Un estratto del libro di critica televisiva “The Revolution was televised”, che analizza le bizzarre origini di una serie che ha fatto storia.La storia di Lost non ha senso, perché era uno show che aveva tutte le carte in regola per fallire. Nel 2003, il direttore esecutivo di ABC Lloyd Braun si trovava in grossa difficoltà professionale. Il suo network aveva organizzato la programmazione intorno al gioco a premi “Who wants to be millionaire”, allontanandosi dalle serie scripted; lo show però si stava rapidamente sgonfiando e così pure gli ascolti di tutto il network. In vacanza alle Hawaii, dopo aver visto Cast Away, Braun stava passeggiando sul lungomare con la famiglia e pensava a uno show che fosse un po’ Il signore delle mosche e un po’ il reality Survivor, incentrato sui personaggi, sui loro rapporti e sul tema del ritorno a casa. Aveva già un titolo: Lost.
- E se il successo di Lost non fosse stato solo casualità?
Alla riunione dei direttori dell’emittente, Braun suggerì Lost, preferendolo all’ultimo istante ad un altro concetto che aveva in mente da tempo. Il resto dell’assemblea accolse freddamente l’idea, ad eccezione di Thom Sherman, il direttore della programmazione drama. I due decisero di fare squadra e spingere l’idea, fra lo scetticismo non solo dei colleghi, ma anche dei propri sottoposti. Venne assunto una sceneggiatore,
Jeffrey Lieber*, per la prima bozza dello show: ma il risultato fu deludente. Il titolo era stato cambiato, e anche il contenuto stravolto. Sherman era per mettere da parte il progetto e farlo riscrivere, per presentarlo l’anno dopo. Ma Braun era convinto che l’azienda volesse liberarsi di loro molto prima: se nella stagione seguente il trend degli ascolti non fosse cambiato, sarebbero stati licenziati. Così i due decisero di rivolgersi a J.J. Abrams e alla sua BadRobot.
Abrams stava già lavorando per l’ABC con Alias, show tenuto in gran considerazione dall’emittente, e inoltre stava lavorando ad un nuovo pilota, The Catch, ordinato proprio da ABC. Quando Braun gli chiese di mettere da parte The Catch, cui aveva già dedicato molto tempo, e mettersi a riscrivere Lost, Abrams pensò ad uno scherzo. Controvoglia, lesse il concetto. Il giorno seguente chiamò Braun e gli disse: “Ti odio. Non riesco a smettere di pensare a questo show”. Equivaleva a un sì.
Abrams credeva che non ci fosse abbastanza materiale per una serie broadcast, a meno che non si fosse trasformata l’isola in “un personaggio”. Braun trovava la soluzione convincente, ma si fece promettere di mantere il tutto ancorato a “basi scientifiche”, con una spiegazione logica per ogni evento misterioso.
Nel frattempo, il giovane autore Damon Lindelof da diverse settimane stava tempestando di chiamate la segreteria della BadRobot per un incontro con J.J. Abrams: voleva entrare nel team creativo di Alias, e non accettava un “no” come risposta. Gli venne proposto di impressionare il capo con qualche idea per questo nuovo show ordinato da ABC su di un’isola misteriosa: se avesse fatto bene, il posto in Alias sarebbe stato suo. Lindelof diede un’occhiata al lavoro di Lieber, concentrandosi soprattutto sull’uso dei flashback per creare storie extra-isola, e sul rapporto personale di ciascun personaggio con l’isola stessa. Il suo lavoro piacque molto ad Abrams, e i due cominciarono a lavorare assieme sui connotati del pilota. “Il bello”, ricorda Lindelof, “è che avevamo pochissimo tempo per scrivere tutto. Potevamo realizzare lo show dei nostri sogni, e quelli dell’emittente potevano solo prendere o lasciare: nel peggiore dei casi, avremmo perso una settimana di lavoro”.
