Cinema

Intervista a Chiara Codecà, parte 2: l’Italia, la fantascienza al cinema e il doppiaggio

Ed ecco qua la seconda parte dell’intervista a Chiara Codecà. Se vi siete persi il primo articolo, don’t panic: lo trovate qua.

Serie come Star Trek e Battlestar Galactica devono molto del loro successo alle tematiche importanti che hanno saputo affrontare (guerra, vita, morte, religione…). Anche la tv può aiutare a farci riflettere?

La scrittura migliore in qualunque media (libri, televisione, cinema) parla dei temi importanti, universali, da cui tutti ci sentiamo coinvolti. Non ho dubbi che la grande narrazione possa essere fatta anche in televisione: attenzione, non sto dicendo “guardate la televisione, ha le risposte sul senso della vita”. No. Sto dicendo che le buone storie, incluse quelle raccontate in forma di sceneggiature tv, possono fare le domande giuste, lasciarci qualcosa. Serie come Battlestar Galactica, Babylon 5 e Star Trek sono prodotti d’intrattenimento, sì, ma a volte toccano temi profondamente importanti, che lasciano allo spettatore – soprattutto allo spettatore più giovane – qualcosa su cui riflettere dopo che è finita la sigla di coda. Non è un pregio da poco.

 

E perché serie di questo genere le contiamo sulle dita di una mano?

gibbsUn po’ per il principio di prima, ovvero: chi produce televisione non cerca di fare arte, cerca di fare dei prodotti vendibili, quindi l’obiettivo è creare qualcosa che attiri più pubblico possibile, non puntare a creazioni eccezionali. Va già bene quando sono di qualità. Per ottenere grandi numeri – almeno tra i network in chiaro, il discorso è molto diverso per i canali via cavo – la risposta migliore sembra restare “nella media”, non eccedere. Game of Thrones, per la violenza e il sesso che contiene, è un prodotto impensabile per un network in chiaro, poteva essere realizzato solo da un canale via cavo. Al contrario, The Vampire Diaries (che pure ha scene di violenza) è un perfetto esempio di prodotto da network: fondamentalmente è Dawson’s Creek con i vampiri (peraltro, dello stesso produttore) solo con toni più sexy. La produzione tv di maggior successo degli ultimi anni tra gli scripted show (quindi escludendo i reality) è NCIS, l’avresti immaginato? Ha superato i 20 milioni di spettatori. Sicuramente è una serie ben fatta, ma il segreto del suo successo è proprio nella sua “non eccezionalità”. Ha azzeccato un mix di personaggi e storie interessanti ma mai difficili. I protagonisti di NCIS non sono mai eticamente scorretti. Anche quando si muovono in situazioni moralmente ambigue, prima della fine dell’episodio c’è sempre un ritorno all’ordine o una giustificazione superiore (vedi l’arco narrativo del personaggio di Gibbs). Insomma, è un mix divertente e d’azione senza troppi pensieri: è ovvio che abbia successo.

Per avere un esempio opposto lasciami tornare a Star Trek: Deep Space Nine: in una delle ultime stagioni della serie i nostri eroi si trovano coinvolti in una guerra devastante dalla quale non sanno assolutamente come uscire. In questa situazione drammatica, il protagonista sceglie coscientemente di compiere un’azione eticamente scorretta per quello che lui considera essere un bene superiore, ovvero ribaltare le sorti della guerra. Alla fine dell’episodio, quando lo spettatore si aspetta che qualche fattore esterno giustifichi la sua scelta… non succede niente, non c’è nessuna giustificazione o facile risposta. In NCIS questo non potrà mai capitare. Alla fine puntata c’è sempre un ritorno all’ordine, è una struttura seriale rassicurante. Lo stesso ragionamento vale per un prodotto come Revenge, in cui la protagonista fa cose terribili, ma visto che le fa contro persone ancora più terribili lo spettatore si sente giustificato a tifare per lei)

Per inciso, l’episodio di Star trek che citavo prima si intitola “Alla pallida luce della luna” ed è stato scritto da quel Ron Moore che pochi anni dopo farà della “sporcizia morale” dei suoi protagonisti il tratto distintivo di Galactica.

