Siete stanchi di tutte queste nuove serie TV noiose e prive di contenuti originali? Sì? E allora facciamo un tuffo nel passato con una delle serie TV più belle di sempre: Carnivàle!
“ Prima dell’inizio, dopo la grande guerra del cielo contro l’inferno, Dio creò la terra e ne concesse la sovranità a quella scaltra scimmia che chiamò uomo. E per ogni generazione nacque una creatura della luce e una creatura della notte ed eserciti sterminati lottavano e perivano nel nome dell’antica guerra tra il bene e il male. Un’epoca incantata, l’epoca dei grandi. Un’epoca di eccezionale crudeltà, un’epoca eterna fino al giorno in cui un falso sole esplose sulla Trinità e il prodigio abbandonò l’uomo in balia della ragione.”
Con queste monologo affidato a Micheal J. Anderson (il Nano di Twin Peaks) si apre Carnivàle, serie fantasy/esoterica targata HBO. Durata solo due anni, nonostante il progetto iniziale prevedesse sei stagioni, Carnivàle è riuscita comunque a imporsi nel panorama televisivo.
Un progetto ambizioso, ideato da Daniel Knauf (Dracula, Spartacus, The Black List), che sembra esser il risultato dell’incontro tra Freaks, il capolavoro maledetto di Tod Browing, e Twin Peaks, l’opera folle e rivoluzionaria di David Lynch. Un variegato gruppo di personaggi, nel quale spiccano appunto i tanti freaks, dà vita a una storia dalle atmosfere cupe, surreali, ingannevoli e polverose in un’epoca, quella della Grande Depressione americana fragile e incerta, che spiana la strada a demoni e a paure che da sempre si annidano nell’animo umano.
[INFORMAZIONI SULLA TRAMA SENZA SPOILER]
Carnivàle racconta la tanto antica quanto epica lotta tra il bene e il male, riuscendo però a evitare un’inquadratura manichea e statica, che rischierebbe di inchiodarla a un racconto immobile, quanto banale e noioso. Ci riesce grazie a una narrazione stratificata, che mette al centro le sfumature e i paradossi della “scaltra scimmia” (l’uomo) mantenendo così sempre tese le corde del dramma, e a innesti dosati e continui ma mai invadenti o artefatti, di quegli eventi sovrannaturali che definiscono la serie e ne portano avanti la mitologia. Ad armonizzare il tutto, rendendo familiari storia e personaggi, ci pensano poi i ben calibrati cambi di registro, che vanno a lacerare nei giusti momenti le angoscianti atmosfere e strappare pure non poche risate.
La narrazione si evolve con grande naturalezza e senza quella fastidiosa sensazione di meccanicità o di fasullo. Parte del merito va senza dubbio alla moltitudine di personaggi che popolano la serie e le conferiscono un ampio respiro. Tutti, sia principali che secondari, sono ben delineati e interpretati; alcuni con il passare degli episodi diventano indimenticabili. Tra tutti, senza dubbio, spicca Justin Crowe, interpretato da un grandioso Clancy Brown, determinato e squadrato prete metodista che con feroce risolutezza è pronto a tutto pur di portare a termine la sua missione.
Una storia poderosa con una mitologia affascinante e strutturata, pregna di simbolismo e surrealismo, che si sviluppa su due linee narrative inizialmente parallele, ma destinate a intrecciarsi prima della fine. Da una parte abbiamo le vicende, tra sacro e blasfemo, di Padre Justin; dall’altra le vicende di Ben Hawkins, interpretato da Nick Stahl, ragazzotto di campagna, con un potere grandissimo che può utilizzare solo a caro prezzo, che dopo la perdita della madre si unisce al circo itinerante gestito dallo stravagante e indecifrabile Samson.
Carnivàle non è solo una storia affascinante e ben scritta, ma è anche una serie TV costruita alla perfezione e con classe. Caratterizzata da quel linguaggio televisivo sporco, crudo e violento che ha rivoluzionato un certo modo di fare televisione. Si inserisce in quel solco, aperto da OZ e ampliato e puntellato da The Sopranos, di produzioni che mirano in alto. Non a caso, alla direzione degli episodi si sono susseguiti alcuni dei migliori registi del circuito HBO dell’epoca: Alan Taylor, Rodrigo Garcìa, Jack Bander e altri, che negli stessi anni hanno firmato alcuni degli episodi delle più importanti produzioni del network, tra cui The Sopranos, Six Feet Under e Deadwood.
Oltre alla regia, le grandi ambizioni e i grandi sforzi si vedono nella fotografia sublime – ancora oggi trovare qualcosa di migliore in TV è impossibile – che grazie a una sapiente gestione di luci, ombre e tonalità riesce a valorizzare a pieno le sontuose ambientazioni. Un lavoro di altrettanto pregio lo ritroviamo nel sonoro, dalle chiare reminiscenze lynchiane e nella colonna sonora, che riesce a essere struggente e ammaliante allo stesso tempo.
Nonostante le qualità e le grandi ambizioni, la serie ebbe vita breve. A causa degli ascolti bassi in relazione ai costi troppo alti di produzione – che si aggiravano intorno ai quattro milioni di dollari ad episodio – Carnivàle venne cancellata al termine della seconda stagione. La storia, pensata nell’ottica di un prosieguo, è rimasta dunque monca, con un finale completamente aperto e con personaggi che avevano ancora molto da raccontare. Però, nonostante la prematura scomparsa, la serie è riuscita a ritagliarsi, meritatamente, uno spazio tra le grandi; tant’è che ancora oggi viene considerata una delle migliori produzioni HBO tra i tanti fan e addetti ai lavori.
Non lasciatevi quindi condizionare neppure per un momento dalla sua prematura dipartita, Carnivàle è molto più che un finale aperto. È molto di più. Per questa serie vale veramente l’ormai famoso detto: “quello che conta è il viaggio, non la destinazione”. E questo è un viaggio fantastico e sfolgorante tra meraviglie e orrore, tra sacro e blasfemo.
nincadoro
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