Previously on ITASA Blog: l’invasione delle serie british è la protagonista assoluta degli anni ’60, invasione che influenzerà non poco la tv americana nel decennio successivo. Intanto le sitcom si fanno specchio, sempre più senza pietà, della società dell’epoca.
Gli anni ’70 sono un decennio ricco di produzioni che sono rimaste nell’immaginario collettivo grazie anche alle infinite repliche che ogni anno ci propinano le nostre reti generaliste.
Con l’invasione british del decennio precedente (che continua anche in questo con la messa in onda nel 1975 di Doctor Who), si fa strada un “nuovo” genere televisivo: la miniserie.
Nata in Gran Bretagna, viene esportata in America negli anni ’60. Le storie sono tratte dai grandi classici della Letteratura e sono per lo più in costume. Negli anni ’70 cominciano a nascere le prime miniserie americane: la prima è Rich Man, Poor Man (Il Ricco e il Povero, 1976), seguita l’anno successivo da Roots (Radici, 1977), miniserie che ripercorre la storia di una famiglia di origini africane e in cui si affrontano temi importanti come la schiavitù e il razzismo. Il successo di queste due miniserie consacra il genere che entrerà a far definitivamente parte della tv americana. Si faranno grandi investimenti in termini di cast, produzione e budget. L’esempio più lampante è Holocaust (Olocausto, 1978).
La miniserie vede protagoniste due famiglie berlinesi, una ebraica (i Weiss) e una ariana (i Dorf); la storia narrata va dal 1938 al 1945. Dei Weiss solo il figlio minore riuscirà a sopravvivere, il resto della famiglia morirà nei campi di sterminio. Anche il decorso della famiglia Dorf sarà drammatico perché da un’esistenza normale, entrerà in un vortice di follia, rabbia ed esaltazione della razza ariana. La miniserie ha un impatto fortissimo sull’immaginario collettivo, tanto in America quanto all’estero. In particolare in Germania romperà il silenzio sull’Olocausto durato 35 anni. Nonostante le remore del governo, la miniserie viene vista da un tedesco adulto su due e durante il periodo di messa in onda le centrali di polizia vengono invase da persone che si autodenunciano per la partecipazione alla tristemente famosa Notte dei Cristalli.
Cambiando decisamente argomento, il genere più importante del decennio è sicuramente la sitcom, che ancora una volta si fa specchio della società americana. Se nei decenni precedenti al centro di tutto c’era la famiglia naturale, negli anni ’70 si fa strada un altro tipo di famiglia, quella lavorativa. La donna esce definitivamente dal ruolo di moglie e madre per raggiungere la sua indipendenza.
Capostipite di questa rivoluzione, che influenzerà non poco il decorso di questo genere televisivo, è la sitcom Mary Tyler Moor Show (1970-1977), in cui la protagonista, single e lavoratrice, si fa portavoce della nuova condizione femminile. La serie è prodotta dalla casa produttrice indipendente Mtm Enterprise, che rivoluzionerà il panorama televisivo prima con lo spinoff del Mary Tyler Moor Show, Lou Grant (1977-1982), non più sitcom ma drama di grande successo che si vocifera sia stato cancellato perché troppo liberal nel trattare i temi caldi che infiammano l’opinione pubblica del periodo (dalla guerra in Vietnam, all’abuso sui minori, dalla difesa della privacy al controllo delle armi), poi con la creazione negli anni ’80 della serie Hill Street Blues (Hill Street – giorno e notte, 1981-1987) e St Elsewhere (A cuore aperto, 1982-1988).
Menzione speciale meritano altre tre sitcom: M.A.S.H. (sitcom antibellica sulla guerra di Corea), Alice (protagonista una mamma single e lavoratrice con figlio adolescente a carico) e Taxi (protagonista un grandissimo Danni De Vito che ha dato vita ad un personaggio, considerato il migliore in assoluto nella storia della fiction).
Tra una risata e l’altra si cominciano a trattare temi che fino al decennio scorso erano tabù: si parla di sesso e omosessualità seppure simulata come in Three’s Company (Tre cuori in affitto, 1977-1984), si fanno battute dai doppi sensi più o meno spinti, si ribaltano i ruoli in famiglia e ci si prende gioco della working class e dei suoi esponenti più tradizionalisti e bigotti. All in the Family (Arcibaldo, 1971-1992) ne è il simbolo.
La serie ebbe molto successo e portò alla creazione di due spinoff: Maude (Una signora in gamba, 1972-1978), in cui la protagonista divorziata tratta temi importanti come l’aborto, il tutto durante il prime time, e The Jeffersons (I Jefferson, 1975-1985).
Se negli anni ’60 i protagonisti della sitcom erano tutti bianchi della middle class, negli anni ’70 si affacciano le prime famiglie di colore, come i già citati Jefferson, o multirazziali come in Diff’rent Strokes (Harlem contro Manhattan meglio conosciuto come Il mio amico Arnold, 1978-1986).
Non mancano però serie che cercano di tornare alle origini del genere come Happy Days (1974-1984) che evita qualsiasi rimando alle tensioni sociali del periodo e da cui verrà tratto lo spinoff Mork & Mindy (1978-1982) che lancerà verso il successo un giovane Robin Williams, e Eight is Enough (La famiglia Bradford, 1977-1981), sitcom di stampo buonista e tradizionalista.