 

Perché in Italia, se voglio vedere sulla tv in chiaro della fantascienza o del fantasy, devo guardarla ad orari improponibili? Per l’italiano medio sono davvero meglio i Cesaroni?

Spero davvero di no! I Cesaroni sono meglio per i produttori di Canale 5 che vedono dati d’ascolto positivi e mettono in cantiere altri prodotti simili. Che abbiano molto pubblico è innegabile, anche se sarebbe interessante sapere quanto sono precisi quei dati e qual è il target di pubblico rilevato (ragazzi? Famiglie? Anziani?). Battute a parte, temo che semplicemente non ci sia la cultura: in Italia diamo ben poca attenzione alla scienza, e il fan di fantascienza è preso sempre un po’ in giro, quando invece dovremmo avere anche l’orgoglio di dire le cose come stanno, e cioè che la buona fantascienza (dai libri alle serie) può essere un magnifico prodotto. E’ uno snobismo che vale anche nell’editoria, comunque: chi non lo conosce guarda il genere dall’alto in basso, ma un libro come Dune di Frank Herbert è un capolavoro tout court, a prescindere dal genere. La programmazione tv infelice è solo l’ultimo anello di questa catena. E pensare che quando Star Trek: The Next Generation arrivò su Italia 1 nel 1994 ebbe un successo di ascolti pazzesco… Comunque gli orari improponibili non sono un purgatorio solo delle serie fantastiche: una delle produzioni non di fantascienza più belle degli ultimi anni, The West Wing, che fonde drammaticità, pathos e grande comicità come forse nessun altro è riuscito a fare, è stata trasmessa su Rete 4, in estate, il venerdì sera, alle 23:30: e poi si chiedono perché non ha avuto successo. E’ una serie che ha avuto un’unica fortuna: un adattamento italiano di altissima qualità, cosa particolarmente complessa visto il soggetto (la politica americana). In tempi recenti almeno Sherlock – una fantastica produzione BBC, su cui è meglio che non inizi perché potrei parlarne per ore… E lo faccio, quando tengo degli incontri sulla tv – ha avuto un trattamento migliore, mandato in prima serata su Italia 1 ha avuto un ottimo riscontro di pubblico.

Star-Trek-2009

Passiamo dal piccolo al grande schermo. Durante l’incontro a Lucca tirasti in ballo una statistica che mi lasciò letteralmente a bocca aperta: una grande percentuale dei film di fantascienza degli ultimi anni è composta da prequel, sequel, reboot o remake. Perché?
Perché un film legato in qualche modo a un altro che ha già avuto successo assicura immediata visibilità e quello che nel marketing – abbi pazienza, ci lavoro – si chiama riconoscibilità del marchio. Ovvero: il primo Spider-Man ha avuto successo? Benissimo, ne facciamo due sequel, poi lasciamo passare qualche anno e ricominciamo da capo con un reboot. La gente tornerà a vederli. Se The Avengers avrà il successo che i produttori sperano puoi scommettere che partirà una nuova ondata di film – sequel, reboot, ecc. – delle saghe dei supereroi. Gli auguro il meglio, spesso in questi grandi produzioni si investe su regista, attori e effetti speciali e non abbastanza sulla sceneggiatura, che dovrebbe essere lo scheletro che regge tutto il resto.

Un particolare curioso su questo tipo di film (supereroi): la grande sfida è attirare al cinema il pubblico femminile, perché il target delle storie originali era l’adolescente maschio. Visto il successo di film come Iron Man e Batman direi che è una scommessa vinta.

 

Cosa pensi del fenomeno delle webseries? Ormai possono essere considerate un vero e proprio genere?

