Big Little Lies è la mini serie TV rivelazione della HBO. Vi confido che il titolo mi suggeriva una tematica da casalinghe annoiate, e invece mi sono ricreduta del tutto già a partire dal primo episodio. E, come vedremo, anche il titolo ha una specifica motivazione.
La mini serie è stata creata da David E. Kelly, già creatore, tra le altre, di Ally Mc Beal e The Practice; il soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di Liane Moriarty edito nel 2014.
Oltre i cliché
La serie è incentrata sulla vita di cinque donne, quattro delle quali molto ricche, e tutte domiciliate a Monterey, uno dei posti più ricchi, più fighetti e costosi del pianeta: la California colonizzata dai ceffi della Silicon Valley, per intenderci. “Case” con vista oceano a centottanta gradi, giardini pensili, dependance, domestiche, babysitter pronte ad alleviare le non meglio identificate fatiche delle donne madri. Detto così ci sarebbe da chiedersi perché anche solo avvicinarsi a una serie simile, che per di più porta questo titolo. Il cliché è quello: la ricchezza sfrenata, il benessere trasudante da ogni poro. Eppure c’è un ma per ogni casa, ogni storia, per ognuna delle donne che compongono questo puzzle. All’inizio della storia c’è un morto, non si sa chi sia, non si come sia morto, se sia stato un omicidio, un incidente, un suicidio; non si sa se il morto sia donna o uomo, adulto o bambino. Non si sa un bel niente. E non interessa a nessuno, fino all’ultimo, sapere chi sia. Quello che interessa a chi vede questa mini serie è capire chi siano queste donne, cercare di barcamenarsi tra l’antipatia e l’empatia per ognuna di loro, Madeline in primis (Reese Witherspoon), casalinga che tutto fa tranne che la casalinga, gettandosi a capofitto nelle attività della comunità tra teatro e scuola della bambina più piccola. Le altre quattro donne sono Renata (Laura Dern), una lavoratrice rampante e con la sindrome di inferiorità a confronto con le donne “solo mamme per scelta”, Celeste (Nicole Kidman), madre di due gemelli, ex avvocato ritiratasi per imposizione del marito, il quale si scopre da subito essere molto violento, Jane (Shailene Woodley), madre single con un bimbo frutto di uno stupro, e Bonnie (Zoë Kravitz) seconda moglie del primo marito di Madeline.
Sin da metà del primo episodio si capisce che il cliché della ricchezza di quell’1% dei privilegiati mondiali è uno specchietto per le allodole: si vuole parlare di altro. Quello che l’autore ha fatto è stato pararci davanti il più classico degli stereotipi e demolirlo del tutto per trovarci dentro il comune denominatore con il resto dell’umanità, e soprattutto con una parte dell’umanità: quella delle donne. Cominciamo a capire che i temi fondanti della serie sono la maternità, il rapporto giovinezza-vecchiaia (tre su quattro sono donne “attempate” rispetto all’età dei figli che vanno tutti alle elementari), il rapporto madre-figlio, le contraddizioni del sesso, l’equilibrio del matrimonio, il tradimento, la violenza domestica, lo stupro. Alla faccia dei cliché! Insomma, Kelly ci dimostra quello che è evidente ma che spesso si tralascia, e cioè che il malessere serpeggia anche tra le classi abbienti, e che quando si tratta dell’universo Donna le problematiche assumono l’aspetto di un’intersezione di trame in cui è difficile trovare il bandolo della matassa. I problemi educativi, sociali, istruttivi, della maternità, del rapporto tra sessi, sono problemi universali, dove il denaro rimane tagliato fuori e finisce per diventare irrilevante. Ne è dimostrazione il personaggio di Jane, che è una donna differente da tutte le altre. Non ha una vista mare, abita in una normale casa in una via di case a schiera, non è ricca, non ha un uomo.
Ma, a ben vedere, è come se anche le altre donne ricche e sposate non avessero un compagno. Questa è la serie che non tralascia gli uomini, ma ne mette in risalto l’assenza, divenendo anch’essa protagonista. L’assenza del padre, per dirla con la teoria di Massimo Recalcati, è anche quella del padre iper presente, che gioca con i figli ma che non è in grado di far entrare in casa la Legge da alternare al Desiderio della madre. Sono padri senza Legge quelli di Big Little Lies: troppo presenti ma inconsistenti, o autoritari ma non autorevoli, o teneri ma anche troppo deboli, suppliti dalle donne a causa della loro incapacità decisionale. Se, dunque, Big Little Lies è una serie incentrata sulla figura della Donna, è anche una serie che ragiona sull’assenza dell’Uomo come punto di equilibrio. Tutti gli uomini di Big Little Lies sono “sbilanciati” e a tali squilibri devono sopperire le donne “ipertrofiche” che devono lavorare, dedicarsi ai figli, essere perfettamente integrate nella comunità, essere atletiche, sportive e in perfetta salute, brillanti, creative e propositive. A queste donne si chiede tutto, perché mentre le carenze dell’uomo sono date per scontate, quelle delle donne non vengono perdonate. L’interrogatorio di tutti gli ospiti della serata dell’incidente vede i testimoni concentrare le loro attenzioni e ricostruzioni esclusivamente sulle cinque protagoniste; gli uomini sono solo un contorno. Non è forse questo uno dei problemi relazionali e sociali di oggi? La donna ipertrofica, o pretesa tale, e l’uomo latitante, mancante o nella virilità, o nella dolcezza, o nella responsabilità decisionale, o nella paternità.
