Lo scorso ottobre, durante il Lucca Comics and Games (di cui ItaSA è stata partner per due webseries) ho letto di un incontro intitolato “Fantasy, fantascienza o fantastico? Le serie tv che cambiano le regole”. Dato che mi ero già fatto i miei tre bei giorni di fiera mi sono detto: “Bettaro (sì, mi chiamo per soprannome anche quando parlo tra me e me), perché non ci fai un salto e non raccogli qualche informazione per un articolo del blog?” E così mi sono messo a sedere e sono stato a sentire per un’ora e spiccioli quello che aveva da dire Chiara Codecà, collaboratrice di Telefilm Magazine, traduttrice, interprete e molto altro. È stato un incontro molto interessante, arricchito dalle domande di tanti telefilm addicted (non è che c’era anche qualcuno di voi?), ma l’illuminazione mi è arrivata alla fine, quando mi sono avvicinato a Chiara e le ho chiesto se era disponibile per un’intervista per il blog di Italiansubs, iniziando a spiegare chi fossimo. Lei, oltre a rivelarmi che ci conosceva già (occhi a stellina *_*) si è dimostrata subito molto disponibile e abbiamo deciso di tenerci in contatto. Ora, dopo mesi e mesi di peripezie varie, siamo finalmente pronti a presentarvi questa intervista in esclusiva (wooooo, quanto fa figo dirlo!!!).
Ciao, Chiara. Partiamo subito dalle nuove serie fantasy dello scorso autunno. Quali sono le tue impressioni riguardo Grimm e Once Upon a Time?
Di Grimm posso dire che confermo l’impressione positiva che mi ha lasciato fin dalle prime puntate. E’ cupa, ironica, e trovo ambizioso il fatto che stiano cercando di trovare un equilibrio tra generi diversi tra loro come il procedural drama alla Criminal Minds e il fantastico. Mi piacciono sia la storia sia i personaggi, anche se va detto che – almeno per ora – il protagonista soffre della stessa “sindrome di perfezionismo” di molti protagonisti. E mentre lui fa da cardine morale alla storia i comprimari – ambigui, imperfetti, e anche un po’ bastardi, diciamolo – finiscono col rubargli la scena (vedasi il Lupo Cattivo). Ad ogni modo la serie è molto carina e la consiglio a chi cerca un urban fantasy cupo. Come tono ricorda un po’ Angel, non a caso è degli stessi produttori.
Once Upon a Time sta avendo un grande successo, anche se ammetto che io non l’amo. Dovendo dare un’opinione oggettiva, diciamo che capisco perché sta avendo un buon ritorno di pubblico: è sicuramente un prodotto ben costruito, molto curato nei dettagli, con un bel cast (Robert Carlyle nella parte di Rumplestiltskin è una gioia!). All’inizio autunno sembrava il cavallo di battaglia del fantasy in tv per la stagione 2011-2012, e a quanto pare ha tenuto fede alle aspettative, per fortuna. Dico per fortuna perché una serie fantasy di successo apre sempre le porte ad altre produzioni, mentre un fallimento rischia di rallentare tutto il trend. Un insuccesso sarebbe stato un pessimo segnale per il futuro del fantasy sui network in chiaro che, diversamente dai canali via cavo, hanno bisogno di grandi ascolti per avere dei buoni ritorni con la pubblicità.
A me personalmente non piace la struttura da soap opera dei rapporti tra i personaggi (ovvero: chi è figlio di chi e chi deve ritrovare il proprio vero amore), e poi il mondo delle favole sembra sotto steroidi: è descritto – consapevolmente – come la caricatura dell’immaginario delle favole secondo l’americano medio cresciuto con i film di Disney. Andrà benissimo per gli americani, ma e me non dice molto. Gusto personale. Evidentemente c’è gente a cui piace e, in definitiva, per il suo target di pubblico è sicuramente una serie ben fatta.
Cosa ci dici invece di American Horror Story, altra serie che godeva di un alto hype?
American Horror Story mi è piaciuta molto nonostante l’horror non sia affatto il mio genere. È stata ottima l’idea di fare una mid-season da 10 episodi invece di una stagione completa, perché probabilmente con la stagione lunga avrebbe perso un po’ in tensione. Già così i primi episodi fanno più paura, mentre poi tende a diventare un po’ lenta. Diciamo che non mi aspettavo che trattassero così i personaggi principali, ma non dico altro per evitare spoiler.
In estate sembrava stesse per arrivare sul piccolo schermo un capolavoro, ma alla fine Terra Nova si è rivelata una grande delusione e poche settimana fa è arrivato l’annuncio della sua cancellazione. Cosa hanno sbagliato?
