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Doctor Who: l’uomo che sconfigge i mostri

“Non sprecare altro tempo a discutere su cosa sia un buon uomo. Sii un buon uomo.”

ATTENZIONE: il seguente articolo contiene SPOILER sull’ottava stagione di Doctor Who.

Dopo la messa in onda dello speciale natalizio di quest’anno, Last Christmas, e la conferma di Jenna Coleman sulla sua permanenza nei panni di Clara come companion del Dottore, possiamo provare a tirare le fila della stagione appena conclusa. Com’è stata questa Ottava e qual è un primo giudizio sul nuovo Dottore?

Ho scelto la citazione con la quale aprire questo articolo, molti di voi l’avranno notato, non a caso. Si tratta dell’incipit dello speciale per il cinquantenario della serie: parole di Marco Aurelio per bocca di Clara Oswald, che ricalcano quello che per chi vi scrive è il tema più significativo – non l’unico – che viene protratto per l’intero arco narrativo di questa stagione. Facciamo un passo indietro: chi è il Dodicesimo Dottore? Da dove viene? Qualcuno più ispirato di me ha scritto che Twelve è un Dottore nato dalla speranza, la speranza data dalla consapevolezza di non aver sterminato il suo intero popolo, ma di essere riuscito ad alterare l’evento che più ha definito le incarnazioni che lo hanno preceduto, nel New Who. Io aggiungo anche che è un Dottore nato da novecento anni di Trenzalore, di battaglie sanguinose, di dolorose perdite. Se, in previsione della season première, Moffat aveva annunciato che questa ottava stagione sarebbe stata più dark, io preferisco descriverla come più introspettiva. Doctor_1

Pronti, via ed ecco che, non appena Capaldi si libera dal retaggio di Matt Smith in un easter egg impacchettato sotto forma di maschera di gomma, ci ritroviamo letteralmente Into the Dalek. In questo episodio il Dottore si trova di fronte a un Dalek danneggiato il quale, apparentemente, ha acquisito un senso di moralità oltre il condizionamento della sua razza, diventando un Dalek “buono”. Quando il Dottore riesce a riparare i danni subiti dalla creatura, è inevitabile il ritorno del Dalek al suo stato originario. In un ultimo, disperato tentativo di risvegliare ciò che di buono c’era in lui, il Dottore collega la propria mente a quella di “Rusty” (così era stato chiamato il Dalek dagli umani che lo avevano trovato) per mostrargli la reale bellezza della vita nell’universo. Il Dalek guarda nell’anima del Dottore e vede soltanto… odio. Il suo odio per i Dalek. Twelve lo supplica di cercare meglio, perché in lui deve esserci anche qualcosa d’altro. La domanda sorge spontanea: è il Dalek che, una volta “guarito”, può riconoscersi soltanto nell’odio fra tutte le emozioni o c’è invece una punta di verità in quello che dice? Al termine dell’episodio, il giudizio del Dalek è eloquente: “You are a good Dalek”, che richiama inevitabilmente alla memoria quel “You would make a good Dalek” della lontana 1×06 (Dalek).

Ed ecco che, all’interno del TARDIS nei primi passaggi dell’episodio, arriva profetico l’interrogativo:

“Dimmi. Sono un buon uomo?”

Fin da subito mi ha affascinato un quesito: è solo in seguito alla visione di un Dalek “buono” che il Dottore comincia a porsi questa domanda, o in quel “There must be something else. Please!” è nascosta un’ulteriore urgenza del sapere, un interrogativo terribile che portava dentro di sé già da diverso tempo? Quella dell’effettiva bontà o meno del Dottore, al netto delle sue buone azioni e dei danni collaterali che causa in Doctor_2molte delle sue avventure, è una domanda posta in diverse occasioni già dai tempi di Russel T. Davies. Uno degli episodi dell’era Tennant che preferisco in assoluto per il grande conflitto che solleva e per la straordinaria interpretazione del buon David, è The Family of Blood (3×09), secondo di una storia in due parti in cui il Dottore, per sfuggire alla Famiglia del Sangue, si nasconde nel 1913 sotto forma umana infondendo tutta la sua essenza di Signore del Tempo all’interno di uno speciale orologio da taschino, perdendo memoria di chi sia realmente, fintanto che l’orologio non viene aperto. Nelle battute finali, quando il Dottore – riacquistata la memoria e sconfitto il nemico di turno – prova a convincere la donna amata dal suo alter ego umano a viaggiare con lui nel TARDIS, lei gli domanda:

“Se il Dottore non fosse venuto qui, sarebbe morto qualcuno?”

