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Utopia season 2: perché sì, perché no

La seconda stagione di Utopia si è conclusa il 12 agosto, lasciando aperto il finale e facendo pensare ad un seguito (ascolti permettendo). Due blogger, Lola23 e jogi__ raccontano le loro, in buona parte contrastanti, opinioni.

L’assunto di base da cui si parte, sia chiaro, è che comunque Utopia è davvero un gran bel prodotto seriale. Pronti, si parte, via!


L’articolo contiene spoiler sull’ultima puntata di Utopia. Non leggete oltre se non avete ancora visto l’episodio e non volete rovinarvi la sorpresa.


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Lola23

Se nessuno mi avesse detto che quella che stavo vedendo era la seconda stagione, io non mi sarei neanche accorta di una differenza o di uno stacco tra la prima stagione e la seconda di Utopia. Stile omogeneo, storie perfettamente seguite in ogni minimo dettaglio… ed era tosta con tutti quei filoni in parallelo e con tutti gli elementi e i particolari di cui lo spettatore era a conoscenza di prima mano e quelli, invece, dati per assunti, ma mai visti.

Ma c’è una cosa che più di tutte amo in Utopia: il politicamente scorretto, o meglio il raziocinio sperticato e portato alle estreme conseguenze. E la seconda stagione non ha fatto altro che affondare il dito in questo aspetto, ossia il punto inconfutabile secondo cui sul pianeta siamo troppi e prima o poi finiremo le risorse ammazzandoci l’un l’altro per contenderci le poche rimaste. Il discorso di apertura del sesto e ultimo episodio, fatto da Terrence, l’agente dormiente, è a dir poco sublime, allucinante ed esilarante al tempo stesso, in controtendenza con tutto il politicamente scorretto si possa trovare nella TV di oggi; va oltre ogni limite, sublima il concept della serie e dice la verità, nient’altro che la verità. Il bello di Utopia è che tratta un argomento basilare circa la sopravvivenza del genere umano, che tutti conoscono e nessuno vuole trattare, e per farlo lo infarcisce di fantascienza, teorie cospirative, fumettistica, thriller e un sarcasmo pervasivo e spiazzante.
Utopia è unica nel suo genere, è qualcosa che non è mai stato narrato o per lo meno non tutto in un’unica serie, non in questo modo, non senza portare a una profonda riflessione. Perché la cosa pazzesca di Utopia è che, nonostante giochi con l’assurdo e il paradossale, alla fine, lei, proprio lei, una serie fumettistica, ti porta a dire “Cavolo, ma è vero!”. Tralasciando il sentimento e la morale, il discorso alla base della serie è razionalmente inappuntabile. Ed il merito della seconda stagione è proprio quello di essersi addentrata nei particolareggiati meandri delle menti (malate?) che hanno generato questo aborto ideologico. Se nella prima stagione ci trovavamo a districarci tra gli spinosi e fitti misteri del Network, di chi ne fossero i membri, di cosa volesse Mr. Rabbit, nella seconda stagione sappiamo bene quali sono le carte in tavola, chi sta con chi (più o meno) e si indagano invece i ragionamenti (o gli sragionamenti), le intenzioni, le basi di una teoria che poi facilmente diventa ideologia e da lì il passo per la deriva eugenetica dalle tinte naziste è breve.
Il paradosso, poi, è un elemento sublime in Utopia e sempre presente. Proprio un ex deportato del nazismo si scopre essere la mente dietro a tutto ciò!! Un rom, ex deportato in un campo di concentramento, ha realizzato il più grande piano sterminatore dai tempi di Hitler, scegliendo per di più una razza come ceppo genetico privilegiato e destinata a dare seguito alla stirpe umana superstite dell’epidemia selettiva. Come a dire che l’uomo non impara mai dai propri errori, che la storia si ripete da secoli proprio perché l’uomo non ha mai accettato di non essere Dio, essendo, invece, un essere finito e sottomesso alle leggi della Natura.