Terra Nova non ha saputo trovare, nei 13 episodi della prima stagione, una sua identità, e ha finito con l’essere né carne né pesce. Detto in altri termini: non si capiva dove volessero andare a parare, Si può raccontare una storia alla Lost in Space dedicata a una famiglia che si trova in una situazione estrema, e alle dinamiche che si sviluppano al suo interno; oppure si può fare una serie fantascientifica più corale, raccontando la storia di una comunità eterogenea costretta dagli eventi a sopravvivere in un ambiente a tutti gli effetti alieno. E’ difficile fare entrambe le cose insieme, però. Terra Nova sta lì a metà strada, in balìa di sceneggiature spesso troppo lente. Si fa anche guardare, ma sinceramente non abbiamo perso un grande prodotto. Peccato, perché la premessa era notevole, e sicuramente non avevano badato a spese. Basta pensare che il pilot da solo è costato 16 milioni di dollari…
E allora come mai spesso queste serie con la famigliola felice del Mulino Bianco vengono rinnovate, mentre serie oggettivamente migliori (Fringe, per dirne una) vengono bistrattate e messe al venerdì? Perché l’americano medio preferisce le prime e non le seconde?
Domanda da un milione. Sinceramente credo che la risposta risieda nel fatto che, a volte, tra una storia più complessa e una più semplice, quella più semplice vince. La televisione mainstream americana si basa sui codici di linguaggio comuni alla loro società, tra i quali si trova un certo perbenismo, un certo amore per il ritorno all’ordine, per questo edulcorato ideale di vita alla “white picket fence”, traducibile letteralmente in “staccionata di legno bianco”, e che corrisponde a un’immagine stereotipata che per noi collima con quella della famiglia del Mulino Bianco. Fringe è una delle serie che non ti dà questa sicurezza, e questo proprio perché è uno dei prodotti più sofisticati degli ultimi anni, in cui non è così facile dire chi sono i buoni e chi sono i cattivi: ma l’ambiguità morale è una cosa che non sempre gli americani apprezzano, men che meno il pubblico medio di Fox. Risultato: pochi ascolti. Al contrario, le serie televisive inglesi fanno dell’ambiguità un elemento fondamentale delle loro storie. Pensaci: non a caso questa ambiguità è la prima cosa che viene eliminata quando gli Stati Uniti fanno il remake di una serie inglese – cosa che ultimamente va di moda. E’ questo l’elemento che più di ogni altro salta, perché il punto è rendere il prodotto più appetibile al pubblico americano, e per molti questo si riassume in: più scene d’azione, meno ambiguità morale dei protagonisti, storie un po’ più lineari.
Tornando alla domanda iniziale, la risposta è questa: perché Fringe è troppo intelligente e meno rassicurante di altre serie, e c’è chi in tv vuole leggere un’immagine rassicurante della realtà. Mi ha stupito moltissimo che l’abbiano rinnovato per il 2013, lo ammetto. Aveva ascolti talmente bassi che avrei scommesso sulla sua chiusura. Meglio così, perché si merita una degna conclusione e non un finale affrettato messo insieme quando il network ancora non aveva in dato indicazioni chiare. Purtroppo non è un caso che non abbia vinto nessun premio; le serie di genere, da Buffy in poi, non sono riconosciute. L’unica eccezione importante è stata Lost, che è stata brava a restare a cavallo della linea tra il mainstream e il genere fantascientifico/fantastico.
Ora che l’hai tirato in ballo non posso non chiederti cosa pensi di Lost, la serie per eccellenza.
Lo so che mi attirerò le ire di un sacco di gente, ma sinceramente per me Lost è uno dei migliori bluff della storia della televisione…
(ridendo) Ah, guarda che lo scrivo!
Scrivi, scrivi. Prima di tutto, credo che la tanto sbandierata idea che gli autori avessero tutto in mente fin dall’inizio non regga. È molto difficile, molto raro, trovare un autore che abbia in mente tutto il canovaccio della storia e sappia come chiuderla, perché deve sapersi destreggiare tra un numero imprecisato di stagioni che variano a seconda degli ascolti: ovvero, se gli ascolti calano la serie viene chiusa prima, e lui deve trovare il modo di tirare le fila in fretta. Ce l’ha fatta Michael Stracinsky con Babylon 5, ma è un’eccezione. Tieni anche conto che i creatori della serie possono avere un’idea, ma l’ultima parola spetta sempre alla casa di produzione, che ha in mano i cordoni della borsa. Un esempio è Defying Gravity, di cui il creatore, James Parriott, aveva davvero in mente il canovaccio e il finale, ma si è trovato con nulla in mano quando la produzione ha chiuso la serie dopo solo 8 episodi. Vince sempre il produttore. E se l’autore non cede, il produttore può licenziarlo, come è successo lo scorso anno con Frank Darabont di The Walking Dead.
Tornando a Lost, recentemente ho scritto un pezzo per Fantasy Magazine in cui mi sono permessa una battuta che riassume quel che ne penso: partiva come una serie d’azione e thriller su un disastro aereo, ha cambiato due o tre identità lungo la strada, e ha finito col diventare una storia fantastica sull’esplorazione delle debolezze e delle risorse dell’umano spirito. Sulla carta è una cosa molto bella e molto ambiziosa, ma nelle ultime stagioni avevano messo talmente tanta carne al fuoco che avevano la libertà di risolvere la storia in tre o quattro modi diversi, e qualunque cosa avessero fatto sarebbe andata comunque bene. Peccato, perché è innegabile che alcuni degli archi narrativi lasciati in sospeso e non risolti dal finale non sono affatto irrilevanti. In ogni caso hanno avuto ragione i produttori, i numeri parlano chiaro: con gli ascolti pazzeschi che hanno fatto è innegabile che hanno vinto la scommessa. Buon per loro. Io continuo a dire “mah”.