Non era nemmeno una sceneggiatura, la prima bozza del pilota, ma piuttosto una sua “narrazione” a grandi linee. Braun lo lesse insieme a un amico e talent manager, Brian Gurvitz, e i due restano senza parole: uno dei lavori più interessanti mai letti nella loro carriera. Via libera alla produzione, quindi: casting, organizzazione e girato in meno di due mesi, un vero record. I migliori attori sul mercato si erano già accasati ormai, e così furono scelte le “seconde linee” ancora libere, cercando di rendere il cast internazionale in modo da avere appeal anche fuori dall’Europa. L’idea di un “colpo di scena iniziale”, presentare un personaggio come protagonista e poi ucciderlo alla fine del pilot, doveva essere il colpo da maestro per creare la giusta atmosfera di ansia da isola; ma quelli della ABC non ne erano convinti, temevano un massiccio abbandono dopo il pilota. Alla fine gli autori concordarono, “salvando” il dottor Jack e dandogli il ruolo di co-primario insieme alla fuggitiva Kate, la cui storia da sola non poteva reggere lo show. In compenso, Abrams e Lindelof diedero una svolta più sci-fi allo show, mantenendo l’impegno di dare una spiegazione “Crichtonesca” agli eventi: vaga, magari non tanto precisa, ma efficace nella sospensione della realtà di uno show televisivo.
Il pilota di Lost era pronto, Braun no: fu licenziato in Aprile, prima degli Upfront. Il suo successore, Steve McPherson. La prima grana era quella di trovare uno showrunner: Lindelof aveva poca esperienza e Abrams era impegnato a dirigere Mission Impossible III. Ci si rivolse allora a Cuse, vecchio collega di Lindelof quando questi aveva brevemente lavorato per la serie Nash Bridges. Cuse, contro il consiglio del suo agente, accettò la posizione: “ci credevano talmente in pochi che avevamo la libertà di fare quello che volevamo. Quasi tutti erano convinti che sarebbe stato uno show da 13 episodi e via, e quindi ci impegnammo a creare un prodotto di nicchia che potesse essere amato dai cultori del genere, un po’ come The Prisoner”. In realtà, alla Disney avevano messo mano pesantemente al portafoglio, consapevoli che senza investimenti l’emittente sarebbe rimasta indietro anche quell’anno. Non solo il pilota era costato quasi 13 milioni di dollari (uno dei budget più alti per la tv), ma le campagne pubblicitarie estive, classiche e “innovative” furono organizzate su vasta scala. A beneficiarne fu non solo il pilota di Lost, ma anche quello di un altro drama lanciato nel 2004: Desperate Housewives. Entrambi aprirono con numeri altissimi, e ottime recensioni. La reazione di Lindelof? Depressione e ansia.
“Entrò nella sala autori, sbattè i rating sul tavolo e disse: “Vuol dire che dobbiamo andare avanti a fare ‘sto cazzo di show?”. Non immaginavamo avrebbe avuto un tale successo. Ora dovevamo produrre un’intera stagione di quella roba e non sapevamo da che parte cominciare, e dove andare a parare”. Così la prima stagione fu soprattutto costruire i personaggi, inserire elementi di disturbo/di mistero, e naturalmente la botola, l’unico elemento previsto da Lindelof e Abrams fin dall’inizio della scrittura. “Praticamente scrivevamo la sceneggiatura di ogni episodio slegata dalle altre, senza una vera mitologia o storia comune.” ricorda Cuse.
Al termine della prima stagione, il team creativo decise di andare in “ritiro” e buttò giù a grandi linee la spina dorsale dello show: la Dharma initiative, Jacob, la battaglia fra bene e male, gli intrecci fra i personaggi, la storia degli altri. Nel frattempo, al pubblico veniva servito il finale di stagione, uno dei più crudeli cliffhanger della storia della tv. La reazione del pubblico sorprese Lindelof oltre ogni aspettativa: “Il pubblico non era solo deluso, quello ce l’aspettavamo. Erano proprio arrabbiati. Del tipo: “Ma come vi permettete di lasciarci così?””. I ricordi di Cuse di quel periodo sono più piacevoli: “L’estate del “ritiro” è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Andavamo a mangiare al ristorante e al tavolo accanto degli sconosciuti discutevano di cosa ci fosse nella botola. Io sorridevo e pensavo che ero una delle uniche dieci persone al mondo a conoscere la risposta”.
Fonte: Grantland.com
*Nel 2007, la Writers Guild of America ha riconosciuto a Lieber i diritti di co-autore per il concept di Lost. I termini dell’accordo non sono noti, ma Lieber quello steso anno ha affermato di ricevere annualmente una somma “a sei cifre” come conseguenza dell’accordo stesso.
SLM
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