La società di monitoraggio MUSO ha evidenziato che più di 1 miliardo di utenti ha visto la settima stagione di Game of Thrones su canali pirata e non ufficiali (mentre solo 32 milioni su piattaforme ufficiali). La pirateria danneggia realmente il mercato? Di seguito, analizziamo la situazione.
La settima stagione di Game Of Thrones è stata ripetutamente bersagliata dagli hacker. Prima il rilascio di tutta la trama attraverso Reddit, poi attraverso leak di episodi veri e propri (per non parlare di numeri di telefoni di attrici e attori). Questo, tuttavia, non ha danneggiato gli ascolti. Infatti la serie del network HBO ha registrato il record di ascolti che con il season finale, The Dragon and the Wolf, sono arrivati a 12.1 milioni di spettatori per la trasmissione in diretta. In Italia i pirati sono circa 20 milioni. Questa è la cifra che si evince da uno studio Ipsos commissionato dalla Fapav, la Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali. Dallo studio si evince che, in Italia, la pirateria abbia causato un danno calcolato in 686 milioni di euro (circa lo 0.04% del PIL). Come riportato da Repubblica:
“I giovani devono imparare a rispettare le persone che lavorano nel cinema e nella TV e che nel 96% dei casi non appare mai ma resta a lavorare dietro le quinte”, fa notare Christopher J. Dodd, presidente Motion Picture Association of America. Il problema non è italiano, è globale. Bisogna non solo agire bloccando i siti pirata, ne sono stati chiusi poco meno di mille in Europa, ma puntare anche sull’offerta. Oggi esistono 480 servizi legali di distribuzione online nel mondo. Dobbiamo assolutamente averne di più.
Sembrerebbe che la lotta alla pirateria sia necessaria. Infatti Netflix, Amazon, HBO e altri hanno fondato per questo scopo la ACE – Alliance for Creativity and Entertainment. Tuttavia, negli ultimi giorni, è emerso un documento che sembrerebbe mettere in dubbio queste certezze. Julia Reda, parlamentare europea del Piratenpartei, ha pubblicato un report della Commisione Europea dal titolo Estimating displacement rates of copyrighted content in the EU.
Lo studio usa dati del 2014 e copre quattro tipi di contenuti multimediali: musica, materiale audio-visivo, libri e videogiochi (includendo nell’analisi anche le visite al cinema e il numero di concerti ascoltati dal vivo). I paesi inclusi nell’analisi sono Germania, Regno Unito, Spagna, Francia, Polonia e Svezia. Il report mette in evidenza come nel 2014, in media, il 51% degli adulti e il 72% degli adolescenti nell’Unione Europea ha scaricato o visualizzato illegalmente qualsiasi forma di contenuto multimediale, con tassi in Polonia e Spagna più alti che nel resto del campione preso in esame. La cosa più sconvolgente è che, in generale, i risultati non mostrano alcuna evidenza statistica (robusta) sulla compromissione delle vendite causato da infrazioni online del copyright. Ciò non significa necessariamente che la pirateria non abbia alcun effetto, ma che l’analisi econometrica non ha mostrato con sufficiente grado di confidenza che vi sia un qualche effetto. Un’eccezione riguarda i recenti film più importanti. I risultati mostrano un tasso di sostituzione (displacement rate) di circa 40%: ossia che per ogni 10 film blockbuster guardati illegalmente, quattro film in meno sono consumati legalmente. Lo studio ha anche analizzato la “volontà di pagare” dei consumatori per contenuti accessi illegalmente, in modo da verificare se la pirateria è un fenomeno collegato al livello dei prezzi. L’analisi indica che per film e serie TV i prezzi correnti sono più alti del 80% di quanto i “pirati” sono disposti a pagare. Invece, ciò non è vero per musica e giochi, suggerendo che un calo dei prezzi potrebbe avere un effetto sui tassi di sostituzione per film e serie TV.
