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House’s finale: la parola al creatore, David Shore.

Dopo otto onorabili stagioni, House M.D. è giunto al termine.
Come ogni puntata che l’ha preceduta, anche l’ultima è stata imprevedibile: il titolo Everybody Dies sembrava presagire la conclusione funesta così spesso subodorata ma puntualmente rimandata.
Insomma, ci aspettavamo un degno epilogo a quel compendio di miseria umana che è sempre stato House. Invece… è la fine, ma è luminosa, delicata, quasi ingenua: l’immagine di uno storpio e di un malato terminale che vanno in moto, ma col casco, sembra esserne l’emblema.

 

La genialità si riconosce, ma non si comprende: individuiamo la rivelazione nello sguardo improvvisamente rapito di House, ma non sappiamo quale sia. In seguito ce la spiegherà, con un supporto visivo-esplicativo alle sue parole, e –se siamo fortunati- anche qualche insulto meritato allo sciocco di turno che osa ribattere, come nell’ultimo glorioso dibattito:

Hai inalato un rametto.
Ed è cresciuto?
No, a meno che tu non abbia inalato un pezzo di sole e un sistema di irrigazione, idiota.

 

Insomma: House è un genio, ma al contrario di quanto crediamo fermamente nella fase rem, non è reale.
La genialità va ricondotta al suo creatore,  David Shore, che nella seguente intervista si premura di spiegarci (senza schemi esplicativi) come la conclusione del suo show sia naturale, necessaria e… geniale.

 

House and Wilson on the road

House e Wilson in moto, che guidano verso il tramonto: perché ha deciso di concludere lo show proprio con questa scena?
Ci sono state un sacco di discussioni. Gli sceneggiatori avevano un sacco di idee, e più ne passavamo in rassegna, più questa sembrava giusta. House sta facendo un sacrificio e, al contempo, non lo fa. Sta con la persona con cui dovrebbe stare.
Non è un finale troppo mieloso, perché in fin dei conti Wilson sta morendo e House ha mandato all’aria la sua vita, ma tuttavia Wilson e House guidano verso il tramonto. Inoltre questo finale ci ha permesso di sviscerare l’intera esistenza di House nei 40 minuti precedenti, e di riportare nello show attori che non vi facevano più parte. Insomma, sembrava proprio il tono giusto e la storia giusta.

Come siete arrivati a questa storia conclusiva? Penso che una delle cose che sono piaciute di più sia il fatto che l’enigma finale che abbiamo risolto con House sia stato House.
Sì, sembra proprio la cosa giusta, no? La sua vita, quel che dovrebbe fare e una stima di tutte le scelte e il modo in cui le ha prese. Non è questo quel che dovrebbe essere un episodio finale?

C’è mai stato un momento in cui ha pensato di concludere la serie con la morte di House?
Gli scenari erano tanti, e quella sembrava la scelta più naturale: quella è una fine, in tutti i sensi. Questa conclusione, invece, è una bella fine per lo show, ma non è la fine di House. House come essere vivente –un essere vivente inventato, ma pur sempre vivente– non sarà finito finché non morirà.
Per questo siamo stati incerti, ma questa conclusione sembrava migliore per molte ragioni.

Questa dichiarazione è ambigua come il finale. L’ho guardato e ho assaporato la pace che mi trasmetteva, finché i commenti nel web non me l’hanno strappata via con le loro ipotesi folli ma plausibili. Ha consapevolmente lasciato spazio per queste teorie che credono House effettivamente morto?
Sì, ho previsto che il pubblico potesse crederlo. Benedico ogni interpretazione, benché non sia ciò che faccio di solito. Capisco la loro visione, e la trovo interessante. Accetto che gli spettatori percepiscano in modo diverso ciò che hanno visto, ma non che siano in disaccordo su cosa sia lo show e quale la storia.

Hugh Laurie e David Shore

Hugh Laurie e David Shore

Perciò questa ambiguità è solo di facciata?
Esatto. House effettivamente guida verso il tramonto.

Parliamo dei grandi ritorni: quanto è stato difficile (o facile) riportarli nello show?
È stato facile: li ho chiamati, e accennata la trama dell’episodio, si sono tutti precipitati a cogliere l’opportunità. E’ stato davvero gratificante. L’organizzazione, invece, è stata un incubo: sono tutti attori molto impegnati, e benché desiderassi girare le scene in ordine, non è stato possibile.  Addirittura abbiamo girato parti di una stessa scena in giorni diversi. Ma considerando gli attori che sono tornati a bordo, è stato fantastico.

