La quarta stagione del political drama di casa Netflix è stata rilasciata da qualche giorno. Gli eventi dell’attualità hanno giocato un ruolo fondamentale nella serie. In questo articolo cercherò di parlarne, facendo una recensione, spoilerosa, di questa nuova stagione di House of Cards.
Vorrei fare un piccolo disclaimer. Purtroppo cercando di trovare dei collegamenti tra alcuni eventi realmente accaduti con quelli accaduti nella serie, la presenza di spoiler pesanti (tanto pesanti) si è resa necessaria. La lettura è sconsigliata a chi non ha visto tutta la stagione. Per chi l’ha vista non c’è nessun problema, ovviamente, se non quello di ripercorrere, insieme, gli eventi della quarta stagione.
I nuovi capitoli della serie – non esattamente simbolo della politically correctness – hanno completamente ribaltato le carte in tavola precedentemente posizionate dalla terza, non tanto memorabile, stagione. Ci eravamo lasciati con Claire (Robin Wright) che abbandona Frank (Kevin Spacey) nel pieno delle primarie. Il primo episodio della nuova stagione ci dà un resoconto della situazione: vittoria nei caucus dell’Iowa ma sconfitta in quelli del New Hampshire. Claire, tornata in Texas dalla madre (Ellen Burstyn), ha grandi ambizioni politiche. Ha intenzione di candidarsi nel trentesimo distretto congressuale del Texas (che coincide con la città di Dallas e parte della Contea). Per fare ciò, contatta LeAnn Harvey (Neve Campbell), una forte donna capace di far vincere i democratici in uno stato completamente repubblicano. Una versione in salsa femminile di Doug Stamper (Michael Kelly), insomma. LeAnn, tuttavia, le pone immediatamente un problema: il posto è occupato dalla leggendaria Doris Jones (Cicely Tyson) che lo ha riservato a sua figlia Celia (Lisa Gay Hamilton). Ci sarebbe inoltre anche un piccolissimo dettaglio da non sottovalutare: Claire è troppo bianca per quel distretto. La guerra fredda tra Frank e Claire continua e ha il suo momento peggiore quando lei rilascia una foto del padre di Frank con un membro del Ku Klux Klan (di certo un endorsement di un membro del KKK non potrebbe mai accadere in realtà, vero?). Quando il Presidente lo scopre, si confronta con la moglie che gli rivela il suo piano: vuole diventare il suo running mate, il suo Vice Presidente.
I primi tre episodi sono stati scritti ad arte per giungere, con un climax strepitoso, all’attentato al Presidente per mano di Lucas Goodwin (Sebastian Arcelus). Purtroppo perde la vita il mitico Meechum (Nathan Darrow) che, con un gesto eroico, si sacrifica per Frank, gravemente ferito. Fegato perforato e bisogno assoluto di un trapianto. Ovviamente la sopravvivenza è scontata, ma il trapianto arriverà con non poche peripezie. Il rapporto tra Meechum e gli Underwood è stato ben ricamato nel corso delle stagioni. La morte dell’agente dei servizi segreti segna anche un cambiamento sia in Frank sia in Claire. È tempo di seppellire l’ascia da guerra, è tempo che si inizi a guardare al futuro. Mentre Frank è in fin di vita, diventa Presidente ad interim Donald Blythe (Reed Birney), troppo buono per lo Studio Ovale. Non riesce a sopportare il burden, il fardello, che arriva con la carica. Claire ne approfitta per far vedere di cosa è capace. Sfruttando Blythe, riesce a far firmare al Presidente Petrov (Lars Mikkelsen) un accordo per il salvataggio della Russia.
Nel frattempo, dal lato repubblicano, emerge un candidato forte e giovane che darà qualche filo da torcere agli Underwood: Will Conway (Joel Kinnaman). Il Governatore di New York, frontrunner del partito e subentrato a Hector Mendoza (Benito Martinez), è una persona molto carismatica che condivide ogni istante della sua vita su Facebook, Twitter e Instagram. Conway ha un seguito molto elevato anche grazie allo sfruttamento di Pollyhop, un motore di ricerca con una piccola quota di mercato. Lo sfruttamento dei motori di ricerca per prendere voti non è un fenomeno totalmente campato in aria.