L’analisi è stata condotta utilizzando vari modelli econometrici, dal più semplice (Ordinary Least Squares – OLS) ai più complessi che sfruttano i panel data. La metodologia per costruire il campione è la “one-off survey”, un approccio che, tuttavia, non tiene conto del problema dell’endogeneità. Ciò renderebbe le stime non consistenti (e quindi completamente inutili ai fini dell’inferenza statistica). Un modo per risolvere questo problema è fare uso delle variabili strumentali (instrumental variables – IV): variabili correlate con quelle endogene ma incorrelate con il termine d’errore. Da evidenziare come le variabili strumentali utilizzate siano rilevanti (strumenti e variabili endogene sono correlati) e, soprattutto, non deboli (correlazione forte). Nulla è detto sulla validità (incorrelazione degli strumenti con il termine di errore). Gli autori hanno chiarito che non c’è alcun modo diretto per testarla (vi sono metodologie, quali ad esempio il Sargan Test, ma forniscono risultati generali e non specifici per ogni strumento). Se ipotizziamo che gli strumenti siano validi, le transazioni illegali online inducono maggiori transazioni legali per quanto riguarda i giochi. Per le altre categorie, i download illegali tendono a rimpiazzare le vendite fisiche, anche se i margini di errore indicano, a un livello di significatività del 5%, che tale sostituzione è compresa tra lo 0 e il 100%. Nel caso di film e serie TV, un tasso di sostituzione del 27% (con margine di errore del 36%) indica che le infrazioni online del copyright molto verosimilmente avranno effetti più negativi che positivi.
Rob e Waldfogel hanno utilizzato un approccio “quasi panel-data” che consiste nel chiedere agli intervistati quali dei 150 film, contenuti in una lista scritta dai due docenti, siano stati visti e come siano stati visionati la prima, la seconda e la terza volta. Questo approccio fornisce una dimensione temporale al campione (anche se fittizia) in modo da poter risolvere facilmente il problema dell’endogeneità. I due autori hanno commentato che quando il file sharing dei film diventa più facile, è più probabile che i tassi di sostituzione medi decrescano anche se la sostituzione totale potrebbe essere maggiore a causa del volume aumentato del file sharing. La ragione di ciò risiede nel fatto che quando il file sharing è difficile, solo le persone che prevedono molti download illegali investiranno tempo nel file sharing. Se il questo invece fosse semplice (e anche a costo nullo), è possibile che anche persone che non pagherebbero per vedere un film al cinema perché non interessate sarebbero interessate al file sharing. In più i due autori hanno predetto che un aumento nel volume del file sharing dei film con tassi di sostituzione medi più piccoli potrebbe causare una minaccia seria per l’industria. Tuttavia, anche se l’analisi econometrica non ha evidenziato alcun legame causa-effetto, questo è stato evidenziato da altri paper (anche se in settori differenti). Ad esempio, per quanto riguarda il settore cinematografico, Benedikt Herz e Kamil Kiljanski (membri della Commissione Europea) nel loro paper “Movie Piracy and Displaced Sales in Europe: Evidence from Six Countries” hanno evidenziato come vi siano perdite sostanziali derivanti dalla pirateria, perdite che vanno dal 1.65% in Germania al 10.41% in Spagna.
Quale potrebbe essere quindi la soluzione? Quale potrebbe essere il modo efficiente per combattere la pirateria? Una risposta, forse, ce la potrebbe fornire Netflix. Il furto da parte di un hacker di tutta la stagione di Orange is The New Black ha evidenziato un risultato inatteso. Negli anni passati probabilmente sarebbe stato pagato il riscatto, ma il colosso di Reed Hastings, invece, non ha ceduto. A buona ragione. I modelli di business basati sulla sottoscrizione (ossia il pagamento mensile/annuale) nella distribuzione dei contenuti sta sconfiggendo la pirateria. Se questa esiste ancora è soltanto perché non vi è adeguamento a questo nuovo modello (avrei una mia opinione, ma la esprimo alla fine). Questa è l’opinione di Leonid Bershidsky, giornalista di Bloomberg. Il giornalista fornisce dei dati per provare la sua tesi.
