Seguono spoiler sui primi otto episodi della quinta stagione di The Walking Dead.
The Walking Dead, la serie di AMC creata da Robert Kirkman e tratta dall’omonima serie a fumetti dello stesso autore è ufficialmente entrata nella pausa invernale, che durerà fino a febbraio dell’anno prossimo. Per cui è giunto il momento di fare un passo indietro, prendere un bel respiro e valutare cosa ha funzionato e cosa invece potrebbe essere rivisto in questi otto episodi che compongono la prima metà della quinta stagione. Questo mid-season finale ha ancora una volta registrato nuovi record di gradimento tra i telespettatori americani, ma se dal punto di vista degli ascolti la serie continua ad essere il solito juggernaut, inarrestabile quanto l’amore che unisce Maggie e Glenn, dal punto di vista qualitativo questa prima metà di stagione non ha fatto eccezione, ed esattamente come le altre, è stata un giro sull’ottovolante, con picchi di inaspettata qualità e implosioni narrative altrettanto inspiegabili.
Cominciamo con le note dolenti:
– Dopo un inizio estremamente promettente, la serie è nuovamente incappata nell’errore che aveva caratterizzato la seconda metà della scorsa stagione, ossia la separazione del cast in filoni narrativi indipendenti. Questa separazione, avvenuta al termine del terzo episodio, ha dato origine ad una striscia di tre episodi focalizzati sulle vicende dei diversi gruppi: Beth all’ospedale, Abraham e il convoglio diretto a Washington, Carol e Daryl all’inseguimento dei rapitori di Beth. The Walking Dead è una serie caratterizzata da un ensemble cast (cast corale) e che, come tale, funziona meglio quando tutti o quasi i personaggi principali sono coinvolti nella stessa storyline. Questa separazione in filoni narrativi relativamente autonomi ha avuto l’effetto di generare episodi sbilanciati, caratterizzati da differenze sostanziali nella capacità di catturare l’attenzione nello spettatore. In maniera abbastanza strana, ho trovato che l’episodio concentrato sulle vicende di Beth all’ospedale avesse decisamente più mordente rispetto a quello dedicato alla caccia di Daryl e Carol, due personaggi decisamente più interessanti rispetto alla giovane Green, e che al contrario si è rivelato una grossa delusione. In mezzo a questi due, troviamo l’episodio culminato con la rivelazione delle bugie di Eugene, dove alcuni passaggi davvero noiosi sono intervallati da flashback molto interessanti e utili a delineare la backstory di Abraham, del quale ancora si sapeva ben poco. Allo stesso modo, questa separazione ha influito negativamente anche sugli episodi che cercavano di comprimere i diversi filoni narrativi all’interno dei 40 minuti canonici, come è accaduto in Crossed, il settimo episodio della stagione, che di fatto ci ha regalato le indimenticabili avventure nel mondo della pesca d’altura di Glenn,Tara e Rosita, e i dolori del giovane padre Gabriel, togliendo spazio al segmento più importante, quello della missione di salvataggio guidata da Rick e diretta ad Atlanta. Come è accaduto durante la scorsa stagione, il ricongiungimento dei personaggi e dei diversi filoni narrativi, allora coinciso con l’arrivo a Terminus e stavolta con l’arrivo ad Atlanta nel tentativo di salvare Beth e Carol, ha avuto l’effetto di originare una nuova impennata qualitativa della narrazione, ancora una volta però giunta troppo tardi nell’economia della stagione, ossia giusto in occasione del mid-season finale.
– I personaggi di The Walking Dead, a parte l’inumana abilità di colpire qualsiasi zombie inesorabilmente alla testa, abilità che farebbe la fortuna di ogni giocatore di Call of Duty del pianeta, sono estremamente umani, e come tali, capaci di commettere errori. Ma se pensiamo alla stupidità di alcuni personaggi di questa serie, questi difetti smettono di essere un valore aggiunto e diventano invece una zavorra. Parliamo ad esempio di Padre Gabriel, che dopo essere sopravvissuto fino a questo punto, sente l’impellente necessità di scappare dalla chiesa per vedere con i propri occhi il degrado raggiunto dal mondo in cui vive (o seriamente il suo scopo era quello di andare alla scuola ed eventualmente trovare gli avanzi di Bob?). Oppure Sasha, una delle dure del gruppo, sempre sofferente per la morte dell’amatissimo Bob e riluttante a ricevere l’aiuto dell’orsetto Tyrese, che si fa abbindolare dal poliziotto saggio dell’ospedale, riuscito a convincerla a dargli convenientemente le spalle, fornendogli così l’opportunità di scappare. E chiudiamo con Beth, che dopo essersi dimostrata sufficientemente piena di risorse e non averci ammorbato con nessuna canzone, è riuscita a rovinare uno scambio di prigionieri conclusosi sorprendentemente senza spargimento di sangue, infilando un paio di forbici nella spalla di Dawn, riuscendo contemporaneamente nell’impresa di non fare alcun male alla poliziotta e farsi uccidere. Quella tra la fallacia tipica della condizione umana e la semplice idiozia, è una linea piuttosto sfumata, ma in questo caso mi sento di dire che ci troviamo abbondantemente nel territorio della seconda, con il corredo di rotazione dei bulbi oculari a 360° che ne consegue.