Anche sul fronte drama assistiamo all’invasione di protagoniste femminili sempre più spregiudicate e al centro della scena; ne sono un esempio Wonder Woman (1975-1979) e Charlie’s Angels (1976-1981).
Contiuna la cavalcata dei polizieschi e dei detective-drama con Kojak (1973-1978), Columbo (Colombo, 1971-1990), Starsky & Hutch (1975-1979), The Streets of San Francisco (Le strade di San Francisco, 1972-1977). Il genere però si contamina con la sitcom dando vita alle action-comedy come The Dukes of Hazzard (Hazzard, 1979-1985).
Visto il successo del genere fantascientifico nel decennio precedente, negli anni ’70 assistiamo alla creazione di altre tre serie: UFO (1970-1971), Space 1999 (Spazio 1999, 1975-1977) e Battlestar Galactica (1978-1979), quest’ultima nata sulla scia del successo di Star Wars e da cui trent’anni dopo verrà tratto il famoso remake.
SERIE CULT
Mary Tyler Moore Show
Narra la vita di Mary Richards (Mary Tyler Moor), assistente del produttore di telegiornale di una rete televisiva di Minneapolis. Mary è una donna indipendente e lavoratrice che interpreta al meglio la condizione femminile e le difficoltà a livello lavorativo che la donna deve affrontare. Il suo capo è Lou Grant, sconstante e burbero, che darà vita ad uno spinoff tutto suo (dove però cambierà radicalmente ruolo diventando un giornalista coraggioso, intelligente ed eroico).
La serie segna un punto di svolta nel panorama della sitcom americana perché al centro delle vicende non c’è più la famiglia naturale, ma quella lavorativa. Anche altre sitcom del periodo sono ambientate nel luogo di lavoro, ma la famiglia biologica ha comunque una parte centrale. Qui invece non esiste: il luogo di lavoro diventa la casa della protagonista e i suoi colleghi i famigliari. Questo cambiamento influenzerà in modo radicale le sitcom degli anni ’90.
Un altro cambiamento importante è l’autoriflessività della serie: lo spettatore viene portato dietro le quinte di uno show televisivo (il telegiornale in questo caso). Non è la prima volta che questo avviene, era già successo col Dick Van Dyke Show in cui il protagonista è il capo sceneggiatore di una sitcom (e Mary Tyler Moore era copotragonista), ma potremmo considerare questa sitcom la sua naturale evoluzione.
All in the Family (Arcibaldo)
Al centro della scena c’è Archie Bunker, tipico personaggio della working class vecchio stampo. Se fino a questo momento le sitcom erano piene di alti ideali e buoni sentimenti, con All in the Family si assiste ad un radicale ribaltamento. Archie è un uomo ignorante, che disprezza la cultura, pieno di pregiudizi razziali. La comicità si fonda sul fatto che Archie nonostante il suo modo di pensare si dovrà scontrare costantemente con la realtà. La società intorno a lui è cambiata, non è più quella di dieci anni prima. Archie si troverà ad aver a che fare col giovane marito della figlia, ancora studente e per di più immigrato perché polacco, che si trasferirà a casa sua; con i vicini di colore, i Jefferson, la cui signora Jefferson diventerà la miglior amica della moglie di Archie; con i vicini italoamericani che vivono in una famiglia a ruoli invertiti: il marito ama cucinare e occuparsi della casa, la moglie è un ottimo meccanico.
Archie, come detto è invece un tipo vecchio stampo: pretende che la moglie sia servizievole, odia le smancerie in pubblico (infatti non sopporta il genero, troppo affettuoso con la figlia), pretende una birra fredda al ritorno da casa da bere rigorosamente sulla sua poltrona a cui nessun altro può avvicinarsi. Si potrebbe considerare una sorta di Homer Simpson degli anni ’70.
La sitcom suscitò molto scalpore per via dei temi trattati e del crudo realismo con cui dipingeva una categoria di cittadini ben precisa e per i temi spesso scottanti che affrontava tra cui l’aborto, il controllo delle nascite, la menopausa e l’omosessualità; nonostante tutto venne accolta benissimo dal pubblico che continuò a seguirla per ben 25 anni.
M.A.S.H.
Sitcom derivante dall’omonimo film di Robert Altman, ambientata presso un ospedale da campo in Corea: il Mobile Army Surgical Hospital. Gli scherzi goliardici inframezzano le operazioni sotto i bombardamenti bellici dell’esercito americano. Il motto della serie è Divertirsi per non impazzire. La sitcom è un’evidente denuncia della guerra e si affrontano, sempre con una vena comica, è bene precisarlo, argomenti importanti come la solitudine degli uomini al fronte e l’assurdità della stessa guerra.
La sitcom diventa subito un successo, piazzandosi nella top ten degli ascolti televisivi. L’ultima puntata, andata in onda nel ’82, registra il più alto dato d’ascolto nella storia della tv americana con il 77% di share e 125 milioni di telespettatori sintonizzati sul canale televisivo Cbs.
FONTI:
ALDO GRASSO, Buona Maestra, Milano, Mondadori, 2007.
ALESSANDRO DE LUCA, Serial! I telefilm di culto tra cinema e tv, “Gli speciali di CIAK” n° 4 (Supplemento a CIAK n° 9), Milano, Mondadori, 2004.
Boba
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