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Tralasciando il contenuto della serie (su cui mi dilungherei per ore), passiamo alla forma. Eccelsa, strepitosa. Colori e fotografia non permettono distrazioni, ti tengono appiccicato allo schermo. Ogni pixel è un regalo, ogni scorcio una piccola opera d’arte. Le angolazioni particolarissime, gli ambienti gotici, i dettagli ridicoli e poi quel giallo onnipresente. Personalmente, da appassionata di semiotica, trovo un parallelismo tra i colori estremi e l’estremismo dell’argomento trattato. Tutto è allucinato, tutto supera i limiti. Tutto è così surreale ma al tempo stesso così vero.
E poi i personaggi! Wilson è stata la sorpresa della seconda stagione. Alti e bassi che facevano pensare a un suo ripensamento, e invece ecco la mazzata finale. È un personaggio eclettico, sfaccettato, profondo e ridicolo al tempo stesso, decisamente disconnesso dal tessuto sociale “quotidiano”. Capace di fare tutto. Il traduttore dalla lingua rom all’inglese sembrava uscito direttamente da un film di Tarantino. Carvel è stato costruito a puntino, bipolare quanto lucido e spietato sul da farsi. Grant fantastico con il suo essere mezzo bambino mezzo psicopatico in fasce. Pietre geniale, ansiogeno e pazzescamente umano. Jessica una bambina danneggiata per sempre. Lee, freddo, meccanico e ironico al punto giusto. Ian un essere assolutamente normale in una storia assolutamente assurda. E Becky! Stupenda con le sue esclamazioni, il suo senso materno alternato all’egoismo, l’isteria che lascia spazio al sentimento.
Una chicca davvero bella, poi, è stata il primo episodio con un tributo sensazionale alla bellissima Piazza Santa Maria in Trastevere di Roma, mai vista sotto quella luce. Un’occasione per collegare il background della nostra serie al clima sovversivo e cospirativo della fine degli anni ’70.

Arrivando al finale. Promosso. La storia rimane aperta e chiusa al tempo stesso. Se dovesse finire qui, ce ne potremmo comunque fare una ragione. Semplicemente capiamo che è la storia che si ripete, e che si ripeterà nei secoli dei secoli fin quando l’uomo calcherà questo suolo. La follia, l’egoismo, il sedicente altruismo, l’ideologia forsennata, le contraddizioni e l’irrisolvibile piccolezza dell’essere umano. Sono piaghe che contraddistingueranno sempre noi uomini e la storia che tracciamo giorno dopo giorno. Se la serie dovesse continuare, invece, secondo me, ci sono tanti filoni da poter sviluppare. Perché vengono presi solo Ian e Jessica? Cosa ne sarà di Becky e Pietre? E Dugdale? Cosa ne sarà della sua intermittente ribellione? Promosso, in particolare, il lamento sadico e soddisfatto di Wilson, che ne racconta perfettamente la mutazione.
Insomma, io mi sono innamorata di Utopia. Spero veramente ci sia una terza stagione, assecondando le intenzioni del creatore Denis Kelly.

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jogi__

Io non ho apprezzato molto questa seconda stagione, e in particolare questo finale perché, nonostante siano presenti molti tratti caratteristici che mi hanno fatto innamorare della serie durante la scorsa stagione, non sono soddisfatto da come è stata portata avanti la storia.

Prima di tutto in questo secondo ciclo di episodi è mancato un degno mistero da scoprire. Se nella prima stagione, tra le altre cose, avevamo il grande interrogativo sull’identità di Mr. Rabbit, che ha portato a vari colpi di scena nel corso delle puntate, in questa stagione l’unico mistero degno di nota era la prevedibile identità dell’uomo che poi si è scoperto essere Philip Carvel. Oltre ad essere scontata e banale, questa rivelazione indica, secondo il mio giudizio, un altro lato negativo della storia, dato che un personaggio come Carvel aveva molto più fascino da morto che da vivo, considerando il ruolo quasi inutile che ha giocato in questa stagione. Il lascito di un uomo deceduto era stato portato avanti in maniera ottima nei primi 7 episodi (includo anche la splendida puntata flashback di questa stagione); non capisco il senso di farlo “tornare in vita”, andando in un certo senso a rovinare quello che era stato costruito inizialmente.

