Boardwalk Empire

So long Atlantic City, la recensione del series finale di Boardwalk Empire

Seguono spoiler su tutta la quinta e ultima stagione di Boardwalk Empire, non proseguite se non avete visto Eldorado, il series finale.

“You said you belong here”, “Avete detto che questa era la vostra citta’”. Questa frase, pronunciata dalla giovane Gillian Darmody in “Eldorado” e rivolta all’allora vice sceriffo Thompson, insieme a quel “Be honest and true boys” della canzone per ragazzi che abbiamo sentito nella premiere di questa stagione, racchiude tutta l’essenza dello show nel suo periodo crepuscolare. Questa stagione finale, strutturata sulla base di uno schema binario, fatto di flashback sulla gioventù di Nucky e ritorni al presente del 1931, si può riassumere col concetto di ricerca della propria identità e appartenenza.In questi otto episodi abbiamo da una parte accompagnato il giovane Enoch Thompson nel suo navigare attraverso una vita fatta di alienazione e di costante ricerca del proprio posto nel mondo; e dall’altra abbiamo osservato il vecchio Nucky tentare di accettare la definitiva uscita dalla mappa dei grandi della storia e la ridefinizione della propria identità.

Giovane Nucky

Il giovane Nucky Thompson

Il Commodoro Kaestner, in quello che forse è il flashback più importante di tutta la serie, dice: “We do what we have the nerve for, or we disappear”, “Facciamo quello che abbiamo il fegato di fare, o spariamo nel nulla”; frase che a posteriori potremmo dire che riecheggia il “you can’t be half a gangster”, “non puoi essere un gangster a meta’” pronunciato dall’amatissimo Jimmy Darmody nel lontano pilot della serie. Nucky è un personaggio combattuto ma sempre coerente a sé stesso. Non cerca il perdono, non davanti a un Jimmy in procinto di ricevere una bella overdose di piombo, non davanti al simulacro di ciò che resta di Gillian, e nemmeno davanti al suo assassino, davanti al quale non può che reagire con rassegnazione e finalmente, accettazione. Non è mai semplice destreggiarsi tra le esigenze della fiction e quelle di accuratezza storica, ed uno dei principali inconvenienti di aver ambientato la serie in un ben preciso periodo storico è che non si può manipolare in maniera eccessiva il destino di molti personaggi senza andare incontro a problematiche legate alla coerenza narrativa. Tutti conosciamo la fine della parabola di Al Capone, come del resto molti sanno benissimo che Charlie “Lucky” Luciano, Meyer Lansky e Bugsy Siegel saranno tre tra le più prominenti figure della storia della malavita statunitense, e che gli ultimi due saranno gli artefici della nascita di quell’esperimento bizzarro che è Las Vegas. Ma Enoch L. Johnson, il politico di Atlantic City che ha fatto da modello al Nucky della serie di Terence Winter, è stato un personaggio sufficientemente marginale nel grande schema delle cose, tanto da permettere agli autori della serie di deviare dal percorso stabilito dalla storia e regalare al nostro protagonista un addio più intenso a livello emozionale, rispetto all’arresto da parte dell’IRS (Internal Revenue Service, il fisco statunitense, lo stesso che decretò la fine di Al Capone) che ha segnato la fine del percorso politico del “vero” Enoch. Nella scena finale di “Eldorado“, Nucky, reduce da un giro di saluti che sanno più di addio che di arrivederci (il ballo e l’illusione di un futuro insieme a Margaret, l’abbraccio e l’esortazione finale ad Eli), passeggia su quel lungomare che lo ha visto diventare l’uomo che è, e s’imbatte in Joe Harper, il giovane che negli ultimi giorni del club aveva cercato di diventare la sua ombra. Dietro la maschera di Joe Harper, apparentemente  uno di quei tanti giovani alla ricerca di un posto al sole (o di un lavoro come addetto a spazzare via la sabbia se vogliamo), si cela Tommy Darmody, figlio di Jimmy e Angela. Nonostante la scelta di far tirare il grilletto a Tommy da una parte possa per diversi motivi risultare discutibile (l’età di Tommy, che nel 1931 dovrebbe avere 14 anni ed il fatto che l’omicidio renderebbe del tutto inutile il sacrificio di Richard Harrow, incapace di salvare il giovane Tommy dall’autodistruzione), dall’altra costituisce una scelta narrativa più efficace, perché permette a Nucky di affrontare per un’ultima volta i demoni del proprio passato e di guardarli negli occhi. Per quanto più realistica, un’eventuale morte di Nucky per mano di Luciano e Lansky non avrebbe portato con sé lo stesso bagaglio emotivo della scena che invece Terence Winter e Tim Van Patten hanno portato sullo schermo. Tommy agisce per vendetta, ma non solo. E’ mosso da una profonda curiosità sulla figura di Nucky, dalla voglia di conoscere e di capire meglio quell’uomo che ha rappresentato una parte fondamentale della sua vita e che è il motivo principale della sua stessa esistenza. A questo punto è la sua stessa coerenza ad uccidere Nucky, quando lui, per la seconda volta consecutiva non si preoccupa di aiutare il ragazzo, ma cerca di parlargli attraverso l’unica lingua che è sempre stato capace di parlare, quella del dollaro. La vendetta, la rabbia e la frustrazione sono il cocktail fatale che segna la fine di Nucky Thompson.