Ne penso tutto il bene possibile. La televisione che conosciamo è un format un po’ datato, quindi questi nuovi esperimenti potrebbero portare una ventata d’aria fresca, e forse una più ampia offerta qualitativa. La tecnologia si è evoluta e ci possiamo permettere di sperimentare format di durata diversa rispetto ai soliti 45 minuti, senza interruzioni pubblicitarie. Sono curiosa di vedere se prenderanno piede.

 

Parliamo di te. Cosa fai nella vita?
Lavoro nel marketing, sono consulente editoriale (libri per ragazzi), traduttore e interprete.
Da qualche anno mi occupo anche di eventi culturali e della gestione di ospiti stranieri per convention e fiere. E’ un’attività che era partita come hobby, ma mi ha dato (e mi dà) l’opportunità di conoscere professionisti del cinema e nella tv americana e inglese, e puoi immaginarti il resto: per un’appassionata di cinema è stato come cadere nella tana del Bianconiglio. Da lì ho cominciato a studiare il più possibile sul linguaggio cinetelevisivo.

 

Da traduttrice cosa pensi del sottotitolaggio? E del doppiaggio?

dr-who-christopher-eccleston(ride) Sono di parte, ma credo che fare sottotitoli sia quasi un’arte minore, perché rendere un discorso dall’inglese all’italiano dovendo rispettare un limite di caratteri e di righe è tutt’altro che semplice. Diciamo che è il genere di lavoro che è estremamente facile fare male, mentre farlo bene richiede competenza, cura e passione. E – come si suol dire – “tradurre è tradire”. Anche l’adattamento e il doppiaggio hanno problemi simili e io nutro profondo rispetto per chi lo fa in modo serio e professionale. Abbiamo avuto per molti anni un’ottima scuola di doppiaggio, anche se ultimamente l’impressione è che l’aumento della concorrenza non abbia aiutato a tenere alto il livello… Ricordo una scena ricca di pathos e di tensione in Doctor Who, in cui la battuta – cito a memoria – “legends of your planet call me the Oncoming Storm” (traducibile in “la tempesta imminente”), è stata tradotta in “le leggende del vostro pianeta mi chiamano il Dottor Tempesta.” Anche considerando i vincoli del labiale, il tono è radicalmente diverso, e perde moltissimo.

In ogni caso, anche se a volte è difficile trovare la soluzione ideale, credo che il risultato valga la pena. Il che mi porta a farvi i complimenti per il vostro lavoro, davvero. Ho parecchi amici che vi sono enormemente grati per i vostri sottotitoli, senza non potrebbero godersi a pieno le serie che seguono.

 

C’è qualcos’altro che vorresti dire ai lettori del nostro blog?

Solo ringraziarvi ancora per lo spazio che mi avete dedicato. E scusarmi per averne approfittato?… Temo che si veda che l’argomento mi appassiona e che ne parlerei per ore! E’ un piacere poter chiacchierare così con chi capisce, come voi e i vostri lettori; il principio per cui la buona narrazione esiste anche nelle storie per grande e piccolo schermo non è ancora completamente sdoganato, l’atteggiamento – un po’ snobistico – di molti è: “è solo tv”. Certo che è solo tv, ma le buone storie sono sempre un regalo, che siano su carta o in altri media.

 

Non mi resta che invitarvi a esprimere le vostre opinioni nei commenti e ringraziare Chiara (@ChiaraCodeca su Twitter) per la sua enorme disponibilità. Chissà, magari qualcuno di voi la incrocerà in giro per l’Italia a qualche convention. E magari a quella convention parteciperà anche ItaSA!

 

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Bettaro

Nerd e fisico, ma più simpatico di quelli di TBBT. Marvel fan, Star Wars fan, Halo fan. Stregato da Arrested Development e Life on Mars. Su ItaSA Blog dal 2012, sono dietro a ogni pessima decisione editoriale.
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