Chiamare la mamma per paura del baubau non è mai stato così spaventoso. Qual è la vostra paura più grande?
L’articolo contiene spoiler!
Sono qui, mamma.
Cooper è un giovane turista alla ricerca di avventure forti e di qualche soldo facile per scappare da una vita complicata, dopo la morte del padre affetto da Alzheimer. Acconsente a fare da cavia per un nuovo videogioco basato sulla realtà aumentata; un sistema rivoluzionario mai testato prima d’allora, il quale cambierà per sempre il modo del video gaming e che prevede un piccolo microchip impiantato dietro la nuca. In pieno stile horror, le paure più grandi di Cooper vengono proiettate nella sua realtà virtuale: ci sono quadri che prendono vita, fantasmi del passato e, come potrebbero mancare, anche i ragni giganti. Ma nel momento in cui queste sue paure diventano troppo concrete, Cooper inizia a temere che l’esperimento sia fin troppo reale, così decide di volerne uscire, ma non senza conseguenze: la paura più profonda e radicata di Cooper è dimenticare. Inizia a sragionare, a non sapere più né chi sia o dove sia, proprio come il defunto padre affetto da Alzheimer, e a non distinguere più il gioco dalla realtà. È in questo preciso istante che veniamo catapultati nuovamente nella realtà di Black Mirror che ben conosciamo: gli avvenimenti nella mente di Cooper in realtà si svolgono in soli pochi secondi dall’impianto del chip; Cooper, spaventato ma eccitato da quest’avventura, dunque decide di tornare finalmente a casa dalla madre per ristabilire il rapporto con lei e scusarsi per non averle mai risposto al telefono in tutto quel tempo. Ma, a questo punto, scopriamo che la donna, visibilmente provata e forse anch’essa malata, chiama il cellulare del figlio senza sosta dall’inizio del suo viaggio per il mondo. Cooper è di fronte a lei ma lei non lo vede, preoccupata solo che il figlio stia bene, ovunque egli sia. Ancora una volta, tutto quello che ci viene presentato non è reale: Cooper non è mai uscito dalla stanza in cui era entrato per iniziare la procedura e, a causa di un cellulare che suona nel momento in cui gli viene impiantato il chip e che interferisce con il segnale di quest’ultimo, il ragazzo muore all’istante nel giro di 0.04 secondi.
Finora, Charlie Brooker ci ha abituato a episodi che virano al thriller psicologico e spaventano per la loro cruda e spietata realtà distopica, ma con Playtest ci troviamo invece a fare i conti non soltanto con la nostra mente, ma anche con le paure più recondite e profonde del nostro essere. L’horror dunque incontra il thriller, in un connubio che, se inizialmente potrebbe sembrare banale e scontato per un capolavoro come Black Mirror, si evolve fino a diventare qualcosa di più spaventoso. Sebbene le tematiche e le dinamiche di questo secondo episodio ricordino un po’ quelle dello speciale White Christmas, con colpi di scena multipli, disagio e ansia a livelli estremi, in questo episodio troviamo anche momenti jumpscare inseriti ad hoc, che sembrano quasi omaggiare gli horror più classici e arricchirli come solo questa serie sa fare, ma anche prendere in giro quelli più scontati, come quando il protagonista apre l’anta della dispensa e si aspetta che dietro, appena la chiuderà, ci sarà qualcosa o qualcuno che lo spaventerà.
È un finale decisamente amaro quello di Playtest, in pieno stile Black Mirror, e che si discosta notevolmente dal primo episodio Nosedive; l’argomento principale, qui, è il viaggio all’interno della propria psiche, una sorta di passaggio tra la vita e la morte in cui il tempo si dilata e scorre in maniera diversa rispetto alla realtà. Il tutto è esasperato all’infinito, risultando non solo più ansiogeno ma anche più terrificante. Playtest però non si limita a mostrarci quali conseguenze catastrofiche può avere la tecnologia se usata in maniera sbagliata, la mancanza di ogni senso di umanità, la totale spietatezza e crudeltà da parte dell’inventore del gioco e dei suoi dipendenti, i quali non si fanno nessuna remora a testare un prototipo così invasivo su un essere umano se non dopo la tragica morte di Cooper, ma ci regala anche un ultimo viaggio “spirituale”, in cui Cooper ha la possibilità di vedere i propri cari un’ultima volta e di pronunciare per l’ultima volta la parola “mamma” prima di morire.
Forse potrebbe essere considerato uno degli episodi meno incisivi e significativi dell’intera serie, proprio per questa sua caratteristica meno comune di unire l’horror al thriller, ma secondo me Charlie Brooker è riuscito con successo nell’intento di catturare anche lo spettatore più scettico, tenendolo incollato allo schermo e sorprendendolo con quel twist multiplo finale. Mai dare per scontato nulla in questa serie, è necessario sempre essere pronti al peggio. Anche se il peggio non è mai prevedibile.
Silvia Speranza
Edel Jungfrau
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