HBO

Back to the Past: Six Feet Under

Rieccoci con un nuovo Back to the Past. Solo per voi, con questo piccolo appuntamento, rivivremo le serie più belle della televisione, quelle terminate ma mai dimenticate. Parleremo della trama iniziale, senza andare troppo oltre con gli spoiler, per permettere a chi non ha mai seguito la serie di poterla riprendere e di godersela a pieno; parleremo inoltre del successo che hanno avuto e di come i fan hanno visto e giudicato le serie che prenderemo in esame.

Ovviamente siete tutti invitati a consigliarci le vostre serie preferite e noi le riproporremo per voi!

La vita fa male più che la morte

Six Feet UnderSix Feet Under è una serie televisiva creata da Alan Ball, andata in onda dal 2001 al 2005 sull’emittente televisiva via cavo HBO. È composta da 5 stagioni per un totale di 63 episodi. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui 3 Golden Globe e un Emmy.

 LA TRAMA

Six Feet Under è un capolavoro di cesellatura e dettagliata descrizione micro-familiare e macro-sociale. Non potevo iniziare in un modo diverso, perdonatemi. Di che si tratta? È una saga familiare, né più né meno (hai detto poco). Si parla di una famiglia e del suo sprofondare graduale nello sfacelo relazionale ed emotivo, e dei più o meno riusciti tentativi di tutti i componenti di restare, o tornare, a galla e rimettere insieme i cocci della vita familiare e poi di quella personale, o viceversa. Six Feet Under è un po’ i Buddenbrook in veste televisiva, mi si passi il paragone, sperando di non offendere i puristi della letteratura classica, di cui faccio parte anch’io… e perciò fidatevi. Gli spunti di riflessione che possono sorgere da questa serie televisiva sono infiniti. La famiglia Fisher “vive di morte”, ha cioè un’impresa di pompe funebri che si occupa di imbalsamare i cadaveri, o male che vada di cremarli, per poi organizzare la cerimonia funebre e la sepoltura. Ci sono una madre simil-borghese e tre figli, ognuno dei quali il più distante possibile dai goffi tentativi della madre di donare una parvenza perbenista e tradizionale alla famiglia. Poi sì, c’è un padre (Richard Jenkins), alquanto “fantasmagorico” e che, a dispetto della sua assenza dai tanti momenti della vita familiare, troverà modi alternativi di porre rimedio e affermare la propria presenza agli occhi dei figli.

The Fishers

I PROTAGONISTI

La famiglia è la protagonista assoluta intorno a cui gravitano diversi personaggi che verranno attratti dal carisma noir dei Fisher, sfociando in risultati spesso tragici, spesso comici, spesso entrambe le cose.

Il tono della serie è profondamente drammatico, ma connaturato da una costante narrativa grottesca e surreale, il vero marchio di fabbrica dell’intera serie. Si passa dagli spot kitsch sulle pompe funebri, ai sogni surreali di Nate (Peter Krause), imbevuti di infantili rivendicazioni padre-figlio e immaturità congenita; dalle ribellioni tardive e goffe di Ruth (Frances Conroy), la madre, alle funeree elucubrazioni mentali di David (Michael C. Hall), che sguazzano in un eterno e insolubile complesso di inferiorità verso il padre. E poi c’è Claire (Lauren Ambrose… divina!), la ciliegina sulla torta, la figlia della tarda età di coppia, la sorella minore cresciuta sola e disorientata, con dei fratelli ormai troppo grandi, Nate fuggito il prima possibile dalla casa paterna e David alla perenne rincorsa, sulle poco comode orme del padre, di un insoddisfacente obiettivo di autorealizzazione. Tre figli “corrotti” e una madre che tenta di imparare e attingere dalla loro corruzione, per recuperare la scintilla della vita.

