Altra avventura del Dottore, altra recensione di Due cuori e una cabina. Questa volta parliamo di…
Episodio 4×10: Midnight
Scritto da: Russel T Davies
Diretto da: Alice Troughton
Data di messa in onda: 14/06/08
DOVE ERAVAMO
Abbiamo conosciuto e subito salutato (ma non per sempre) River Song e affrontato i pericoli della Biblioteca, ora finalmente è arrivato il momento di rilassarsi un po’, no?
E invece NO!
UN RESORT SPAZIALE
Ritroviamo Donna e il Dottore che tentano di godersi una meritata vacanza, dopo tutto quello che hanno passato, in una specie di villaggio vacanze interplanetario, tra pigri pomeriggi distesi al sole e gite fuori porta tra i pianeti. A quanto pare la prima delle attività è quella che Donna preferisce, mentre il nostro Doctah non riesce a liberarsi del suo spirito di avventura nemmeno in vacanza. Visto però che, per quanto bravo uno sceneggiatore possa essere, sarebbe un po’ complicato ambientare una puntata del Dottore tra crema solare e Mojito, per questa volta lasceremo Donna a prendere il sole e seguiremo il nostro eroe mentre si imbarca su una navetta che promette una eccitante visita a cascate fatte di zaffiri e altri scorci mozzafiato del pianeta Midnight, che a quanto pare, prima che decidessero di aprirvi un villaggio vacanze, non era mai stato visitato da nessuno, visto che i raggi del suo sole riducono in cenere in mezzo secondo qualsiasi forma di vita.
Curiosità: l’episodio è stato girato in contemporanea al successivo Turn Left, dove è il Dottore a comparire pochissimo. Quando si dice ottimizzazione delle risorse.
Il Dottore sale sulla navetta, disattiva prontamente l’intrattenimento di bordo a base di cartoni anni ’30 e video di Raffaella Carrà e fa amicizia con gli altri passeggeri, ovvero un professore con la sua assistente, una coppia di burini con figlio in piena fase di nichilismo adolescenziale che giustamente si vergogna di loro, una donna-manager appena lasciata dalla fidanzata, la hostess, il pilota e il meccanico di bordo. E fatti salvi un paio di minuti, è nel minuscolo spazio della navetta che si svolge tutta la puntata.
UN DOTTORE IN BOTTIGLIA
Si tratta infatti di un cosiddetto bottle episode. Vengono chiamati così quegli episodi (moltissime serie, prima o poi, ne possono vantare uno) che la produzione, di solito per risparmiare soldi, decide di ambientare in uno spazio ristretto. Il termine, a quanto pare, è derivato direttamente dai ship-in-a-bottle episodes, termine con cui la produzione di Star Trek definiva gli episodi interamente ambientati a bordo dell’Enterprise.
Curiosità: Russel T Davies ha dichiarato di essersi ispirato, nello scrivere Midnight, al secondo episodio della quinta stagione di Star Trek: The Next Generation, intitolato “Darmok“. La trama tuttavia non ha punti di contatto con quella dell’episodio, se non un vago riferimento all’incomunicabilità tra forme di vita diverse, ma questo non mi ha impedito di immaginare un incontro TARDIS-Enterprise dopo il quale potrei morire felice.
Quello che di primo acchito potrebbe apparire un limite si è dimostrato negli anni uno stimolo per sceneggiatori e showrunner a trovare nuove e originali formule narrative, spesso regalandoci alcuni dei più begli episodi della serie di riferimento. Alcuni esempi? L’episodio della seconda stagione di Friends intitolato “The One Where No One’s Ready” è uno dei più amati dai fan, X-Files ne conta addirittura 3 (“Space”, “Ice” e “Darkness Falls”), Star Trek: Deep Space 9, anni dopo la serie originale, sforna un altro episodio amatissimo come “Duets”, Firefly ci regala “Out Of Gas” (e qui dire che è uno dei più belli della serie è inutile, sia perché la serie è purtroppo brevissima, sia perché ogni singolo episodio è un gioiello), Community (fedele al suo spirito meta) riesce addirittura a produrre un bottle episode cosciente di esserlo. E poi Buffy, Angel, The Sopranos, The West Wing, fino ad arrivare al più bel bottle episode che io abbia mai visto in una delle serie più belle che io abbia mai visto, ovverosia “Fly“, decimo episodio della terza stagione di Breaking Bad. Subito dopo, però, lo segue a ruota proprio questo Midnight.