Il destino del resto dei personaggi è caratterizzato dal solito mix di dolce e amaro. Eli sembra avere finalmente trovato il fondo del pozzo, e la busta lasciata da Nucky (ritorna non a caso il tema del denaro) sembra il passaporto per una nuova scalata per il più giovane dei fratelli Thompson. Margaret è perfettamente a suo agio nel suo nuovo ruolo di donna autonoma e indipendente (un pò come Amelia Earhart, magari?), non ha più bisogno di un uomo per sopravvivere dignitosamente e la sua frase di congedo per Joe Kennedy è già un’icona dell’intera serie. Tutte le scene di questa stagione tra Margaret e Nucky costituiscono un occasione di riscatto per entrambi, specialmente per Margaret, da sempre uno dei personaggi meno graditi dall’intero fandom. I ripetuti scambi tra i due ex-coniugi fanno trasparire una sincerità triste e rassegnata, e il ballo nell’appartamento vuoto è la perpetuazione dell’illusione di un futuro che non s’ha da fare, interrotta brutalmente dall’ingresso di una nuova coppia pronta ad intraprendere un percorso che per loro si è inesorabilmente interrotto. Al Capone va incontro al suo destino con il solito iconico sorriso, ma per la prima volta da almeno un paio di stagioni, in questo finale ci ha regalato due frammenti dell’uomo che sta dietro la maschera con la cicatrice, attraverso la dimostrazione d’affetto per il figlio Sonny, e la paura, quasi palpabile, nell’attimo prima di scendere dalla macchina e affrontare il processo. Luciano e Lansky invece, affrontano anch’essi lo stadio finale del processo di riconoscimento della propria identità e appartenenza. Loro però sono gli unici personaggi la cui parabola è ancora diretta verso l’alto: “I remember thinking, I’m with the big boys….and now look at us”, “Ricordo di aver pensato: Adesso sono fra i pezzi grossi… Guardaci ora”, dice un nostalgico Luciano ai due amici d’infanzia. Ho notato però anche una certa tristezza in Luciano, specie quando viene menzionato il vecchio Johnny Torrio, segno secondo me, della consapevolezza da parte di Charlie del carattere effimero della conquista del potere, rappresentato dai “pesi morti” come Torrio e Nucky. Infine Gillian. Lei è una donna spezzata in due, fisicamente e emotivamente, ma il finale le regala un’uscita dolce-amara. Nell’incontro finale con Nucky non chiede aiuto, non pretende di essere salvata, ma accetta la propria condizione con un mezzo sorriso. Non sappiamo se questo stato d’animo sia frutto di quelle che possiamo immaginare essere le devastanti pratiche psichiatriche in voga negli Anni Trenta, ma preferisco pensare che sia frutto di un processo consapevole. Si tratta di un attimo che ricalca lo sguardo della giovane Gillian, nel momento in cui Nucky le fa la proposta che avrebbe messo in moto tutti gli avvenimenti mostrati nell’arco delle cinque stagioni, offrendola al Commodoro in cambio del posto di Sceriffo. Nucky le offre la possibilità di scappare, di rifiutare, ma lei, che forse ha già capito cosa l’aspetta, decide di seguire Nucky, segnando in questo modo il suo futuro in maniera indelebile. La giovane Gillian e quella del 1931 condividono questo sentimento di accettazione, trasmettendo ancora una volta la percezione di chiusura di un cerchio.