Solo la vita vera è migliore

Il tema fondante è la vita che trae senso e giustificazione proprio dall’esistenza e dall’attesa della morte, suo alter ego primario. Uno dei fili conduttori della narrazione è l’opposizione al concetto di morte, il suo rifiuto ostinato, simboleggiato per eccellenza dalla pratica dell’imbalsamazione che tenta di ingannare il fenomeno degenerativo della morte stessa, il suo aspetto corrosivo e sporco. Troveremo costantemente una dialettica tra l’atteggiamento chirurgico e sterile di alcuni personaggi, e quello confusionario e caotico di altri, per poi dover rivedere e ribaltare il tutto, quando i ruoli si invertiranno. Perché la vita è così, non netta e schematica suddivisione ed etichettatura, ma caos cosmico e magmatico, incoerenza e mescolanza. Ma Six Feet Under ha un altro filo conduttore parallelo, quello della familiarizzazione ed educazione alla morte come, appunto, parte della vita stessa. Ad aiutarci sarà il prologo di ogni episodio che inscenerà la morte di un personaggio estraneo alla trama e che sarà il “cliente” su cui di volta in volta l’impresa Fisher & Sons dovrà cimentarsi. Per poi arrivare alle piccoli e grandi “morti”, più o meno figurative, che coinvolgeranno i protagonisti a cui ci siamo affezionati, colpendoci quindi più da vicino.

No way backI protagonisti secondari, ma affatto irrilevanti, sono Brenda (Rachel Griffiths), con tutto il fardello della sua famiglia psicotica, una certa Lisa (Lili Taylor) di cui non vi dico nulla, se non che è una vera perla di saggezza, Rico (Freddy Rodriguez), il fedele, ma non troppo, aiutante dell’impresa Fisher, Keith (Mathew St. Patrick) con una figura paterna a dir poco inibente, Billy (Jeremy Sisto), il fratello pazzo di Brenda, e infine George (James Cromwell), l’ultima, vana e beffarda speranza… Sembra il gioco delle matrioske, perché anche loro apportano alla saga dei Fisher la propria esperienza frutto del background familiare, in un gioco a ripetersi che sembra sbatterci in faccia un’unica grande verità: dalla famiglia non si scappa. Semmai ci si convive in un costante e tragico conflitto interiore, che nella migliore delle ipotesi sfocia in un maturo e sopito dialogo costruttivo. Ogni singolo dettaglio intesse con lo spettatore una dialogo fatto di specchi e riflessioni, in cui è impossibile non soffermarsi sulla propria, di saga familiare, sui propri spettri, sui propri morti, sulla propria vita.

Sei arrabbiato con lui, o per il fatto che prima o poi tutti moriremo?

Life hurts more than death_Six Feet UnderLA MORALE

Six Feet Under è una lezione di vita su come imparare a morire, inteso non soltanto come trapassare dalla vita all’aldilà, ma come imparare a sporcarsi, arrendersi, lasciarsi andare, perdersi, rialzarsi, sciogliersi, perdere le staffe, perdere la via, perdere l’obiettivo, tradire e tradirsi, sprovincializzarsi, crescere, emendarsi, e alla fine sì, anche perdere la vita stessa. Una lezione che vale per tutti, genitori e figli.

E, senza spoilerare troppo, credo che sia la serie con il finale più sublime che abbia mai visto. Un finale dove non soltanto ci viene fatto vedere “come va a finire”, ma anche e soprattutto che tutti “andiamo a finire”, ma proprio tutti.

E voi, cosa ne pensate? Avete visto questa magnifica serie? E se no, vi siete incuriositi?  Diteci la vostra! I sottotitoli, ovviamente, sono offerti da ItaSA.

Io vi lascio con l’opening della serie, che è una vera perla…

 

Al prossimo Back to the Past!

Valeria Susini

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Lola23

Lunatica, incasinata, perennemente indecisa, una ne faccio e mille ne penso. Quattro elementi chiave della mia vita: Famiglia, Mare, Etna, Scrittura. Le serie TV sono il Quinto Elemento, una vera e propria dipendenza, meglio farsene una ragione. Le mie preferite? Non chiedetemelo! Vabbè, ve ne dico 3: Six Feet Under, The Wire, Treme... Mad Men! Ah sono 4... Ve l'ho già detto che non so decidere?
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