– Gli sceneggiatori di tanto in tanto si lasciano andare e tornano a quelle brutte abitudini che avevano caratterizzato la scrittura delle stagioni precedenti, in particolar modo la seconda, ossia lasciare la scena alle interminabili elucubrazioni etiche e morali dei personaggi, quasi mai capaci di andare realmente in profondità e superare le banalità da “abbiamo perso ogni brandello di umanità” vs “in fondo rimaniamo ancora degli esseri umani”. I dilemmi etici vengono trattati decisamente meglio attraverso l’azione, come accade da parecchio al personaggio di Rick, diventato decisamente il migliore di tutto il cast, una spanna abbondante sopra tutti gli altri.
– Il plot-twist che ha rivelato la vera natura di Eugene era talmente prevedibile che l’unica reazione che è riuscito a suscitare è stato un “ma va’?!”. Troppo improbabile la sua storia, troppo improbabile l’aspetto fisico di Eugene per risultare credibile. Se cercavano l’effetto sorpresa hanno fallito clamorosamente.
– I personaggi di Tyrese, interpretato da Chad Coleman, e la coppia Maggie-Glenn, portata sullo schermo da Lauren Cohan e Steven Yeun, hanno fatto enormi passi indietro. Il primo continua a regredire nel ruolo di cucciolone indifeso e “puccioso” del gruppo, mentre i secondi soffrono della loro condizione di coppia, debolezza portata alla luce nella seconda metà della scorsa stagione, quando i due si ritrovarono separati l’uno dall’altro. Il loro amore è diventato l’unico motivo di esistere dei due personaggi, ormai inscindibili e quasi del tutto inesistenti al di fuori della loro relazione, diventata addirittura totalizzante.
Dopo essermi liberato di questo peso, posso passare a parlare di quello che invece ha funzionato, e che per fortuna non è poco:
– Il casting e il trattamento riservato ai personaggi secondari è nettamente migliorato. Seth Gilliam (che nella serie interpreta Padre Gabriel e che è andato ad unirsi alla già nutrita colonia di veterani di The Wire), e Tyler James Williams (il Noah della serie) hanno fatto un buon lavoro, anche se non sempre supportato da una scrittura adeguata. Christian Serratos (Rosita), Alanna Masterson (Tara), Michael Cudlitz (Abraham), Lawrence Gilliard jr. (Bob), Chris Coy (Martin) e Andrew J. West (Gareth), sono state delle aggiunte di valore e, nonostante non tutti continueranno a girare in tondo per le strade della Georgia anche nella seconda parte di stagione, il lavoro fatto sui loro personaggi è stato più che apprezzabile. La stessa Beth, interpretata da Emily Kinney, nel breve arco narrativo dell’ospedale, è riuscita a sollevarsi dalla mediocrità che l’aveva avvolta fin dall’inizio ed è riuscita ad affrancarsi dalle grinfie degli shippers che la volevano accoppiata a Daryl.
– I vari archi narrativi non sono più dilatati lungo un esagerato numero di episodi, come accadeva in passato (ancora mi vengono i brividi se penso alla fattoria di Hershel), ma vengono esauriti in tempi accettabili, permettendo alla serie di tenere un ritmo più serrato. Per farci un’idea, pensiamo al fatto che in questi otto episodi sono stati portati a termine due filoni narrativi ben distinti, che in passato molto probabilmente avrebbero occupato almeno una stagione intera. Questa scelta ha anche il pregio di permettere alla serie di liberarsi di personaggi poco interessanti in tempi relativamente rapidi, come ad esempio Dawn, la poliziotta a capo dell’ospedale, interpretata da Christine Woods. che non mi ha impressionato per nulla nei panni del villain.
