Channel 4

Southcliffe – la potenza del silenzio

SouthcliffeSiete alla ricerca di ottime mini-serie inglesi? In tal caso non potete perdere questo piccolo capolavoro. Southcliffe è quanto di più britannico uno spettatore possa chiedere, un prodotto talmente sconcertante e crudo che darebbe del filo da torcere a Black Mirror (altro recente capolavoro britannico) in un’ipotetica sfida a colpi di disagio e strazio. Se state cercando un serial con forti tematiche, elegante sotto ogni aspetto, con delle atmosfere penetranti e molti pugni nello stomaco (dello spettatore) da sferrare, siete nel posto giusto.
La mini-serie è stata scritta interamente da Tony Grisoni, già sceneggiatore del cult Paura e delirio a Las Vegas e di Tideland – Il mondo capovolto, ed è andata in onda su Channel 4 nel corso del 2013 per un totale di 4 episodi.

Descrivere la trama di Southcliffe non è facile, ma i primi 30 secondi dell’episodio pilota possono dare un buon input per spiegarla: la serie inizia con una donna come tante che sistema alcuni fiori nel suo giardino, in una normale cittadina inglese (chiamata appunto Southcliffe). Dall’assoluta quiete del paese prorompe uno sparo. La donna, pochi secondi dopo, cade a terra morta. Dietro di lei si intravede un uomo che cammina imbracciando un fucile.
Chi è quell’uomo? Perché ha sparato? Ha ucciso altre persone? E se sì, come vivranno i familiari delle vittime? Queste quattro domande saranno il perno attorno al quale tutti i personaggi (principali e non) si muoveranno.

SalterI protagonisti sono sostanzialmente cinque: Stephen Morton (Sean Harris), che come scopriamo subito è l’uccisore della donna e di altri 14 innocenti, David Whitehead (Rory Kinnear), un giornalista che cercherà di scoprire la verità dietro il massacro, Claire ed Andrew Salter (Shirley Henderson ed Eddie Marsan), madre e padre di una delle vittime di Morton, e infine Paul Gould (Anatol Yousef), un uomo diventato vedovo a causa della strage.

La trama della serie non è altro che la vita quotidiana di questi cinque personaggi, nessuno dei quali minimamente stereotipato o irrealistico (persino Stephen Morton, il massacratore, è tratteggiato in modo così realistico e così umano che risulta difficile odiarlo). E qui viene il bello: la quotidianità dei protagonisti è quanto di più crudo e verosimile si possa immaginare. Non esistono colpi di scena, suspance, intrighi, doppigiochi o cambi di direzione narrativa improvvisi: esiste solamente la dura e straziante realtà. Ognuno dei personaggi cercherà di sopravvivere alla propria devastazione interiore, provando a dare un senso a ciò che è rimasto della loro vita. È bene però sapere fin da subito che non tutti ci riusciranno, ed è quindi inutile sperare in un lieto fine fiabesco.

AtmosferaMa cos’ha di differente Southcliffe rispetto a qualsiasi altra serie in cui i protagonisti tentano di risollevare la propria vita dopo un disastro? La risposta è: l’atmosfera.
La bellezza di questa mini-serie sta proprio nell’unire un grande intreccio (di cui parleremo più tardi) ad una cura meticolosa per la creazione di un’atmosfera quasi tangibile, nella quale ci ritroveremo immersi da capo a piedi.
Durante gli episodi raramente vedremo la luce del sole: l’ambientazione infatti è permeata costantemente dalla nebbia, che rende a volte impossibile vedere oltre il proprio naso (una metafora che avrà un’importanza anche ai fini della trama). Questa lontananza dalla luce fa sembrare la cittadina di Southcliffe sospesa nel tempo, come fosse una città fantasma. L’unico baluardo di umanità visibile è dato dalle decine di pali dell’alta tensione, costantemente ripresi nelle puntate.

MarsanÈ un atmosfera stritolante quella che si respira, ma ciò non basta per far immedesimare lo spettatore: ed ecco che entra in scena la regia. Le inquadrature sono calcolate, lente, quasi sempre immobili. Molto spesso la telecamera non inquadra nemmeno i personaggi ma fissa un muro o una parete, e noi spettatori possiamo limitarci ad ascoltarli. Tutto ciò serve ad aumentare il senso di inquietudine e per farci sentire il “blocco” interiore che tutti i protagonisti provano.
Ed ecco la ciliegina sulla torta: la mancanza di una colonna sonora e di una sigla. Non si sentiranno mai canzoni in sottofondo, né si vedrà una sigla che può sconcentrare lo spettatore e farlo allontanare dal vuoto cosmico che la serie vuole trasmettere.

