Il blog di Italiansubs presenta Roots, la miniserie di History che riporta in TV la storia di Kunta Kinte.
TRAMA E INFORMAZIONI
Roots è una miniserie televisiva in quattro parti in onda su History a partire dal 30 maggio e distribuita sui canali A&E e Lifetime. È il remake dell’omonima serie andata in onda in America nel 1977 e basata sul romanzo Roots: The Saga of an American Family di Alex Haley. Siamo nel 1750 in Gambia, Africa occidentale. I Madinka accolgono l’arrivo di un nuovo arrivato, Kunta Kinte (Malachi Kirby), figlio di Binta Kebba e Omoro Kinte (Babs Olusanmokun). Kunta cresce nel suo villaggio di Juffure e non appena diventa adolescente inizia il suo addestramento per diventare un guerriero Mandinka. Siamo in pieno periodo coloniale e la tratta dei neri è una pratica ormai consolidata tra i proprietari delle piantagioni e alcuni mercanti di schiavi locali. Al giovane Kunta viene insegnato a difendersi dalle aggressioni da parte degli schiavisti. Tuttavia questo non basta a evitare che all’età di 17 anni venga catturato e deportato in America per essere venduto a qualche proprietario di una piantagione. È così che Kunta Kinta viene acquistato da John Waller (James Purefoy), proprietario di una piantagione in Virginia, e viene affidato a Fiddler (Forest Whitaker) in modo che gli possa insegnare come ci si comporta all’interno della piantagione.
Prodotta, tra gli altri, da LeVar Burton (che nella serie del 1977 aveva interpretato proprio il giovane Kunta Kinte) e da Mark L. Wolper (produttore di Bates Motel, nonchè figlio di David L. Wolper produttore della serie originale), gli episodi di Roots sono stati girati ciascuno da un regista diverso. Ad occuparsi del pilota Phillip Noyce (Il collezionista di Ossa) mentre i restanti episodi sono stati diretti, in ordine di messa in onda, da: Mario Van Peebles (21 Jump Street), Thomas Carter (Save the Last Dance) e Bruce Beresford (Last Dance). Nonostante i tentativi di boicottaggio portati avanti dal rapper Snoop Dogg (secondo cui bisognerebbe smetterla di raccontare la schiavitù e puntare su storie più contemporanee), l’episodio pilota ha debuttato con circa 5,3 milioni di spettatori sintonizzati tra i 4 canali che hanno distribuito la premiere (History, A&E, Lifetime e LMN).
IMPRESSIONI SUL PILOT
Parto con il dirvi che non ho guardato la miniserie originale né ho letto il libro da cui è tratta la serie. Il che, da un certo punto di vista, penso sia un bene dal momento che altrimenti avrei impostato il tutto secondo un paragone con le due opere precedenti. Il primo episodio della serie si apre con una narrazione in voice over che ci introduce alla storia di Kunta Kinte. La voce è quella di Lawrence Fishburne che, nella fattispecie, fa le veci del vero narratore della storia, lo scrittore Alex Haley che di Kunta Kinte è discendente dal ramo materno. L’intento è duplice: ripercorrere la storia del giovane guerriero Mantinka attraverso la riscoperta, da parte di Haley, delle proprie radici e metterne in evidenza l’importanza del custodirle e di tramandarle. Lo stesso Hailey apprese delle vicende del suo antenato grazie ai racconti della nonna materna, quel racconto orale tramandato di generazione in generazione e che porta con sé la testimonianza del periodo della schiviatù. Ed è proprio l’immagine di un ragazzo in catene, che urla e si dimena all’interno della stiva di una nave, ad aprire la prima parte di questo racconto che comincia sulle sponde del Kamby Bolongo nel 1750, l’anno in cui nasce Kunta Kinte. Nonostante il flashback all’inizio dell’episodio possa risultare un po’ precoce, la sua funzionalità emerge sulla lunga percorrenza, nel momento in cui appare chiaro che lo scopo dell’episodio è quello di fornire un background in base al quale lo spettatore può trovare parallelismi e rintracciare quelle radici di cui vuole parlare la serie e che definiscono l’identità di una persona. Al contesto tribale, con i suoi rituali e le sue regole ben precisi, si contrappone il contesto coloniale, quello della piantagione dove l’identità personale dello schiavo non conta più. L’intero episodio è disseminato di riferimenti culturali personali della vita di Kunta (dai canti al lignaggio del guerriero Mantinka) che lo definiscono e si contrappongono all’annientamento dell’identità nel momento in cui da persona libera diventi schiavo. «You can’t buy a slave. You have to make a slave» (Non puoi comprare uno schiavo. Devi renderlo uno schiavo), dice uno dei supervisori della piantagione in cui Kunta Kinte va a finire. Magari il racconto di Hailey – e di conseguenza quello di Roots – contiene anche degli elementi romanzati. Tuttavia già dalla prima parte della miniserie si mette in risalto come la schiavitù sia un meccanismo di annientamento identitario al quale puoi soggiogarti completamente oppure puoi resistere tenendo sempre presente le tue origini. L’identità tribale, quella familiare, entra in conflitto con l’identità dello schiavo, artificiale e imposta da qualcun altro. E questo conflitto viene ben rappresentato da un bravissimo Malachi Kirby (che peraltro rivedremo in un episodio della nuova serie di Black Mirror), in grado di rappresentare la rabbia in maniera viscerale, e ad un altrettanto apprezzabile Forest Whitaker che grazie al giovane Kunta ricorda la sua provenienza dalla quale sembra essere sorpreso, quasi intimorito per averla messe da parte soggiogandosi completamente alla vita della piantagione.
Il primo episodio di Roots, tutto sommato, è ben fatto, nonostante un paio di passaggi della seconda parte del pilota sembrino un po’ imperfetti, dando la sensazione di voler stare più all’interno di tempi televisivi (l’episodio dura un’ora e 40 minuti) e scaricando tutto sulle strazianti scene finali. Tuttavia se questo aspetto per un certo verso può sembrare un po’ artificioso, per un altro riporta tutto sul lato prettamente emotivo della storia.
IL TRAILER
Se volete conoscere la storia di Kunta Kinte o se la volete rivivere attraverso questo remake, a questo link trovate i sottotitoli del primo episodio. Buona visione!
givaz
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