Per motivi personali non sono riuscito a vedere l’episodio fino a domenica scorsa. Ho passato cinque lunghissimi giorni prima di poter soddisfare la mia curiosità, vivendo nella più completa oscurità.
Quindi mi scuso se vi sembra che l’articolo arrivi ormai fuori tempo massimo. Spero che anche voi siate rimasti soddisfatti ed emotivamente colpiti come me. Se non avete ancora visto l’ultimo episodio, state alla larga da ciò che segue.
Sul serio, seguono pesantissimi SPOILER SU TUTTA LE STAGIONI E SUL FINALE.
So I waited many years,
held back the pain behind my tears
For my father, to come find me like he said
And in that time I was alone,
so many years without my home
I made brothers of a different kind insteadGreg Holden – The Lost Boy
Scrivere questo articolo non è stato facile. A lungo ho osservato lo schermo bianco, cercando il punto di ingresso giusto, la prospettiva attraverso la quale provare ad esprimere le sensazioni scaturite dalla visione del series finale di Sons of Anarchy. Mille dubbi continuavano a palesarsi mentre faticavo a buttare giù queste righe, a partire dalla citazione musicale che avete trovato in cima a questo articolo.
Esordire con questo tipo di citazione ormai è poco più di un clichè, ma Sons of Anarchy è uno show profondamente legato alla musica, in cui è stata spesso utilizzata come strumento alternativo di narrazione; i versi al posto delle battute, le note ad accompagnare le immagini, negli ormai tradizionali montaggi che hanno accompagnato la serie nell’arco dei suoi 92 episodi. Avrei potuto scegliere tra decine di canzoni legate a momenti della serie, marchiate nella mia memoria come le tavole della legge, indelebili come un Grim Reaper tatuato lungo la schiena. “The king is gone but is not forgotten”, tratta dalla cover del capolavoro di Neil Young, Hey Hey My My, che chiudeva NS, il magnifico season finale della terza stagione, sarebbe stata una scelta altrettanto valida, ma come dimenticare la bellissima cover di Forever young di Bob Dylan, portata sullo schermo da Audra Mae e i Forest Rangers, nell’episodio della prima stagione intitolato Sleep of babies, o la cover di The House of the rising sun suonata da The White Buffalo, che metteva la parola fine sulla quarta stagione. Kurt Sutter, il creatore e showrunner della serie, e Bob Thiele, compositore e supervisore musicale dello show, hanno fatto un lavoro pazzesco nel creare una soundtrack che non fungesse da semplice accompagnamento alle immagini, ma che invece ne diventasse parte integrante, tanto quanto le performance degli attori o le scelte di regia. The White Buffalo, Noah Gundersen, i Forest Rangers (la in house band della serie), sono passati dall’essere dei perfetti carneadi (almeno per il pubblico italiano), a diventare ospiti fissi dei nostri lettori mp3. Grazie a questa serie ho scoperto la meravigliosa voce di Katey Sagal, ho imparato ad apprezzare band come i Flatfoot 56 e ho riscoperto l’amore per i Social Distortion. Per questo motivo la scelta della canzone non poteva essere affrontata con leggerezza.
Ho scelto The Lost Boy di Greg Holden per due motivi: è secondo me la canzone più bella ascoltata in queste sette stagioni (spero che Bruce Springsteen, i Rolling Stones e Bob Dylan non me ne vogliano); ed è associata a Laying Pipe, terzo episodio della quinta stagione, quello della morte di Opie (interpretato da Ryan Hurst) tanto per essere chiari. “I got this” (ci penso io), è la frase pronunciata da Opie poco prima di venir brutalmente ucciso da altri detenuti, sotto lo sguardo vigile e vagamente divertito dei secondini e quello invece atterrito di Jax, il suo miglior amico. Ed è qui che secondo me comincia quel percorso che porterà Jax a divenire il “ragazzo perduto” del titolo della canzone. La perdita di Opie ha causato nel nostro Prince Charming uno squilibrio nel complicato castello di carte che componeva il suo mondo affettivo, lasciandolo solo, già privo di una figura paterna dopo la caduta in disgrazia di Clay e il complesso rapporto di amore/odio con la figura di JT, a barcamenarsi tra la fedeltà al club, l’amore per Tara e i suoi figli e la devozione nei confronti di Gemma, sua madre.
Tante parole sono state spese per definire Sons of Anarchy: dramma shakesperiano, Amleto tra i bikers, soap opera sui motociclisti. Ad un’analisi superficiale tutto ciò potrebbe sembrare stiracchiato, come se volessimo nobilitare il più tipico dei bro show trasmesso dal più tipico dei canali indirizzati agli uomini, FX. Ma sarebbe un’altra semplificazione; se c’è una cosa che queste sette stagioni hanno dimostrato, è che l’amore e la famiglia sono il motore immobile di tutti gli avvenimenti mostrati nei 92 episodi della serie. L’amore filiale, l’amore materno, l’amore romantico, l’amore per quei “different kind of brothers” (diverso tipo di fratelli) della canzone sta alla base di tutto. Gli inseguimenti in moto, i conflitti con i Mayans, la Royal IRA, i cinesi, i Niners, Damon Pope, i Byz Lat, la Fratellanza Ariana e tutti gli altri, la violenza insensata, spesso rappresentata dal personaggio di Otto, interpretato dallo stesso Kurt Sutter, l’umorismo grottesco di Tig, la violenza da sociopatico di Happy, la saggezza di Bobby, l’accento scozzese di Chibs, l’indulgenza di Sutter nel mostrarci la schiena nuda del nostro Charlie Hunnam, le belle figliole di Caracara e Diosa, specie in quest’ultima stagione fanno solo da contorno al percorso personale intrapreso da Jax. Da Laying Pipe in poi, il cuore della serie si è sempre più allontanato dalle vicende del club per avvicinarsi a Jax, al suo presidente. La brutale uccisione di Tara nell’ultimo episodio della sesta stagione ha sancito ciò che già sapevamo, e cioè che The Final Ride (l’ultima cavalcata), come Kurt Sutter stesso ha definito l’ultima stagione del suo show, sarebbe stata incentrata sul suo protagonista, quel clever boy (ragazzo intelligente), che finalmente si stava trovando nella condizione di valutare la propria esistenza e le cicatrici frutto di anni di vita da outlaw (fuorilegge).