Conoscere le loro ricerche, ti aiuta a leggerli, a carpirne le speranze, le paure, i pensieri che fanno, quando fissano il soffitto nel bel mezzo della notte.
Politico, noto quotidiano statunitense, ne ha denunciato infatti i problemi in un articolo dell’estate scorsa. Secondo una stima di Robert Epstein e Ronald E. Robertson, Google con il suo algoritmo di ricerca può far cambiare le preferenze a più del 20% dei votanti indecisi. Ciò dà il potere di cambiare gli esiti delle elezioni. Nel caso statunitense, tante elezioni presidenziali si son decise con piccolissimi margini: basti ricordare la sfida tra George W. Bush e Al Gore. Le ultime elezioni che hanno visto il candidato repubblicano Mitt Romney sfidare il Presidente uscente Barack Obama sono state vinte da quest’ultimo con un margine del 3.8%. Gli impiegati che migliorano gli algoritmi del motore di ricerca stanno manipolando le preferenze di tantissime persone. Questo effetto comportamentale viene chiamato da Epstein e Robertson Search Engine Manipulation Effect (SEME).
Come mostra questo grafico, Bernie Sanders è il candidato democratico più ricercato in rete. La terza domanda più ricercata, che riguarda il senatore del Vermont, è:
Può Bernie ancora vincere le elezioni?
La risposta, dopo il Super Tuesday che ha visto Hillary Clinton vincere in 5 stati su 5, è ovviamente negativa. Ai fini dell’esempio, supponiamo che vi sia un gruppo di persone ancora indecise tra votare Sanders o Clinton. Tal gruppo propende leggermente per il senatore (magari sono d’accordo con le idee sul welfare, su una regolazione di Wall Street, ma questo non è dato saperlo) e si rivolge al motore di ricerca di Mountain View per soddisfare la sete di sapere. Google può influenzare le preferenze di tali elettori in base ai risultati della ricerca. Se tali risultati sono per la maggior parte negativi, la persona in questione può essere portata a non votare più Bernie Sanders e magari votare la ex First Lady.
In virtù della sua posizione dominante, Google potrebbe fare questo. Non sarebbe la prima volta che i risultati di ricerca vengono modificati, privilegiando alcuni siti a discapito di altri. Pollyhop non è sicuramente Google. Conway non può decidere le elezioni, almeno direttamente. Può, tuttavia, scoprire cosa la gente vuole e proporle esattamente quello.
Dopo aver risolto il problema della Russia (che aveva causato un aumento vertiginoso del prezzo del petrolio, non proprio attuale) si è presentato un altro problema: ICO (la controparte fittizia di Daesh). ICO sta occupando la Siria e reclutando cittadini americani. Il comando militare americano, guidato dal Generale Brockhart (Colm Feore), propone un bombardamento. Il Presidente, tuttavia, ha già inviato un avvocato per ottenere l’autorizzazione dal giudice per sorvegliare gli americani. Non vi suona familiare? È sostanzialmente il Patriot Act, misura adottata da George W. Bush con lo scopo di ridurre il rischio di attacchi terroristici negli Stati Uniti. La legge, sostituita adesso dal Freedom Act, permetteva alle autorità di sicurezza (tra cui la NSA, che ne ha fatto ampio uso) di intercettare e di chiedere il traffico Internet ai provider senza un mandato della magistratura. Il terrorismo ha sostanzialmente consegnato nelle mani degli Underwood lo strumento per la vittoria delle elezioni. Frank sa del potenziale di una cosa del genere ma sa anche che è molto pericoloso, in caso venisse scoperto.
[…] Persino un vecchio furfante come lui (Nixon) forse avrebbe esitato a usarla. Voglio dire, lo misero in croce per aver intercettato qualche stanza del Watergate.
LeAnn propone che Aidan MacAllan (Damian Young) sia a capo della sorveglianza domestica. Aidan è uno data scientist, una nuova figura professionale che richiede grande allenamento e curiosità per effettuare nuove scoperte nel mondo dei big data. Ufficialmente Aidan è stato incaricato di trovare segnali riguardanti un qualsiasi attacco imminente sul territorio americano; tuttavia, è stato scelto affinché – osservando milioni e milioni di dati – riesca a trovare un qualcosa che possa mettere gli Underwood in buona luce.
