Ogni fa bene parlare anche delle magagne televisive nostre, sempre però con grande chiarezza e onestà, chiamando le cose con il loro nome. Il sistema della fiction italiana quindi fa schifo, solo alcune singole produzioni si salvano, venendo anche premiate dal pubblico. Lo sceneggiatore tv Stefano Piani ci aiuta a dare uno sguardo all’interno del sistema televisivo italiano.
Il passaggio che riporto è nei commenti ad un post recente di Piani, uno che si è formato facendosi le ossa per anni su Nathan Never, e risulta un pò fuori contesto, vi invito quindi a leggervi anche il post completo su stefano-piani.blogspot.com.
E’ molto poter leggere il parere di uno sceneggiatore italiano dell’ambiente, da noi manca la cultura dello ‘showrunner’ come negli Stati Uniti, finora l’unico che era riuscito a vuotare il sacco era stato costretto a travestirsi.
Scherzi a parte, ecco cosa ha avuto da dire Stefano Piani:
I motivi per cui da noi non si riescono a scrivere e produrre serie come quelle americane sono molti. Elenco alla rifusa i primi che mi vengono in mente, sicuro di lasciarne fuori molti altri:
– Pigrizia delle reti che preferiscono percorrere strade già battute piuttosto che rischiare su qualcosa di nuovo.
– Incompetenza diffusa, di sceneggiatori, editor di rete e produttori.
– Sceneggiatori, registi e produttori pavidi che, in nome dei soldi, accettano ogni cosa senza ribellarsi: ho visto cose che voi umani…
– Età media degli spettatori televisivi molto avanzata.
– Un sistema televisivo bloccato, ovvero, un duopolio che è, in realtà, un monopolio con un solo padrone che detta le regole.
– La voglia da parte delle reti di non scontentare nessuno, di piacere a tutti. Una delle prime cose che impari quando inizi a fare questo mestiere è che quello che scrivi non deve essere mai troppo spaventoso o angosciante. Perché? Perché vendere merci è il motivo principale per cui in Italia si produce fiction e storie troppo dure o ansiogene – parola vietata – potrebbero allontanare il pubblico dai prodotti pubblicizzati all’interno delle vostra serie.
– Un certo snobismo da parte di chi fa cinema nei confronti della televisione. In America non succede. Lì la rivoluzione c’è stata 20 anni fa quando il grande David Lynch ha deciso di fare “Twin Peaks”. E’ stato in quel momento che ci si è detti, come il dottor Frankenstein: e che la televisione è cambiata per sempre. La loro, non la nostra.
– La necessità di far lavorare, attori, attricette e produttori incapaci, purché amici dei vari potenti di turno.
– La tendenza, da parte di chi lavora nel settore, a trattare il pubblico come un” bambino di 12 anni nemmeno troppo intelligente” (la definizione è di Silvio Berlusconi)
– Una politica televisiva che negli ultimi 30 anni ha, coscientemente, trasformato il pubblico in un un bambino di 12 anni nemmeno troppo intelligente.
Tutte cose che hanno trasformato la nostra televisione in quello che è ora; cosa che fa ancora più rabbia se ripensiamo alla RAi fino ai primi anni ’80 e a produzioni come “La baronessa di Carini”, “Il segno del comando”, “Dov’è Anna?” o ai teleromanzi di Anton Giulio Majano.
Dopo questo breve sfogo rispondo alla seconda domanda.
“il mondo televisivo italiano non ha tutto l’interesse a produrre telefilm e serie simili a quelle che compra dagli altri paesi?”
La risposta è no.
Malgrado la differenza qualitativa tra “The closer” e, mettiamo, “Distretto di polizia” sia palese, la prima serie la guardano in pochi. Ma alla rete non importa perché l’acquisto di una serie americana gli costa molto meno rispetto alla produzione di Distretto e, quindi, non ci perde comunque soldi. E’ distretto che deve fare ascolto, non “The closer”. Distretto lo fa e questo, per lor signori, è sufficiente. Perché impegnarsi per fare qualcosa di meglio quando quello che fai ha comunque successo?
Il fatto è che a furia di mandare in onda serie come “Un medico in famiglia”, “Ho sposato uno sbirro”, ecc, l’immaginario del telespettatore medio si è impoverito a tal punto che, ormai, non è più in grado di capire perché una qualunque puntata di “House”, valga otto stagioni di Don Matteo.
Ecco il link all’articolo stefano-piani.blogspot.com/2011/01/mettiamo-il-caso.html
Chris Bernard
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