– I primi tre episodi di questa stagione costituiscono la striscia più lunga di ottimi episodi consecutivi dai tempi del finale della seconda stagione, che decollò a partire dal decimo episodio e si concluse con l’abbandono della fattoria e la scoperta dell’esistenza della prigione. No Sanctuary, la season première, e Four Walls and a Roof sono episodi particolarmente efficaci, caratterizzati da una sceneggiatura snella, povera di grandi discorsi, ma ricchissima di azione e di scelte etico-morali importanti. La fuga da Terminus e la brutale uccisione di Gareth e compagni sono entrate di prepotenza nella mia top 5 dei momenti più emozionanti di tutta la serie. Ma anche la scena in cui troviamo Bob che urla “I’m tainted meat“(sono carne avariata!) rivolto agli aguzzini di Terminus, mettendo su una risata allucinata degna del Jack Torrance di Jack Nicholson, si può decisamente annoverare tra i momenti da ricordare.
– Rick Grimes. Il protagonista della serie, interpretato da Andrew Lincoln, è stato soggetto allo stesso saliscendi narrativo che ha caratterizzato gli altri personaggi. Ma dal momento in cui, al termine della seconda stagione, l’ex sceriffo ha pronunciato la famosa frase: “This is not a democracy anymore” (questa non è più una democrazia), la sua parabola ha preso una piega ascendente. Non sono mancati alcuni passaggi a vuoto, come la parentesi da contadino felice, ma col passare del tempo Rick si è affermato come la vera forza trainante della serie, che nelle prime due stagioni secondo me era tenuta in piedi principalmente da Daryl. Alla luce di questi primi otto episodi, più con le azioni che attraverso la parola, Rick è tornato ad essere il leader del gruppo, un leader libero dai demoni e dalle restrizioni della morale convenzionale, consapevole di ciò che deve essere fatto per andare avanti e proteggere le persone care. Rick ha guidato la rinnovata vena brutale della serie, che come sempre offre il meglio di sè proprio quando ci mostra in azione la legge della giungla, sbranare o essere sbranati, homo homini lupus, principi rappresentati alla perfezione dal filone narrativo dei cannibali di Terminus. Rick ha smesso i panni del dittatore per ritagliarsi un ruolo da leader carismatico, maggiormente disposto a giocare di squadra, ma allo stesso tempo capace di imporsi come protagonista assoluto dell’azione.
– Un discorso simile potrebbe essere fatto per un altro personaggio, Carol, interpretata da Melissa McBride, la quale è passata nel giro di poche stagioni dal rappresentare il paradigma della vittima in balìa degli eventi, della madre in lutto, della damsel in distress, al diventare la chiave di volta nello sviluppo dei diversi filoni narrativi, culminato con la sua trasformazione in Vassili de Il Nemico alle porte, in occasione della fuga da Terminus.
Considerazioni sparse:
– Un consiglio che mi sento di dare a Robert Kirkman e al suo team di scrittori per la seconda parte di stagione, è quello di dare maggiore spazio ai personaggi di Carl e Michonne, interpretati da Chandler Riggs e Danai Gurira. Entrambi i personaggi hanno attraversato un ottimo processo evolutivo durante la quarta stagione: il primo grazie alla crescita a livello anagrafico del personaggio e dell’attore, che ha permesso a Carl di fronteggiare nuove sfide e dilemmi morali, la seconda che invece si è emancipata dal suo ruolo di guerriera solitaria integrandosi molto meglio all’interno del gruppo. In questa prima parte di stagione hanno avuto entrambi uno spazio relativamente ridotto e di scarsa importanza ai fini del progresso generale della storia, e mi interesserebbe vederli maggiormente al centro dell’azione.
– La serie continua con la sua politica di un “nero per un nero” all’interno del seppur variegato cast della serie. Non penso che sia un caso che alla morte di Bob abbia corrisposto l’apparizione di Noah. In diverse scene post-credits abbiamo visto il redivivo Morgan, (che Lennie James stia per unirsi al cast come regular?) quindi mi verrebbe da domandarmi, il tempo di Tyrese sta volgendo al termine?
– Dio benedica internet. Anche nei momenti creativamente peggiori della serie, l’ironia dei fan non è mai venuta a mancare, e al termine di ogni episodio ci si può fare facilmente un paio di genuine risate sulle scene più sciocche e divertenti della serie. Ecco la reazione di alcuni fan alla clamorosa gaffe della AMC, che al termine dell’episodio di domenica ha spoilerato la morte di Beth a migliaia di fan che ancora non avevano avuto modo di vedere l’episodio.
In attesa del ritorno ad Atlanta e dintorni, fateci sapere che ne pensate nella sezione commenti!
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