È GIUNTA MEZZANOTTE
Abbiamo lasciato il Dottore a chiacchierare con gli altri passeggeri e lo ritroviamo a fare amicizia anche con l’equipaggio, in attesa che venga risolto un piccolo problema tecnico. Che però non viene risolto. L’astronave è fuori rotta, in una zona mai esplorata prima. È stato lanciato l’allarme, i soccorsi arriveranno quanto prima, ma la nostra mente di spettatori ormai abituati a certi cliché narrativi si mette a lavorare di anticipo per prevedere quale possa essere il pericolo in agguato. Un alieno ostile? Impossibile, la luce esterna (come più volte ribadito) uccide qualsiasi forma di vita organica. Potrebbe finire l’aria? Nemmeno, grazie al filtro di ricircolo si potrebbe respirare per 10 anni. Cibo? I soccorsi arriveranno in meno di un’ora, non resta che starsene buoni e aspettare. Eppure, quando il Dottore sembra essere riuscito a riportare la calma… qualcuno bussa. Due rintocchi, proprio sullo scafo. Tutti si guardano smarriti, ma i rintocchi continuano. Qualcuno, vincendo la paura, risponde. Tre rintocchi… e tre rintocchi di risposta. Il Dottore (anticipando senza saperlo il suo destino) bussa quattro volte, e lo stesso fa la misteriosa entità che, ormai è chiaro, è una forma di vita intelligente. Inizia così una girandola di panico che, tra rintocchi sempre più ravvicinati, urla, luci che si spengono e portelli che si aprono (sul nulla, la cabina di pilotaggio nel frattempo è sparita) si conclude improvvisamente, lasciano Sky, la manager fresca di separazione, di spalle immobile in un angolo. Con cautela si cerca di capire se stia bene, finché finalmente si volta… e non è lei. Cioè, è lei… ma non è più lei e noi spettatori lo capiamo immediatamente. Imita i gesti del Dottore, inizia a ripetere le parole di tutti, poi inizia a parlare all’unisono con chiunque apra bocca e poi… qual è il passo successivo?
Curiosità: l’attore che interpreta il professore è David Troughton, figlio di Patrick Troughton, che interpretò il Secondo Dottore. Anche la regista dell’episodio si chiama Troughton, ma in questo caso non c’è parentela.
Non ho intenzione di continuare a raccontarvi l’episodio, ma era importante che vi portassi fin qui, perché il meccanismo narrativo alla base dell’episodio nasce esattamente da questa situazione tipo: che cosa succede quando un piccolo gruppo di persone in un ambiente ristretto si trova a fronteggiare un pericolo imminente?
LA CONDIZIONE UMANA
Ci sono varie dinamiche che fatalmente si innescano, in una situazione del genere. Anzitutto vi è una lotta per la leadership, le personalità dei presenti combattono silenziosamente finché quella dominante non si impone… salvo essere sistematicamente rimessa in discussione, quando il rischio si acuisce. In questo caso, ovviamente, il Dottore vince la sfida a mani basse… ma per quanto? Può davvero il suo stupefacente carisma riuscire a resistere a uno dei più potenti motori emotivi che l’uomo conosca, ovvero la paura? L’appello a essere razionali, a riflettere e analizzare la situazione può veramente sedare il più ancestrale degli impulsi, o rischia forse di essere proprio ciò che fa crollare le gerarchie? Dimostrare di essere “il più intelligente” basta a richiamare chi si ha di fronte alla ragione o rischia di essere invece ulteriore motivo di diffidenza? E anche cercando di essere razionali… quanto possiamo davvero fidarci di ciò che vediamo, in condizioni di estremo terrore? Ciò che crediamo di vedere è reale o ci convinciamo solo di averlo visto, magari per giustificare una decisione che in cuor nostro abbiamo già preso?
Credo che mai, in nessuna delle puntate della nuova serie, quel buffo alieno che tanto amiamo e che sempre ha difeso gli esseri umani e ha ribadito il loro essere così speciali sia stato così profondamente deluso… e a ragione, perché l’umanità ne esce davvero con le ossa rotte. Il bonario professore si rivela essere un trombone saccente che contesta al Dottore il titolo di cui secondo lui indebitamente si fregia, la coppia è l’emblema (magari un po’ stereotipato, questo lo ammetto) dei burini di provincia sempliciotti e forcaioli e in generale ogni personaggio, a un certo punto della puntata, dà il peggio di sè. Al primo contatto con una forma di vita sconosciuta, la cosa migliore che viene loro in mente è di buttarla fuori dall’astronave e quando il Dottore vi si oppone lo isolano, si fanno sempre più sospettosi nei suoi confronti, interpretano la sua intelligenza non come una risorsa, ma come ciò che lo rende differente e infine vogliono buttare lui dalla nave, auto-convincendosi che sia la cosa giusta da fare. Una persona (non vi dirò chi), in un sussulto di lucidità, lo impedirà. Una persona di cui nessuno (si scopre a posteriori) sa nemmeno il nome salva la vita di tutti, lasciando un Dottore deluso ed esausto a liquidare con uno sguardo eloquente i meschini voltafaccia di chi fino a un secondo prima voleva defenestrarlo, in modo non dissimile da tutti quelli che alla fine della Seconda Guerra Mondiale si riscoprirono dalla sera alla mattina partigiani. Ci sono infinite chiavi di lettura alle dinamiche che vediamo messe qui in scena (sociali, antropologiche, filosofiche), ma al di là di ogni elaborazione successiva il fondo è che dopo quasi quattro stagioni passate a mostrarci in tutte le salse perché tutto sommato valga la pena salvare l’Umanità, in un episodio, uno solo, ci viene mostrato perché invece potrebbe non valerne affatto la pena. E la domanda che più preme a visione conclusa è: siamo davvero sicuri che NOI, nella stessa situazione, ci comporteremmo diversamente? Quando a fine episodio Donna (che come tutti i companion è per il Dottore il paradigma dell’umanità, la summa delle sue migliori qualità) ripete senza pensarci una sua frase come faceva all’inizio la misteriosa entità, il Dottore le dice solo “don’t”. Non farlo. Almeno tu no.
Eleucalypthus
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