La seconda giornata della 75esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha presentato due tra i film più attesi del Festival: Roma, pellicola messicana del regista Alfonso Cuarón e The Favourite, del regista greco Yorgos Lanthimos.
Nell’articolo NON sono presenti spoiler
ROMA
Alfonso Cuarón torna nella sua Città del Messico per girare il suo film più personale e riportare il cinema alla sua essenza: quella di pura arte. Il regista messicano attinge direttamente dai suoi ricordi d’infanzia per raccontare la storia della sua famiglia e della sua casa. Roma è ambientato nel 1971 e parla di Cleo, la domestica di una famiglia messicana formata da un padre che abbandona presto la casa, una madre che cerca di non subire questa assenza, una nonna che fa di tutto per aiutare sua figlia a gestire la famiglia, e quattro figli impetuosi. La storia di Roma è potente, personale e toccante. È un perfetto connubio tra le vicende della famiglia protagonista e un’analisi della società messicana di inizio anni ’70. Cuarón, tramite la storia di una domestica che cerca di equilibrare la sua gravidanza e il lavoro per la famiglia messicana, racconta quanto potesse essere danneggiata una famiglia all’apparenza normale in quel determinato luogo e periodo storico. Tutto ciò è ambientato in una Città del Messico in crisi, colpita dal massacro compiuto durante delle dimostrazioni studentesche noto come El Halconazo, che fa da sfondo ad alcune vicende del film.
Ma l’aspetto che più colpisce di Roma è la sua maestosa estetica. Cuarón opta per un bianco e nero dai toni molto scuri con delle luci contenute. Il risultato è che ogni singola inquadratura sembra una bellissima fotografia che potrebbe tranquillamente uscire dalle macchine fotografiche di Fan Ho, Robert Capa o Henri Cartier-Bresson. Ed è inequivocabile che volesse essere questo l’intento di Cuarón (qui sia regista che direttore della fotografia), che per descrivere le sue scene fa un largo uso di inquadrature ampie con dei movimenti di macchina molto lenti, in modo da poter mantenere la composizione fotografica. Non mancano, come prevedibile, i piani sequenza per cui il regista è celebre: per quanto non vengano raggiunti i fasti del suo Children of Men, Cuarón ci presenta diverse sequenze imponenti, che servono ad aumentare il coinvolgimento nella storia.
Roma è un’opera in grado di coinvolgere nel profondo chi glielo permette, chi si sente di entrare nell’animo di un autore che ha aperto se stesso per realizzare il suo film più personale e intenso.
THE FAVOURITE
Dopo l’ottimo The Lobster e l’inarrivabile The Killing of a Sacred Deer, in molti aspettavano l’approdo di The Favourite di Yorgos Lanthimos a Venezia, anche se questa volta la firma dell’autore greco è solo alla regia e non alla sceneggiatura. Con la sua nuova opera, il regista dimostra di saper mantenere un equilibrio tra il suo stile caratteristico e una varietà che gli permette di non avere una filmografia monotona. In The Favourite Lanthimos lascia da parte l’apatia che aveva pervaso i suoi due film precedenti e spinge l’acceleratore sull’eccentricità e sull’umorismo.
Siamo nell’Inghilterra del diciottesimo secolo e seguiamo lo spietato scontro tra Sarah Churchill (Rachel Weisz) e la nuova arrivata Abigail Masham (Emma Stone) per il ruolo di favorita (“persona che gode del massimo favore di un sovrano”) della regina Anne (Olivia Colman). In The Favourite l’intero cast viene messo in ombra dalla presenza di Olivia Colman, che ruba in continuazione la scena e dimostra ancora una volta di essere una delle migliori attrici al mondo, finalmente in un ruolo di spicco anche sul grande schermo. La sua Queen Anne è intransigente e severa, ma allo stesso tempo volubile e debole. Ma soprattutto, Olivia Colman incarna perfettamente lo spirito stravagante di Lanthimos.
Ed è proprio la stravaganza che impregna tutto il film, spesso raggiungendo i limiti della pura comicità. L’autore greco si dimostra perfetto anche per questo stile, perché riesce a espandere questa caratteristica fino al suo massimo. Il senso di pazzia si può notare semplicemente anche nelle inquadrature, condite da un largo uso di fish-eye, quasi a volere accentuare l’effetto straniante. La follia viene mimata anche dalla musica, con un particolare suono di metronomo che pervade incessante tutta la prima parte della storia e che si trasforma poi in delle note di pianoforte sempre più alte. Al contrario delle sue opere precedenti, però, il regista questa volta ha voluto nascondere sotto strati e strati di squilibrio anche un lato più suggestivo ed emozionante, che aiuta a rendere meno cinici i personaggi della storia. Ma naturalmente non può essere tutto rose e fiori, ed è inevitabile che a un certo punto, prima o poi, emerga il Lanthimos che conosciamo e amiamo, in tutta la sua crudezza e la sua apatia.
Luigi Dalena
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