MortonLa mancanza di colonna sonora porta un’inevitabile conseguenza: lunghi silenzi. Raramente, se non mai, ho visto una serie con dei silenzi così lunghi e penetranti. Il silenzio in Southcliffe non è mancanza di dialoghi o segno dell’incapacità negli sceneggiatori, è la semplice limitatezza degli esseri umani, incapaci di esprimersi di fronte a simili tragedie. I momenti di silenzio quindi diventano momenti di riflessione laceranti, persino più emotivamente potenti rispetto alle parti dialogate.

A proposito di esseri umani, bisogna descrivere un’altra caratteristica della mini-serie: i personaggi. Ognuno dei protagonisti è in qualche modo vittima di Stephen Morton e della sua strage, ma è interessante notare come nessuna di queste vittime è collegata alle altre in modo diretto. Non esistono intrecci à la Lost per intenderci, ognuno conduce una propria vita separata che nelle puntate verrà alternata di continuo a quella degli altri.

DavidIl personaggio centrale della serie è probabilmente David Whitehead, un giornalista incaricato di documentare l’intero corso della strage. Sarà lui a smuovere le acque della torbida Southcliffe, per cercare di scoprire cosa ha indotto Stephen Morton a compiere il suo tragico gesto. Insieme a lui, noi spettatori cercheremo di ricomporre un contorto puzzle sulla verità dietro al massacro, fatto di pezzi a volte contraddittori tra di loro, e che lascerà più domande che risposte.

Ci sono poi Claire ed Andrew Salter, che devono riprendersi dalla morte della loro unica figlia. Divorati dal dolore, cercheranno di dare un senso a ciò che è accaduto, aiutando altre persone colpite trasversalmente dal loro lutto, e contemporaneamente cercare di salvare il loro rapporto matrimoniale.

Paul GouldE infine c’è Paul Gould, all’apparenza un normale uomo di famiglia, sposato e con due figlie. In verità è un bugiardo cronico, con persino un’amante segreta. Presto, però, Paul capirà che sua moglie era un perno fondamentale nella sua vita, cosa che non è la sua amante. In un crescendo di disperazione e follia, egli cercherà di rimediare al meglio ai suoi errori matrimoniali e a dare un senso alla sua attuale vita. Nonostante sia la storyline partita più in sordina, per chi scrive è forse anche la più straziante e toccante.

Conosceremo anche parte della storia dal punto di vista di Stephen Morton, ma ciò accadrà solo nell’episodio pilota, quindi non possiamo considerarlo un vero protagonista.
Messe insieme, tutte queste diverse storie ci daranno una prospettiva a 360° sul massacro di Southcliffe: avremo il punto di vista politico ed esterno/oggettivo (David), quello interno (Stephen), quello familiare (Andrew e Claire) e quello personale (Paul). Avremo così un quadro enorme e dettagliato sui risultati devastanti che una sola persona può arrecare alla società intera.

SouthcliffeNonostante i molteplici punti di vista però, la mini-serie ci lascia con un messaggio indelebile: la verità sul massacro non verrà mai a galla, e dobbiamo accettare questa realtà. Forse per pigrizia, forse per la troppa omertà del popolo, forse per la scarsità di indizi e prove… in qualsiasi caso, non capiremo mai a pieno i motivi della carneficina (proprio come avviene nella realtà di tutti i giorni). L’unica cosa che i personaggi possono fare è sopravvivere e accettare silenziosamente il disastro. E noi spettatori assistiamo inermi al loro viaggio verso i meandri più oscuri e contorti del cuore umano, accettando a nostra volta la tragicità intrinseca della vita.

E tutto questo lo faremo in un silenzio straripante di emozioni, un silenzio mai prima d’ora così eloquente. Perché alla fine è racchiuso tutto qui il poetico obbiettivo di Southcliffe: riuscire ad ascoltare il silenzio, e sentire ciò che le parole non possono dire.

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Alessandro

Soon: studente magistrale di cinema. Today: amante di serie tv, letteratura, musica e fotografia, con un'insaziabile passione per il cinema. Dal 2010 su Itasa come (ex)scroccatore di sottotitoli e dal 2014 come blogger. Serie preferite? Scrubs, Oz e Twin Peaks: il Sacred Heart Hospital, l'Oswald State Penitentiary e la Loggia Nera sono le mie seconde case.
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