Nel 2016 il traffico in download derivante da BitTorrent ha raggiunto un picco, nel Nord America, del 1.73%, 60% in meno rispetto al 2003. Netflix, invece è responsabile di circa il 35.15% del traffico. Secondo Cisco Systems, il traffico nel fire sharing non è destinato a crescere.
In conclusione, vi sono rapporti contrastanti: chi dice che la pirateria possa far da pubblicità per i contenuti e quindi causare maggior interesse nei prodotti (vi sono evidenze empiriche) e chi dice che la pirateria danneggi l’industria dei contenuti multimediali (vi sono evidenze empiriche). Citando Ovidio, inter utrumque tene, medio tutissimus ibis (resta tra le due, nel centro viaggerai sicuro). Personalmente ritengo che sia giusto combattere la pirateria, ma è necessario farlo in modo intelligente. Farlo a suon di milioni potrebbe essere una procedura time and money consuming. In un mondo capitalistico e utopistico, ogni prodotto è prezzato dal mercato, un mercato efficiente ove si incontrano gli interessi di chi domanda e di chi offre. Il risultato è un prezzo di equilibrio. La teoria economica suggerisce che il prezzo ottenuto in un mercato in concorrenza perfetta è, per definizione di equilibrio paretiano, il migliore possibile. Magari un modo più intelligente per arginare la pirateria è, invece di creare alleanze e quant’altro, avere maggiore concorrenza. In questo modo, a parità di varie condizioni, il prezzo potrebbe essere molto vicino al prezzo di riserva di chi usufruisce di download illegali. Così, si ridurrebbe la pirateria in un modo socialmente accettabile. Si giungerebbe a un livello di pirateria che non sarebbe il più piccolo possibile, ma quello socialmente accettabile, ossia frutto dell’incontro tra gli interessi di chi detiene i diritti e di chi ne vuole usufruire, ma a basso prezzo. Ovviamente questo ragionamento sottintende due ipotesi che renderebbero questo approccio irrealizzabile nel mondo di oggi:
- assenza di esclusive;
- contemporaneità nella disponibilità del prodotto.
Per il primo punto è facile ipotizzare il perché. Le esclusive sono ciò che spinge un consumatore a scegliere una piattaforma piuttosto che un’altra. Il monopolio sui diritti causa distorsioni sul prezzo finale (che è ovviamente maggiore rispetto a quello ipotizzato precedentemente). Queste distorsioni, possono far aumentare il numero di download illegali (di quanto? Bella domanda). Per il secondo punto invece si parla di “esclusività temporanea”. Se una serie è rilasciata nel Regno Unito, difficilmente un consumatore non britannico aspetterebbe che la serie diventi disponibile nel proprio Paese, di fatto cercando di ottenere il prodotto per vie non legali. Questi sono, a mio avviso, i due più grandi ostacoli alla lotta contro la pirateria. Partendo dal presupposto che vi sarà gente che comunque usufruirà di download/streaming illegali, in quanto il loro prezzo di riserva è tendente allo 0, sarebbe forse meglio cercare di ridurre il numero di questi soggetti. La presenza tuttavia del monopolio di alcune piattaforme su alcuni prodotti rende tutto il mio discorso abbastanza inutile. La pirateria continuerà a esistere perché prima di essere un problema economico è soprattutto un problema sociale. L’offerta condiziona la domanda, chi fa l’offerta è colui che fa il prezzo. Se l’industria non cambia, non lo faranno neanche i consumatori.
Fonti: Bloomberg, La Repubblica, Estimating displacement rates of copyrighted content in the EU, Movie Piracy and Displaced Sales in Europe: Evidence from Six Countries
Francesco M. Conte
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