Black Mirror si sposta nella desolate lande islandesi per poter entrare nella profondità della coscienza umana.
Crocodile è il terzo episodio della quarta stagione, è scritto da Charlie Brooker, creatore della serie, diretto da John Hillcoat e vede l’attrice Andrea Riseborough nei panni della protagonista.
Questo articolo contiene spoiler!
Siamo in Islanda. Mia e Rob, tornando in auto da una festa, investono e uccidono accidentalmente un ciclista. Sono entrambi sconvolti, ma Rob riesce a convincere una riluttante Mia a insabbiare l’incidente, buttando il cadavere in un lago.
Diversi anni dopo ritroviamo Mia, ora è sposata, ha un figlio, ed è un architetto di successo. Charlie Brooker enfatizza già la protagonista come una donna normale, con una vita rispettabile e che è riuscita a lasciarsi alle spalle l’incidente con cui si è aperta la puntata. Tutto però cambia quando incontra Rob, con cui si è tenuta sporadicamente in contatto, che la informa su come sia intenzionato a fare ammenda, scrivendo una lettera anonima alla moglie dell’uomo che ha ucciso. Qui l’episodio inizia già a mostraci l’ampia gamma che offre la coscienza umana: una persona, a distanza di anni, è ancora devastata dall’accaduto, e non riesce a darsi pace per quello che ha commesso; l’altra persona invece non è scalfita, ha superato l’incidente e capisce che riaprire la questione non sarebbe una buona idea. Questa scena arriva dopo un salto nel tempo di diversi di anni non per caso. Non sappiamo come hanno vissuto Mia e Rob da quel giorno al presente, non abbiamo visto il naturale tormento per quello che è successo, non sappiamo cosa li ha portati dove sono. Però in pochi minuti viene reso ovvio come il punto di vista dei due si sia invertito. Crocodile ci dimostra come raziocinio o sensi di colpa siano sentimenti e pensieri che possono essere facilmente stravolti, ma si dimentica di dimostrarci come.
Da questo momento la puntata vira. Crocodile si rivela la storia della distruzione di una coscienza umana. Mia, in un momento di panico, diventa più aggressiva e cerca di fermare Rob. Il suo tentativo ha fin troppo successo quando lui, cadendo, sbatte la testa. A questo punto qualcosa succede a Mia. Capisce definitivamente che il suo benessere viene prima della morale, dell’etica e della giustizia. Non vede altro modo di fermare la situazione, e di fatto salvare la propria vita, se non quello di uccidere Rob. Se è andata bene una volta, perché non dovrebbe andare bene una seconda? È ironico il fatto che in questo caso la vittima sia proprio quella persona che per prima ha insinuato nella sua mente questa alternativa, convincendo Mia a occultare il primo omicidio.
Tutto quello che accade dopo nell’episodio non è troppo fondamentale ai fini di un’analisi dello stesso. Perché è tutto un’esagerata conseguenza di questo atto. In quella stanza d’albergo avviene il cambiamento di Mia. È qui che lei decide di pensare a se stessa senza rispettare la vita altrui, e la brutale serie di omicidi che ne consegue è solamente il “naturale” esito di questa sua decisione. Le altre vittime, secondo il suo ragionamento, sono vittime necessarie per poter dare un taglio alla situazione e poter essere libera di continuare la sua vita senza ripercussioni.
Per un episodio di Black Mirror, è strano non menzionare la tecnologia usata. Ma questa volta stranamente può passare in secondo piano. La morale di Charlie Brooker non è troppo legata ad essa, anche perché una tecnologia simile l’aveva già analizzata in The Entire History of You. Questa volta invece il focus della sceneggiatura è dimostrare quanto in là è disposta a spingersi una persona pur di preservare il benessere e la regolarità della sua vita. Mia è una persona normale, non è una criminale incallita, abituata a omicidi o che intendeva fare del male di partenza. È una ragazza che da giovane si è trovata in una situazione fuori dal suo controllo. Crescendo, infatti, ha una vita ordinaria ed esemplare. È stata poi la nuova situazione in cui si è trovata a portarla a cambiare, a sacrificare la sua umanità togliendo la vita ad altre persone innocenti per poter salvare la propria. Brooker infatti enfatizza spesso come Mia sia provata da quello che sta facendo, pur continuando a farlo. Piange, è disgustata e disperata, chiede scusa all’investigatrice perché sa che è stata solo sfortunata, che si tratta solo di una serie di cause fortuite che hanno portato a una serie di effetti. Però continua. Perché secondo lei il fine giustifica i mezzi. E il suo fine è quello di tornare all’ordinarietà della sua vita, come se nulla fosse successo e senza che niente possa intaccare questa regolarità. Mia è sola nell’universo. Le ambientazioni desolate di questo episodio ne sono una perfetta metafora. C’è solo lei. Lei e la sua famiglia. Tutti gli altri non contano nulla, vengono messi in un piano di importanza ben inferiore al suo, e quindi se intaccano il benessere suo e della sua famiglia, possono essere sacrificati. Il pensiero di Mia è un ragionamento estremo che però è in linea con l’obiettivo di Black Mirror di rappresentare senza mezzi termini anche le realtà più oscure della mente umana. La magia di questa serie è propria questa: mettere in scena la scala di grigi tra la pura bontà e la pura malvagità delle persone. Dimostrare come la realtà sia fatta da soggetti ordinari che alla fine dei conti pensano solo a loro stessi, mettendo completamente da parte le definizioni di bene o male che per secoli sono state le sole alternative della narrativa classica. Non è la prima volta che Black Mirror mette in luce come l’egoismo sia intrinseco negli esseri umani e spesso molto più marcato di quello che si vuole far credere, lo splendido finale di Fifteen Million Merits è incentrato tutto su questo (magari i vari riferimenti a quell’episodio non sono casuali, tra la nomina del programma Hot Shots e la ripetizione di “Anyone Who Knows What Love Is” di Irma Thomas). È però sicuramente la prima volta che l’egoismo ha della conseguenze così brutali.
Un particolare che stride nell’episodio è il suo finale, con l’aggiunta del criceto e la conseguente polizia che va ad arrestare la protagonista in due secondi che a momenti neanche Maurizio Mosca ai tempi d’oro. Non tanto per il criceto in sé, ma perché una conclusione della storia più adatta, e più da Black Mirror, sarebbe una in cui Mia non viene scoperta o arrestata, passa il resto della sua vita libera ma nel tormento, come evidentemente stava già succedendo nelle ultime scene. Per enfatizzare la cosa, addirittura sarebbe stato ancora più tagliente far capire anche a lei, non solo allo spettatore, che il bambino era cieco, con qualche indizio nella stanza che avrebbe notato solo dopo l’omicidio. Capire che il suo ultimo atroce atto era stato completamente inutile sarebbe stata la conclusione perfetta per la parabola della distruzione della sua coscienza.
Luigi Dalena
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