Come mai, ancora oggi, in qualsiasi classe sociale, all’uomo si continua a chiedere poco e niente e alla donna tutto? E come mai oggi si parla sempre più spesso di femminicidio e della necessità di puntare sull’educazione dei maschi? Un elemento della serie che ci porta a riflettere su questo è proprio il profilo del gemello maschio figlio di Celeste che si scopre essere un bullo scaltro e camaleontico, proprio come il padre. E qui non si va sul banale proponendo una superficiale deduzione “tale padre, tale figlio”. Il bullismo del figlio non è una semplice emulazione, bensì è il tentativo di riportare il comportamento anormale del padre entro un range di normalità. Come? Riproponendolo a sua volta. È come se il piccolo inconsciamente dicesse “se faccio come papà, allora lui non è il solo, allora il comportamento è normale, allora papà è buono”. E tutta questa riflessione emerge in modo maestrale e delicato dalla narrazione. Altro elemento di importanza cruciale nella riflessione sulla violenza coniugale è quello del carattere patologico di entrambi i componenti della coppia, non solo dell’uomo. Troppo spesso lo stereotipo del marito violento è accompagnato a quello della donna timorosa e sottomessa sempre pronta ad annusare il nuovo mazzo di rose portatole in pegno dal marito. Nella coppia in questione, però, Celeste ha un atteggiamento doppio, quello di ex professionista forte, di donna e madre completa e felice, e quello di una donna sottomessa e violenta al tempo stesso, che cerca di giustificare e compensare le violenze inaccettabili del marito con risposte altrettanto violente, ma soprattutto con un sesso spinto e aggressivo. In un certo senso è come se Celeste mettesse in pratica lo stesso atteggiamento del figlio bullo: se al termine di un atto violento ripaga il marito con il sesso, fa rientrare l’episodio in un rito, quindi nella normalità, quindi nella riabilitazione della figura del marito stesso.
Se, poi, il rapporto uomo-donna è difficile e travagliato, a questo si aggiunge un perenne conflitto tra le donne stesse che, invece di fare dell’unione la propria forza, della condivisione una mutua comprensione, si alleano in fazioni, in una lotta all’ultima competizione. È inevitabile notare come anche in ciò il creatore della serie abbia messo in evidenza una delle tendenze più diffuse della nostra attualità, ossia quella della lotta intestina del genere femminile. Sempre in competizione sul miglior modo di allattare, di nutrire, di vestire, di educare e di istruire i propri figli, le madri di oggi sembrano non avere pace, mangiate da un senso di rivalsa perenne, un prurito competitivo inappagabile che le porta spesso a scagliarsi con rabbia, invidia e bassezze sulle proprie simili; proprio quelle che condividono la condizione unica dell’essere donna e madre. Perché? Perché, invece di scoprire l’empatia e la somiglianza pur nelle diversità, non si fa altro che stilare tabelle e pagelle in cui scolpire indelebilmente voti e bocciature alle proprie simili? Perché il peggior nemico della donna è diventata la donna stessa?
Non è un caso, infatti, che la conclusione della storia veda queste compagini sfaldarsi a favore dell’emersione di un senso di solidarietà e di profonda empatia, che si rivelano essere l’unica forza delle donne, l’unico perno intorno a cui costruire vere relazioni e veri valori.
Il finale è dei migliori. La suspense finale è sapientemente costruita fino a regalare un doppio svelamento, le difese crollano, nuove forze emergono. E poi la spiaggia, il mare, l’orizzonte, il futuro: i grandi e i piccoli proiettati verso l’avvenire, con alle spalle errori, debolezze e nuove energie. Eccolo spiegato, il titolo. E per questo devo ringraziare un nostro accanito fan, eros1980, che mi ha illuminato su quelle tre parole, big-little-lies, che mi sembravano tanto banali e scontate come titolo di una così bella serie. Ecco, in realtà quel titolo ha un doppio livello. Il primo, immediato, vuole semplicemente denotare il tema che la serie tratta: le grandi e piccole bugie del ceto abbiente la cui vita appare perfetta e invece è, appunto, incrinata da bugie e segreti. Il secondo livello, invece, connota, aggiunge un senso che appare evidente lungo tutta le serie e con la ciliegina del finale: i big sono gli adulti, i little sono i bambini, piccoli ma grandi protagonisti di tutta la narrazione. La serie parla di questo difficilissimo rapporto tra una genitrice e il proprio figlio, tra il passato della madre trasformato in un futuro per il figlio. E tutto ciò è accompagnato da una colonna sonora meravigliosa quasi sempre affidata proprio alla regia dei piccoli che con i propri smartphone pilotano le sorti sonore dei personaggi. Quella spiaggia del finale, dove si ritrovano le madri con i propri piccoli, è la forza ritrovata, è l’approdo sicuro ma anche un nuovo punto di partenza. È tutto quello che le donne cercano e che spesso, distrattamente, si negano l’un l’altra.
E voi, cosa ne pensate? A voi i commenti.
Valeria Susini
Lola23
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