Si è da poco conclusa la seconda stagione di Masters of Sex ed eccoci a tirare le somme. Beh, che ne dite? Comincio io.
Non posso che ribadire che è una serie veramente splendida, recitata egregiamente e strutturata altrettanto bene. Gli intrecci sono studiati, dettagliati e avvincenti. I personaggi sono il pilastro fondante dell’intera serie, con la loro umanità, le loro stratificazioni e, pertanto, contraddizioni. Ci si può innamorare di un personaggio, ma non ci si può mai fidare fino in fondo che rimanga aderente all’etichetta entro cui lo abbiamo inizialmente conosciuto. Così, medici divengono testimonial di diete dimagranti, determinate donne in carriera si rivelano madri premurose e sole, casalinghe impeccabili e unicamente dedite alla famiglia si scoprono essere persone e donne con desideri e pulsioni, uomini algidi e calcolatori si mostrano agnellini fragili e insicuri. È la vita, baby. Ecco cosa mi piace di Masters of Sex, non c’è l’eroe di turno, c’è invece una riflessione sulla vita e sulle sfumature che può prendere, deviando completamente dalle aspettative di ciascuno di noi.
E sullo sfondo di tutto ciò, naturalmente, c’è il sesso. Ma l’incredibile merito di questa serie è che tratta di sesso senza affogarvi e perdersi nello scontato. Nonostante il sesso sia presente sin dal titolo, non è l’atto sessuale a farla da padrone, bensì è la sessualità come aspetto ed espressione dell’essere umano, dei suoi desideri, delle sue inclinazioni, della sua intera personalità. Ho sentito dire, qua e là, “Sì, però è noioso! Stanno sempre a parlare!”. E che ti aspettavi? Che stessero sempre a fornicare? Hai sbagliato serie. Masters of Sex è una serie intimista, racconta un’epoca e le sue evoluzioni attraverso le trasformazioni e gli stravolgimenti interiori dei personaggi. C’è un parallelismo tra le crisi epocali e quelle interiori dei personaggi, a partire dall’eterna questione razziale arrivando fino all’accettazione personale e sociale dell’omosessualità (tanto maschile quanto, udite udite, femminile).
Emblema per eccellenza di tale parallelismo è Libby, senza nulla togliere agli aspetti rivoluzionari del personaggio di Betty, di Masters stesso e di Virginia in quanto donna, madre e ricercatrice. Il personaggio di Libby Masters subisce un’evoluzione straordinaria e inaspettata, passando dal bigottismo più cieco alla rivendicazione dei propri desideri degna di una sessantottina, desideri tanto saldi da farle inquadrare la questione razziale in tutt’altra prospettiva… e che prospettiva! E come donna, devo dire, mi sono trovata a esultare di fronte alla sua tanto reticente quanto irreprimibile crescita.
Si è detto più volte che la seconda stagione si è allontanata dalla verosimiglianza ricercata nella prima, che traeva spunto dalla biografia dei due ricercatori scritta da Thomas Maier. A tal proposito il Guardian (qui l’articolo in inglese) ci racconta come Michelle Ashford, creatrice dello show, abbia ammesso di aver trovato stimolanti le zone d’ombra della storia dei due ricercatori narrata nel libro, e come abbia tratto spunto proprio da quelle aree per dare spazio all’immaginazione su quale possa essere stata la vita privata di Masters e Johnson, anche al di là di ciò che si conosce. Lo stesso Maier ha accettato la commistione di realtà e finzione imbastita dai creatori della serie, anzi affermando: “Per me è stato divertente vedere come hanno preso questo materiale e hanno provato a sondare le verità emozionali, le reali profondità delle loro relazioni. Penso che abbiano persino apportato una maggiore profondità alla mia storia”.
Se devo trovare delle piccole pecche narrative, concordo con il suddetto articolo nell’aver trovato alcuni episodi fin troppo congestionati per la portata delle tematiche che trattavano. Mi riferisco all’episodio 2×06, Blackbird, dove nello spazio di un’ora vengono affrontati convulsamente i conflitti tra Masters e Hendricks, il turbolento matrimonio di Betty con le sue implicazioni collaterali, l’evoluzione del personaggio di Vivian, l’attaccamento di Virginia e le ossessioni di Libby. Tutti filoni egregiamente recitati, ma che avrebbero meritato più spazio.
Al contrario l’episodio Asterion, 2×07, nonostante contenga una sintesi di quasi 3 anni, porta a termine la propria missione con naturalezza incredibile, senza sballottare mai lo spettatore con scossoni o incongruenze. La regia qui la fa da padrona e realizza uno degli episodi meglio diretti di questa seconda stagione, regalandoci delle chicche per suggerire allo spettatore i tre scarti temporali: i ciac di Lester e i cambi d’abito di Betty.
Un’altra grande evoluzione della stagione è lo spostamento crescente da una versione piuttosto medicalizzata ed empirica della sfera sessuale ad una ben più completa visione psicologica della stessa, con tutte le implicazioni emotive che ne derivano. E di pari passo alle scoperte scientifiche, vedremo addentrarsi nell’introspezione psicologica gli stessi protagonisti, che diverranno sempre più attenti a porgere l’orecchio alle voci più timide del proprio inconscio, arrivando a spogliarsi di difese e barriere e lasciando scorgere scenari inesplorati e indifesi. Lizzy Caplan e Michael Sheen in questo sono stati fenomenali, realizzando un palleggio di dialoghi, sussurri e sguardi degno di un romanzo. I due picchi massimi di questa discesa nell’inconscio, credo si raggiungano in due episodi: Fight, l’episodio 2×03 e Below the Belt, l’episodio 2×10, dove il personaggio di William Masters viene fuori in tutta la sua contraddittorietà, in tutto il suo conflitto tra verità e apparenza.
In conclusione, do a questa magnifica stagione un nove pieno e non vedo l’ora di tuffarmi nella terza stagione del 2015… perché, sì, è stata rinnovata!
E voi che ne pensate di questa seconda stagione appena conclusa? Avete percepito discontinuità tra la prima e la seconda stagione? Critiche? Diteci la vostra!
Valeria Susini
Lola23
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