La risposta è un pugno nello stomaco: silenzio. Silenzio, perché forse non c’è in realtà niente da dire. Lo sguardo addolorato di Ten ed il fruscio del suo lungo cappotto mentre si lascia alle spalle altro dolore e richiude lentamente la porta del TARDIS. In The Sontaran Strategem (4×04) tocca a Martha mettere in guardia un’entusiastica Donna sui pericoli che accompagnano chi viaggia con il Dottore. Il Dottore è meraviglioso, le dice, ma è come il fuoco: stagli troppo vicino e finirai per bruciarti. Dell’era Smith citerò una sola frase da un singolo episodio, ma è una frase talmente potente, per il modo in cui arriva, che ha un impatto sul Dottore così profondo da fargli decidere che è tempo di fare un passo indietro con i Pond, per lasciare che vivano la propria vita finché sono ancora vivi. Si tratta dell’ultimo lascito del Minotauro (6×11, The God Complex) che, in punto di morte, scocca un’ultima freccia dritta nel cuore di Eleven:

“Un’antica creatura, macchiatasi del sangue degli innocenti. Che vaga nello spazio, all’interno di un infinito, mutevole labirinto. Per una tale creatura, la morte sarebbe un dono.”

Questi sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero fare sulla controversa natura del Dottore, e che tornano prepotentemente a galla ogni volta che Twelve dichiara di non essere un eroe (8×03, Robot of Sherwood), o che a volte le uniche scelte a disposizione sono cattive scelte, ma una decisione va comunque presa (8×07, Kill the Moon). La (momentanea?) soluzione di questo conflitto in Death in Heaven trovo si avvicini di parecchio a quella che per me rappresenta forse la migliore soluzione possibile, con il monologo del Dottore la cui premessa è molto simile a quel “I am definitely a madman in a box” che risale agli albori della quinta stagione, seppur di ben altro spessore drammatico ed emotivo.

“Non sono un uomo buono! E non sono un uomo cattivo. Non sono un eroe. […] Io sono… un… idiota. Con una cabina ed un cacciavite, che si trova a passare, dà una mano e impara.”

Per certi versi ho trovato questa stagione molto simile alla quinta: episodi perlopiù autoconclusivi, in cui la trama di stagione viene solamente accennata al termine di quasi ogni episodio, con doppio finale a conclusione del tutto. Ciò che accomuna le due prime stagioni di Moffat alle prese con un nuovo Dottore penso sia, in realtà, la ricerca di stabilire prima di tutto chi sia il Dottore che ci troviamo davanti (“The oldest question in the universe”) per poi, solo a questo punto, lasciare spazio ad una trama stagionale che comunque ho apprezzato in entrambe le situazioni. Penso che questa ottava stagione abbia tutto per essere ricordata come un’ottima stagione, forse una grande stagione, dotata di una profondità su più livelli che non mi aspettavo e mi ha sinceramente colpito in pieno, nonostante rimanga non priva di difetti. È una stagione che ricorderò per un Peter Capaldi monumentale, che avevo già amato in The Hour (se non l’avete mai visto, flagellatevi e ponete immediatamente rimedio: non ve ne pentirete) e sono arrivato ad adorare nei panni del Dottore. Doctor_3Il suo è un Twelve fatto di emozioni spesso trattenute, variazioni quasi impercettibili nella mimica facciale ma che nascondono un universo intero ed una fisicità nel ruolo a tratti irresistibile. Per dare un assaggio delle straordinarie capacità recitative di quest’uomo basta ricordarsi della rabbia nel non trovare Gallifrey dove il Maestro aveva detto che sarebbe stato e la sua conseguente reazione, solitario nel TARDIS, e l’espressione di intensissimo struggimento al momento dell’ultimo abbraccio con Clara. La ricorderò per Listen (8×04), da molti criticata per le eccessive libertà presesi da Moffat nell’interagire con la mitologia della serie, ma per me di una delicatezza e di una poesia impagabile nell’incontro di Clara con un giovanissimo Dottore.
Ci sarebbe molto altro da dire su questa stagione di Doctor Who, ma il taglio che ho cercato di dare all’articolo verteva su un argomento in particolare e spero che ci sarà modo di parlare in futuro di questo ed altri aspetti del nostro Dottore.

In definitiva è giunto il momento di dire la vostra: qual è il vostro giudizio su questa stagione e cosa ne pensate del nuovo Doctah? Per me, qualunque sia la sua incarnazione, resterà sempre the man that stops the monsters.

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Carlo Zagagnoni

Specializzato nello scoprire serie con tardiva colpevolezza e nel compiere maratone impossibili per riportarmi al passo con i tempi. Amo il fantasy duro e crudo, i Cavalieri Jedi e tifo per i cattivi che perdono sempre. Vivo per i libri. Sono blogger su ItaSA dal 2015. Da quando ho ricevuto il mio cacciavite sonico non sono più lo stesso.

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