Claire, intanto, ha trovato una nuova causa da perorare: controlli su chi acquista le armi. Tra chi non vuole che lo Stato Federale intervenga per limitare una libertà sancita nella Sacra Costituzione e tra chi vuole un intervento statale, la First Lady vuole sostenere una proposta di legge insieme a una coalizione di senatori. La lobby delle armi, la tanto discussa NRA, si oppone fermamente alla proposta di legge.
La questione delle armi è talmente delicata e complessa che meriterebbe un articolo a parte. Del resto, se Jeb (JEB!) Bush pubblica un tweet, in piena campagna elettorale, usando al meglio i 147 caratteri scrivendo solamente “America.” e allegando una foto della sua pistola, noi non yankee non possiamo comprendere. Ci sembra del tutto assurdo che vi siano persone che sono a favore del possesso delle armi e che, ogni volta che avviene una strage, venga invocata sempre la malattia mentale – quella mental illness che sembra mettere d’accordo tutti i repubblicani; ma, per gli americani, vi è un nesso logico. Non un nesso qualsiasi, ma un nesso causalità-effetto: morte per mano di una pistola ergo proprietario malato. Tuttavia, come dimostrato da questo video del fantastico e mai banale John Oliver, non vi è alcun legame tra le due cose.
Torniamo alla serie. La leadership del Partito Democratico, dopo il rifiuto di Blythe, è alla ricerca di un Vice Presidente; tutte le loro proposte sono candidati a favore del possesso delle armi e, chiaramente, ciò è in contrasto con la proposta di Claire. Dopo varie trattative, Frank accetta un candidato a favore del possesso delle armi in cambio del supporto della leadership al disegno di legge. Propone anche di nominare un nuovo giudice della Corte Suprema che sia contro le armi, creando un certo disagio nella leadership. Incredibilmente Obama è esattamente in questa situazione, dopo la morte del giudice Antonin Scalia. Scalia era una figura importante all’interno della Corte Suprema. Faceva parte della corrente degli originalisti, ovvero di quelle persone per cui bisogna interpretare la Costituzione per come è stata scritta, senza armonizzare concetti che a occhi moderni possono sembrare obsoleti. Obama ha scelto il suo successore: è Merrick Garland. I repubblicani probabilmente non confermeranno la nomina, posponendo la scelta con il nuovo Presidente.
Grazie al permesso del Giudice, Aidan può letteralmente nuotare nel mare di dati trovando i nomi di migliaia di persone che sono state colpite dalla violenza delle armi. Gli Underwood hanno poi sfruttato questi dati effettuando chiamate mirate con un messaggio straziante contro il possesso delle armi. Questo ha causato tantissime chiamate (84000 in 24 ore!) dei cittadini per far sì che al Congresso vi sia il supporto necessario per il disegno di legge della First Lady. Questa è la forza dei Big Data. Fun fact: sono proprio stati i big data a darci House of Cards. Riportando un articolo del New York Times, Netflix – analizzando la grandissima mole di dati prodotti dai sui clienti – aveva capito che una serie del genere poteva essere di successo. Ciò non significa che i Big Data ci permetteranno di predire il futuro, ma porteranno alla creazione di nuovi modelli di preferenza sicuramente più vicini alla realtà.