Questa settima stagione non è stata esente da problemi, come del resto tutte le stagioni successive alla terza. La serie cominciava a soffrire di una certa ripetitività dello schema narrativo, dovuto alla canonica presenza di un cattivo di stagione, e dalle modalità di risoluzione dei conflitti con le gang rivali, che aveva cominciato a perdere di freschezza. Lo schema degli episodi, composto molto spesso da due montaggi musicali all’inizio e alla fine, aveva anch’esso perso di originalità, e la libertà creativa lasciata a Sutter e al suo team di autori, aveva provocato un’eccessiva dilatazione degli episodi, che troppo spesso sono arrivati a durare anche 75 minuti, a discapito del ritmo della narrazione.
Sons of Anarchy non è stato uno show perfetto, ma è stato IL MIO SHOW. Nessun’altra serie mi ha coinvolto tanto in profondità e mi ha regalato tante emozioni. La parte di me ancora governata dalla razionalità, mi permette di valutare spassionatamente i punti di forza e le debolezze di questa serie. Ma tutto il resto, quella parte che pensa con la pancia, tutto nervi, viscere ed istinto, quando pensa al finale di questa serie, non può che essere scossa da un brivido. La morte di Gemma, in un giardino pieno di rose, simbolo di amore e morte, specie per un kinghiano doc come me è stata l’ultimo Km del percorso personale di Jax. Il giovane figlio di John Thomas Teller ha passato tutta la sua vita a provare ad assimilare gli insegnamenti del padre che non ha mai veramente conosciuto, a seguire le sue orme, a perseguire quella libertà rappresentata dall’anarchia che troviamo anche in quello stesso club, a cui entrambi hanno dedicato tutta la loro esistenza. La scoperta della verità sulla morte di Tara, l’uccisione della madre Gemma e le conseguenze dell’assassinio di Jury, hanno permesso a Jax di raggiungere l’obiettivo di tutta una vita. Come dice ancora una volta la canzone di Greg Holden:
And I will not be commanded,
And I will not be controlled
And I will not let my future go on,
without the help of my soul
Jax ha passato l’intero ultimo episodio cercando di mettere ordine nella sua vita, cercando per quanto possibile di rimediare ai propri errori e interrompere il ciclo di dolore e morte di cui è stato parte integrante per tutta la sua vita. Terminata questa missione, Jax si è trovato libero di controllare il proprio destino, di uscire di scena a modo suo (un pò come è riuscita a fare la stessa Gemma), riunendosi idealmente alla figura del padre. La morte di Jax, che in un certo senso ricorda il finale di La casa del diavolo di Rob Zombie, avvenuta per mano di Milo il camionista che già aveva accompagnato Gemma nel suo ultimo viaggio e interpretato, non casualmente, da Michael Chicklis (non vi devo dire di chi si tratta vero?), è un epilogo ideale per il personaggio e per lo show. Come accade quasi sempre nella vita, questo finale non è stato apprezzato da tutti; alcuni non sono riusciti a superare un certo calo a livello qualitativo sofferto dalla serie, altri hanno avuto problemi con la scelta di Jax di porre fine alla propria vita, con tutte le implicazioni etiche e morali legate al gesto del suicidio. Ma è normale, finali così meravigliosi da unire tutti come quello di Six Feet Under non capitano tutti i giorni. Io invece sono tra quelli che ha trovato il finale liberatorio e commovente e a suo modo, l’unico lieto fine possibile per questo personaggio e per questa serie. Il club e l’eredità di Jax sopravvivono, e il nostro Amleto ha finalmente trovato la pace.
Vorrei ringraziare Kurt Sutter per quella sua magnifica, contorta, perversa mente e che, dopo The Bastard Executioner, spero tornerà presto in California e a Belfast per la serie sui First 9. Ringrazio Katey Sagal, Charlie Hunnam e il resto del cast, anche quelli così clamorosamente cani da essere sicuro che non li vedremo mai più da nessun altra parte (sì David Labrava, ti voglio bene ma sto parlando di te). Un bel grazie a Bob Thiele e alle band e gli artisti sentiti nel corso degli anni e che sono certo continueranno a far parte della colonna sonora della vita di tanti altri fan come me. E grazie anche a tutti gli altri appassionati, che hanno condiviso con me le gioie e i dolori, la frustrazione e i calci nei denti che questa serie era capace di rifilarci su base settimanale.
Questa canzone non fa parte della colonna sonora della serie, ma mi piace pensare a Jax, sulla moto di John Teller, con queste note di libertà nella mente e nel cuore.
Il finale è piaciuto anche a voi o fate parte della fazione degli scettici? Fateci sapere che ne pensate nella sezione commenti!
talpa10
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