La scelta, necessaria e dovuta alla decisione da parte della HBO di chiudere lo show, di effettuare un salto temporale di sette anni dal 1924 al 1931, ci ha negato la possibilità di assistere a diversi passaggi molto interessanti, come l’ascesa di Luciano, o la morte di Arnold Rothstein, interpretato nella serie da Michael Stuhlbarg e da sempre uno dei personaggi più amati di tutta la serie. Nonostante ciò il risultato è più che soddisfacente, e la struttura binaria degli episodi, se all’inizio può essere considerata spiazzante o addirittura inutile, nell’economia della stagione nel suo complesso si è rivelata una scelta vincente, capace di dar vita un corpus di episodi coerente ed omogeneo. L’unico rimpianto è quello dell’ordine ridotto, di soli 8 episodi, che insieme al salto temporale, lascia la distinta percezione di una risoluzione troppo frettolosa, che ci concede troppo poco tempo per accettare l’inesorabile declino della figura di Nucky rappresentato, tra le altre cose, dalla scena in cui viene costretto a inginocchiarsi da Meyer Lansky, che nonostante sia ebreo sembra credere ai principi del karma.

Chiudo parlando del cast. Delle interpretazioni di Steve Buscemi, Gretchen Mol (Gillian), Shea Whigham (Eli), Kelly MacDonald (Margaret), Stephen Graham (Al Capone), e di Michael Shannon (il magnifico Kaspar Van Alden, magnifico il suo addio allo show), Michael Kenneth Williams (Chalky White) e Jack Huston (Richard Harrow), che hanno lasciato lo show prima del series finale, si è parlato a lungo nell’arco delle cinque stagioni dello show. La bravura del cast è stata fin da subito una delle ragioni del successo di questa serie. Ma in quest’ultima stagione i responsabili del casting si sono superati, trovando in Marc Pickering e Madeleine Rose Yen due interpreti eccezionali per bravura e somiglianza, per le parti del giovane Nuck e della giovanissima Gillian, e nell’onnipresente Ian Hart un azzeccatissimo Ethan Thompson, il disfunzionale padre di Nucky ed Eli.

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Madeleine Rose Yen, la giovane Gillian Darmody

Un applauso a Terence Winter, creatore e showrunner della serie, lanciatissimo anche nel cinema grazie all’immenso lavoro ne The Wolf of Wall  Street di Martin Scorsese (che ha diretto il primo episodio dello show e ne è stato produttore esecutivo), e a Tim Van Patten, esperto regista con alle spalle tanti anni di lavoro di qualità su HBO in serie come The Pacific, The Wire e The Sopranos. Il series finale non poteva che portare la firma di questi due autori, pilastri portanti della serie, dietro la macchina da presa e nella writer’s room. E’ stato un finale che mi ha pienamente soddisfatto e che chiude perfettamente un viaggio cominciato cinque anni fa nello stesso punto in cui si è concluso, il lungomare di Atlantic City. Boardwalk Empire non ha mai attirato il pubblico di altre serie cable come The Walking Dead, o l’amore incondizionato della critica come Mad Men, ma certamente merita di occupare un posto tutto suo tra le migliori serie di questa epoca.

Considerazioni sparse

– Molto bello il parallelo tra la prima scena del finale e la sigla della serie, con il primo piano sulla spiaggia di Atlantic City e l’arrivo della mareggiata.

– Qualcuno ha una spiegazione per quella scena lynchiana dove Nucky si ritrova in quel tendone a guardare un inquietante programma televisivo?

– Solo io avrei voluto vedere una scena con Joe Kennedy e almeno due dei suoi figlioletti?

– Quali altri personaggi storici avreste voluto vedere o rivedere? Personalmente direi Elliot Ness e ancora una volta J.Edgar Hoover.

Fateci sapere che ne pensate nella sezione commenti!

So long and thanks for all the killings, Boardwalk Empire!

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talpa10

29 anni, blogger su itasa dall'estate 2014 con una predilezione per i series finale. Sono sempre stato un fedele suddito di HBO ma negli ultimi anni ho trovato rifugio sicuro tra le braccia di FX. Nick Miller e Ron Swanson i miei spiriti guida
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