Questo mi porta ad un’ulteriore parte che non ho apprezzato: la totale mancanza della graphic novel. Capisco che alla fine della scorsa stagione la Milner ci aveva fatto capire che The Utopia Experiment era solo “un mucchio di disegni di un vecchio pazzo”, ma la centralità e l’importanza che aveva la graphic novel nella prima stagione era secondo me uno degli elementi migliori dell’intera serie, e quest’anno sembra essere stata totalmente dimenticata.

4

Un altro punto dolente della stagione appena conclusa è il Network. Quella che inizialmente era una potente e spaventosa organizzazione, in questa stagione sembrava quasi una banale associazione con un po’ di risorse disponibili. Tra ministeri e case farmaceutiche, nei primi episodi della serie abbiamo assistito alle varie macchinazioni dei rami del Network, nelle ultime puntate invece tutto questo è sparito, lasciando spazio solo a due/tre personaggi che davano ordini ad altri due/tre personaggi. Inoltre, una cosa che mi turba molto da questo punto di vista è la situazione del Network dopo il finale di stagione: a capo di tutto c’è Wilson Wilson, che a mio parere non ha neanche un decimo del fascino della Milner come Mr. Rabbit, seconda in comando c’è Leah, che io ho sinceramente trovato abbastanza irritante. E basta. Pietre non ne fa più parte; Terrence, introdotto nella quinta puntata, è già morto. Geoff è morto e, con mio immenso dispiacere, è deceduto anche quello che secondo me è il personaggio rivelazione della seconda stagione: Lee. Se nella prima stagione il Network era una temutissima e potente organizzazione inarrestabile, nell’ipotetica terza stagione, se non ci saranno grossi cambiamenti, ci ritroveremo con un’associazione al limite del ridicolo.

Un’altra cosa che non ho particolarmente apprezzato è l’evoluzione dei personaggi. Sono soddisfatto dell’evoluzione di Pietre, che tra quelli rimasti per me è il personaggio più interessante. Per Jessica il mio parere è contrastante: sebbene apprezzi la svolta più folle e a tratti ingenua che ha avuto, ritengo che il suo carattere sia un po’ troppo diverso da quello della prima stagione, anche se in parte giustificabile dalle torture a cui è stata sottoposta. Una svolta di cui non sono soddisfatto è quella avvenuta nella caratterizzazione della Milner, che in questa stagione mi è sembrata meno forte e meno decisa, esattamente come l’organizzazione di cui era a capo. Parlando di personaggi, una cosa che non mi è proprio piaciuta è l’accenno a una strana relazione tra Ian e Jessica, che, visto come si sono concluse le cose, potrebbe portare a un triangolo amoroso tra i due e Becky. Mi è dispiaciuto molto anche per la quasi totale assenza di Alice, personaggio che avevo apprezzato nella prima stagione.

Ho elencato gli elementi che hanno fatto sì che la seconda stagione di Utopia mi lasciasse deluso, ma ci tengo a dire che il mio giudizio generale sulla serie rimane altissimo. La prima stagione è qualcosa di straordinario, in questa seconda il lato tecnico fortunatamente è rimasto magistrale, le musiche sono sempre fantastiche e Utopia, pur con qualche calo, rimane sempre Utopia. Ora non mi resta che sperare in una terza stagione, perché se la serie dovesse concludersi nel modo in cui si è conclusa questa seconda stagione, ci rimarrei molto male.

5

E voi cosa ne pensate? Siete pro o contro questa seconda stagione? Sperate in una terza? Diteci la vostra!

Valeria Susini

Luigi Dalena

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Luigi Dalena

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Producer pubblicitario. Blogger itasiano dal 2013. Maniaco dell'ordine e dell'organizzazione. Appassionato di videogiochi, tecnologia, astronomia, cinema e soprattutto serie TV. Apprezzo qualsiasi genere, ma ho un debole per sci-fi e fantasy. Una volta guardavo di tutto, ma poi ho lentamente ristretto i miei gusti spostandomi quasi esclusivamente sulle serie britanniche e sulle cable statunitensi. Più sono brevi, meglio è.
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