La minaccia ICO si fa sempre più grande. Il Presidente firma un ordine esecutivo con il quale invia truppe americane per combattere i terroristi. Questa mossa permette la cattura del leader Yusuf al Ahmadi, ma in suolo americano accade l’impensabile. Due ragazzi, vicini al Califfato, hanno rapito una famiglia e vogliono trattare solo con il futuro presidente Conway. Dopo varie trattative, i terroristi liberano madre e figlia, ma l’orizzonte è ora incupito da un articolo di Tom Hammerschmidt (Boris McGiver) che attacca duramente il Presidente. Frank ora si sente spaesato, perso. Non sa come affrontare la tempesta che si sta profilando all’orizzonte. Claire ha un’intuizione geniale: si è stancata di entrare nel cuore delle persone, è arrivato il momento di spaventarle. Tali parole, di potenza inaudita, fanno breccia nel cuore di suo marito. Con un discorso alla nazione tipico di un despota, viene annunciata guerra totale al terrorismo. Moriranno soldati, moriranno civili ma tutto avrà un unico fine: sconfiggere l’ICO. Un discorso che si rivede nelle pagine de Il Principe di Niccolò Machiavelli:
nelle azioni […] massime de’ principi […] si guarda al fine […] i mezzi saranno sempre ritenuti onorevoli e da ciascuno laudati
Di ripicca, i due terroristi decapitano il padre della famiglia rapita documentando il tutto attraverso un video che viene diffuso agli organi di stampa; tutti sono disgustati da così tanta violenza, Frank e Claire no. Loro rimangono impassibili, come se stessero aspettando il verde per attraversare una strada. Crearsi un’immagine immacolata in un posto così martoriato dall’odio non è impresa da tutti e non è neanche il loro fine ultimo. Ciò che conta è essere ricordati. Una volta seduti su quella sedia bisogna essere spietati, fermi e risoluti. Ecco il perché della loro non espressione durante gli ultimi, fantastici, minuti.
Non ci pieghiamo al terrore. Noi creiamo il terrore.
Gli ultimi minuti rappresentano un vero punto di svolta. Frank si confidava con il pubblico per far vedere quanto era intelligente e quanto i suoi piani diabolici erano perfetti. In effetti, la sua frase sulla democrazia – rielaborando un concetto di churchilliana memoria – riecheggia ancora nella sua vecchia abitazione. Tuttavia, diventando Presidente, complottando contro Walker, si sente realizzato e il suo gesto classico, il suo knock knock sul tavolo con forza virile, sta a significare che il meglio deve ancora venire. La poltrona lo ha fatto diventare spocchioso, fin troppo superbo. A capo della nazione più potente del mondo anche Topolino svilupperebbe il cosiddetto complesso di Dio. Non ha più ritenuto il pubblico degno della conoscenza dei suoi piani. Uno dei punti deboli della terza stagione è stato proprio questo: in pochissimi momenti Frank ha rotto la quarta parete e la serie ne ha sofferto sia in qualità narrativa che in termini di trama. È bastato un Presidente molto carismatico come Petrov per far ritornare Frank sulla terra e una Claire qualunque per farlo precipitare negli abissi della Terra. Claire è stato il personaggio che ha subito più cambiamenti nel corso della serie. Da presenza scenica è divenuta punto chiave, portando su di sé gli occhi del mondo quando è divenuta ambasciatrice. Robin Wright è stata semplicemente perfetta nel ruolo. Non penso ci sia una persona capace di rendere alla perfezione una gamma di emozioni tipiche della sfera politica. Le movenze e l’aplomb sono esattamente quelle che una vera First Lady avrebbe. Non so se era previsto che il suo personaggio crescesse così tanto, ma il merito va dato tutto all’attrice.
Ora che Frank la riconosce finalmente come suo pari, le permette di confidarsi con il pubblico. Ecco perché entrambi guardano verso di noi negli ultimi istanti della stagione. House of Cards è la famiglia Underwood, gli Underwood sono House of Cards. È su questo binomio che la serie di Willimon funziona. Non fraintendetemi, l’intreccio narrativo è sicuramente importante, ma alla fine di un episodio vi ricordate la trama o Kevin Spa-pardon-Francis Underwood che compie una disamina sulla democrazia in 30 secondi netti?
La stagione conclusasi mi ha sorpreso in positivo. Dopo la terza ero sì fiducioso ma ormai rassegnato a un abbassamento di qualità della serie che avevo tanto apprezzato. Richiamare tutti i vari personaggi, tralasciati dalla terza, dando loro una degna conclusione o un nuovo inizio, è stata una mossa vincente. Come avete notato, il legame con la realtà è molto forte. Se devo fare un termine di paragone, ho rivisto in alcune scene sprazzi della serie The Newsroom di Aaron Sorkin (almeno per quanto riguarda le prime due stagioni). Riserbo tutta via qualche preoccupazione sul futuro. Come può questa serie continuare non avendo più al timone il suo creatore Beau Willimon? Aver lasciato la serie a gente che comunque conosce l’ambiente è positivo, ma avranno la verve polemica e satirica necessaria a rendere House of Cards unica nel suo genere? Ai posteri l’ardua sentenza.
Francesco M. Conte
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