In questa seconda parte affronteremo la terza e quarta stagione del teen-show britannico. Nuovo cast, nuova trama, ma non è tutto oro quello che brilla.
Gli autori di Skins, conclusasi la seconda stagione, si sono trovati di fronte a un bivio: continuare con le avventure dei personaggi al college, o rinnovare completamente la serie con un nuovo cast. Scelsero la seconda, creando un nuovo gruppo di personaggi, di cui solo uno collegato alla precedente generazione, Effy.
Se la prima stagione iniziava bene per poi perdersi nelle puntate successive, questa terza fa l’opposto. Dopo un traballante primo episodio, la serie migliora sensibilmente. Se nella prima generazione Skins si dibatteva tra realtà e finzione, cercando una via di mezzo non sempre riuscita, in questa riesce a trovare un equilibrio. Ancora più che nelle stagioni precedenti, Skins commenta e critica intelligentemente le giovani generazioni e i loro genitori, rappresentando una versione estrema degli eccessi dei giovani e della stupidità e immaturità degli adulti.
La trama presenta inoltre una maggiore coerenza narrativa, con un inizio, uno sviluppo e una fine ben definiti. Tutto questo mettendo leggermente da parte la caratterizzazione dei protagonisti, che risultano più abbozzati e meno definiti singolarmente, pur rimanendo comunque interessanti.
Pochi sono i momenti superflui, e l’attenzione è spostata più sulla storia di tutti i protagonisti piuttosto che sulle loro singole storie. Non che queste vengano completamente ignorate, ma sono ridotte a favore della trama generale. La terza stagione si segue con piacere, seppur i personaggi risultino meno sviluppati rispetto alla trama (e in questo caso è un bene).
Le cose si invertono nella quarta stagione; si torna a concentrarsi sui singoli personaggi e sulle loro storie. Se nella prima generazione questo risultava un problema quasi minore grazie a personaggi più interessanti, in questa seconda generazione molte puntate risultano noiose e poco convincenti. Su nove personaggi sono solo due – Effy e JJ – quelli più originali e convincenti, quelli per cui anche gli altri protagonisti maturano nel corso delle due stagioni. Il più inutile è sicuramente Freddy che ha una personalità quasi inesistente e viene sviluppato troppo poco, mentre Cook e gli altri risultano ben caratterizzati, nonostante risultino convincenti più per la loro storia che per le loro singole personalità. Da dimenticare il finale della quarta stagione, che risulta alquanto poco soddisfacente rispetto alla qualità generale di questa generazione.
Infine è necessario criticare la scelta degli autori e dei registi di inquadrare numerose volte le parti femminili delle protagoniste. Un espediente per tenere incollati i giovani telespettatori, certo, ma nelle prime puntate tutto questo risulta eccessivo.
Al termine di queste due stagioni mi sono fermato a riflettere se, in una serie TV, debba avere maggiore importanza la trama o i personaggi. Nel mondo cinematografico, ad esempio, gli artisti della Nouvelle Vague davano maggiore importanza alla storia rispetto ai personaggi: si parte da una trama efficace, intrigante e poi su di questa si costruiscono i protagonisti della stessa. Forse così è stato per la terza stagione di Skins che risulta, tra le quattro viste da me fin’ora, la più riuscita.
Ma la formula degli artisti francesi funziona anche per i telefilm? Più che nel cinema, gli sceneggiatori delle serie TV devono combattere contro una concorrenza sempre maggiore, contro gli stereotipi dei vari generi, e contro tempi molto più lunghi delle due ore previste per un film. L’unico modo per creare qualcosa di convincente e originale è avere dei personaggi ben caratterizzati, carismatici e unici.
True Detective non sarebbe stato lo stesso senza il grandissimo personaggio di Rustin Cohle, così come Breaking Bad sarebbe stato ben diverso senza Walter White o Jesse Pinkman.
Un esempio di efficace realizzazione di quella formula – guardando le serie in onda in questi giorni – è The Strain: storia intrigante, intorno alla quale si sviluppano personaggi altrettanto ben caratterizzati. Dalla parte opposta troviamo Under The Dome, con una trama accattivante ma cucita su personaggi caratterizzati malamente.
La formula più efficace per le serie TV sembra quindi essere quella di avere protagonisti carismatici con una trama appassionante a sorreggerli che li renda completi e verosimili.
Skins sembra soffrire, più di altri show, di questo eterno duello tra trama e personaggi, faticando a trovare un equilibrio tra una buona storia e buoni personaggi.
A voi è piaciuta la seconda generazione? Preferivate i protagonisti della prima? Pensate che nei telefilm ci debbano essere prima di tutto buoni personaggi o una buona trama?
Jacopo Msn
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