rabbia repressa si risolve tragicamente nell’omicidio del padre della ex fidanzata, Beth (Janet Montgomery). Questa terza parte, come dicevo, è legata indissolubilmente alla storia di Matthew, raccontata attraverso i flashback riguardanti la sua vita. Nel migliore dei modi possibili, Brooker decide solo verso la fine di farci capire che la realtà di Potter non è la stessa realtà di Matt. Ma qual è la vera realtà, poi? Potter è in carcere e Matt, attraverso la tecnologia dei Cookie presentata nella seconda storia, entra nella coscienza della copia-Cookie di Potter per convincerlo a confessare l’omicidio del suocero e la conseguente morte per assideramento della figlia di Beth. La confessione di Potter aiuta Matthew a farsi scagionare dalle accuse di voyeurismo tecnologico e per non aver denunciato l’omicidio-suicidio di due ragazzi. Ancora una volta, il cinismo e la completa mancanza di empatia di Matthew esplodono nel finale come se fossero una lama affilata nel petto di Potter.
Come spesso accade, però, la vita ti fa una carezza e subito dopo ti dà un sonoro schiaffo, dobbiamo solo scegliere quale sia la peggior punizione per le nostre azioni: essere rinchiusi in una (non) realtà, sprofondando nei nostri peccati per l’eternità, o essere “bloccati” e isolati dal mondo, senza possibilità di replica? Dobbiamo scegliere? Possiamo scegliere?
Io so solo che ci metterò qualche settimana per elaborare White Christmas.
Valeria Susini
Edel Jungfrau
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