Credi che in futuro potrebbero provare a ricreare qualcosa di simile?
Intendi gli stessi autori? Secondo me glielo hanno già chiesto in ginocchio, ma anche qui vale il principio della saga di libri di Harry Potter: non puoi replicare a tavolino il fenomeno. Puoi provarci, ma il fenomeno, per sua natura, resta isolato.
Passiamo a quelle serie che sono state ribattezzate (forse fin troppo frettolosamente) “il nuovo Lost”: FlashForward e The Event. Perché hanno deluso così tanto?
L’etichetta veniva proprio dal desiderio di ricreare il successo di Lost, nello stesso modo in cui si sprecano i libri per ragazzi con fascette che dicono: “per chi ha amato Harry Potter”… Sia FlashForward sia The Event sono state cancellate perché hanno fatto ascolti pessimi, ma i motivi per cui non hanno trovato pubblico sono più di uno. Forse la causa principale è il fatto che nessuna delle due è riuscita a trovare un proprio equilibrio tra l’essere una serie di fantascienza, d’azione e un drama dedicato alle relazioni tra i personaggi principali. Inoltre la mia impressione è che abbia ragione chi dice che questo è più il momento del fantasy e del fantastico che della fantascienza, cosa che ha giocato un po’ a sfavore di queste due serie.
Perché il fantastico vince sulla fantascienza?
Perché il mondo post 11 settembre 2001 è molto meno positivista di quello che l’ha preceduto, e si è rifugiato nell’irrazionale. Ma su questo argomento dovremmo aprire un capitolo a parte, magari un’altra volta. Diciamo che la fantascienza in America ha avuto un enorme successo negli anni novanta e nei primissimi anni duemila, mentre il fantastico, che era quasi scomparso a parte Buffy, Angel e pochi altri, è tornato in pompa magna con Supernatural, Camelot, Legend of the Seeker e svariate altre, senza contare Game of Thrones, che sta avendo un impatto enorme sul genere. L’impressione è che siano cambiati sia i gusti sia il sentire comune della società.
Comunque, approfondendo un momento FlashForward, c’è stato un problema di scrittura delle sceneggiature. Premessa: nonostante un pilot bellissimo, la serie comincia con ascolti non altissimi, e i produttori, cercando di attirare più pubblico, intervengono cambiando il team di sceneggiatori e imponendo che l’attenzione si spostasse dall’elemento fantascientifico ai rapporti tra i personaggi, con dinamiche da soap. Ma quando hanno iniziato ad interferire la situazione è andata solo peggiorando, come ha confermato l’autore del libro originale da cui è tratta la serie, Robert J. Sawyer, quando è stato in Italia lo scorso anno. In pratica, su un totale di 22 episodi hanno lavorato più gruppi di sceneggiatori diversi, che ricevevano linee guida e indicazioni dalla produzione in costante cambiamento: come si può mantenere un senso di continuità narrativa? Il risultato è un costante cambio di tono, di ritmo, e poca coerenza interna. I personaggi principali sembrano psicopatici: quello che non era “in character” la settimana precedente, lo è la settimana dopo. E la settimana successiva cambia ancora. Come fa il pubblico ad affezionarsi? Usando un orribile linguaggio commerciale, come fai a fidelizzare il pubblico, se quello che gli proponi continua a cambiare?
La coerenza è fondamentale, soprattutto nella gestione dei personaggi: in ultima analisi il principio è che la gente si affeziona ai personaggi, e nelle serie guidate da un creatore con un’idea forte i personaggi sono i primi a tenere e fare da “intelaiatura” a tutto il resto. Pensa a quello che ha fatto Joss Whedon con Buffy o con Angel; ai personaggi creati da Michael Straczynski per Babylon 5; a Russell T. Davies, che nel 2005 ha fatto risorgere una serie come Doctor Who; a Ira Steven Behr, il produttore di Star Trek: Deep Space Nine, la serie più ambiziosa di Star Trek, che è stata una fucina di talenti in cui ha lavorato (come sceneggiatore) anche Ron Moore, il quale pochi anni dopo avrebbe creato niente meno che Battlestar Galactica.
E voi? Cosa ne pensate? Siete d’accordo con Chiara o la pensate in modo completamente diverso? Vi aspetto nei commenti!
Nella seconda parte dell’intervista parleremo di webseries, cinema e di fantascienza in Italia. Nel frattempo potete iniziare a seguire Chiara anche su Twitter: @ChiaraCodeca
Qua la seconda parte dell’intervista.
Bettaro
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