Perché è stato così importante per lei far ritornare tutti i grandi protagonisti?
Accade tipicamente in un finale, quindi se fosse stato solo questo il motivo, non li avrei richiamati. Mi piaceva invece il fatto che la storia si prestasse naturalmente a rievocarli. Inoltre, su un piano umano, era bello per me rivedere le persone con cui ho lavorato. Il motivo principale, comunque, è che il ritorno aveva senso ai fini della storia: questi personaggi sono entrati nella vita House e l’hanno influenzata in vari modi. Sono parte di ciò che lui è diventato: questo è ciò che abbiamo riprodotto, piuttosto didascalicamente. Abbiamo il ritorno di quattro personaggi, ma non il ritorno di quattro persone. Infatti, loro non erano lì realmente, erano solo parte del suo subconscio: sono stati rappresentati come parti di House. È quest’idea che mi è piaciuta.

Particolarmente piacevole è stato il ritorno di Kutner, che è “scomparso” così in fretta. Credo che sia stata una bella conclusione.
Il messaggio è che la vita continua, in un qualche modo, attraverso le persone che ne sono state toccate. Sfortunatamente, la sua vita non è continuata in senso stretto, ma il suo lascito, quello sì.

Devo chiedere di Lisa Edelstein. Le ha chiesto di ritornare?
Avrei voluto che tornasse, ma non siamo stati capaci di far sì che ciò accadesse.

Una delle parti più belle del finale è stata la canzone che ha accompagnato le ultime scene.
Questo merito va tutto a Hugh Laurie. È venuto da me un giorno, mentre stavamo girando, e sembrava adatta. Ancora una volta, lo stile era opposto a quello che ci saremmo aspettati, ma era quello giusto.

Foreman capisce che House aveva fatto qualcosa, vero?
Sì. Il tesserino era un indizio: il modo di House di dirgli “non ti preoccupare”.

Parliamo delle ultime scene che ritraggono gli altri personaggi: Taub con le sue bambine e Chase con il suo team.
Il messaggio è: la vita va avanti. House ha toccato le loro vite, e anche se adesso se n’è andato, ne farà sempre parte. Come sottofondo di queste scene c’è una canzone che dice “Keep me in your heart for a while”. Un messaggio per gli spettatori: ricordateci e divertitevi.

House in flame

House in flame

Qual è stata la scena più difficile?
Ce n’è stata una complicata per ragioni logistiche. Nell’edificio in fiamme, House cade attraverso il pavimento. Da lì abbiamo veramente girato le scene con Hugh Laurie, Sela Ward e Jennifer Morrison in una stanza piena di fumo. Ma non è stato pericoloso: era tutto in sicurezza. Il problema è che generalmente, quando si gira una scena, se occorre si interrompe e si gira di nuovo. Ma questa volta, ogni tre minuti di girato, avremmo voluto andare tutti fuori a raffreddarci. Perciò, dal punto di vista pratico, è stata una sfida. In termini di spettacolo, è stata grandiosa.


Invece come sceneggiatore, qual è stata la scena più difficile?

La storia stessa era difficile da raccontare. Sapevamo di voler cominciare con House in un edificio in fiamme, raccontare gli eventi che l’hanno portato lì e gli eventi che lo porteranno via da lì. Poste queste basi, è stato difficile rendere i flashback interessanti, sapendo che finisce in un edificio in fiamme e che niente gli va per il verso giusto.

Cosa gli accadrà tra cinque mesi?
La risposta a questa domanda spetta al resto del mondo. La storia finisce dove finisce. Ma sono contento di aver dato agli spettatori un finale aperto: è una delle cose più bella della storia, secondo me. Generalmente, mi piace raccontare una storia in modo esplicito, e mostrarla alle persone. Ma in questo caso mi piaceva l’idea di lasciare al pubblico una fine che potevano riempire da soli. Comunque, cosa accadrà tra cinque mesi è per me meno interessante di ciò che House e Wilson stanno facendo… on the road.

Ho amato le citazioni: “L’attimo fuggente” e molte altre. Qual è stata la sua preferita?
Anche a me è piaciuta molto quella. A un certo punto eravamo tentati di farne molte di più. Omaggi ad altre series finale: qualcuno che viene colpito da una pallina da golf (Newhart) o una donna coreana con un pollo (M*A*S*H), ma abbiamo pensato che potessero essere troppo dispersivi. Comunque ho amato citare “L’attimo fuggente” e “Nobody cares about medicine”.

E “cancer is boring”.
“Cancer is boring”! Mi piace che questa sia stata l’ultima battuta della serie.

Infine, che cosa ne pensa dell’esperienza appena conclusa?
È stata gratificante e assai migliore di quanto potessi immaginare. Se mi avessero promesso anche solo tre stagioni, sarei stato contentissimo. Non avrei mai pensato di avere tutto questo seguito. È stato fantastico. Non sono di molte parole a riguardo perché ancora non me ne capacito. È stato incredibile.
Immagino che questa intervista abbia risvegliato la vostra dipendenza da House, perciò mi affretto a confermare anche il lapalissiano: The swan song, canto del cigno che celebra lo show, sarà tradotto da Itasa.

 

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