Curiosità

Damages, Bernie Madoff e lo schema Ponzi

Se state seguendo anche voi Damages, potreste esservi imbattuti nel cosiddetto “Schema Ponzi”. Ora, tutto ciò che riguarda la finanza ha un sapore fumoso e lontano, come se riuscissimo a comprenderlo ma non a capirlo (forse perché spesso si tratta di somme che nessuno ha mai visto o vedrà nella sua vita). Ora vi racconterò una storia; è lunga, un po’ noiosa e parecchio tecnica, quindi non voletemene se vi parrà un poco OT.

Charles “Carlo” Ponzi è un emigrato italiano, nato a Roma ma poi residente a Parma, che si trasferisce negli Stati Uniti dopo 4 anni di università e bagordi, quando ormai non ha più soldi per pagare la retta e per mantenersi.
Arriva a New York con 2 dollari e 50, perché si era giocato tutti i suoi risparmi sul ferry-boat. Fa il lavapiatti e dorme sul pavimento del bar, ma poi viene licenziato per dei piccoli furti e perché imbrogliava sul resto (sì, lo so che la Lega non ci crederà mai, ma una volta gli extracomunitari eravamo NOI).
Alla fine finisce a lavorare per tal Zarossi, che aveva una banca per immigrati italiani (un po’ l’equivalente della Western Union). Ma la Zarossi  Bank in realtà versa in gravi condizioni economiche, tanto che il suo fondatore a breve fugge con la cassa in Messico. Ponzi decide di aiutare la famiglia del suo datore di lavoro, ma lo fa staccando degli assegni falsificati: lo beccano e finisce in carcere per ben tre anni.
Una volta fuori, Ponzi mette la testa a posto (si fa per dire): si sposa e si da al commercio, scrivendo persino una piccola guida in merito. Ma il colpo di genio ce l’ha quando scopre i buoni di risposta internazionali, praticamente dei “francobolli internazionali” che venivano emessi nel dopoguerra e servivano per mandare le lettere oltreoceano. Il baco che Ponzi scova è questo: i buoni di risposta internazionali sono dei francobolli universalmente validi che possono essere scambiati con un francobollo della nazione in cui ci si trova. Quindi Ponzi trova un emissario in Italia, e acquista 100 buoni, che paga al prezzo italiano (molto basso, per via della deflazione post-bellica: 10 centesimi). Se li fa spedire negli USA e li scambia con francobolli americani, che invece valgono il doppio (15, 20 centesimi).
Il piano è semplice e assicura ritorni immediati; non era nemmeno illegale (a dire il vero, oggi su Internet si fa qualcosa di lontanamente simile chiamato Forex, che permette di guadagnare sui tassi di cambio delle valute internazionali).

Il problema era che i costi di gestione del singolo scambio di francobolli, e le provvigioni profumatissime date da Ponzi ai suoi emissari, rendevano la singola transazione pochissimo profittevole; se a ciò si aggiunge che la società di Ponzi non disponeva di capitale sociale (essendo lui al verde), rendeva la sua situazione finanziaria estremamente fragile. Non da ultimo, la maggior parte dei suoi clienti erano povera gente, perlopiù immigrati che investivano pochi risparmi e in alcuni casi ipotecavano la casa; la gestione del singolo cliente, se era profittevole quando investiva molto denaro, mandava in rosso l’azienda quando a essere investiti erano pochi dollari, e ciò accadeva nella maggior parte dei casi. Uno studio successivo, infine, dimostrò che, se davvero Ponzi avesse investito tutto il capitale raccolto in buoni internazionali, ne avrebbe dovuto muovere circa 160.000.000, quando invece quelli circolanti negli Stati Uniti erano poco più di 27.000.

Come fa a tenere in piedi la baracca? Semplice: coi primi investitori utilizza effettivamente il metodo dei francobolli, e fornisce loro ottimi ritorni; quando il capitale inizia ad affluire (passa da 2,500 a 30,000 dollari in un mese) utilizza il nuovo denaro raccolto per pagare gli investimenti più vecchi, con tassi di interesse che in alcuni casi toccavano il 400%. Questi investitori, estasiati dai risultati, reinvestono subito gli utili e coinvolgono amici e parenti, facendo affluire nelle casse di Ponzi capitale a un ritmo esponenziale. Questo gli permette di pagare gli investimenti fatti, non tanto coi proventi dei francobolli, che ormai non è più profittevole, ma con lo stesso denaro che sarebbe dovuto essere investito dai nuovi “soci”.

Il sistema cresce rapidamente, coinvolge più di 40,000 persone e arriva a raccogliere quasi 250,000 dollari al giorno; il patrimonio personale di Ponzi conta ormai svariati milioni. Ma tanto successo e tanta ricchezza attirano l’attenzione dei professionisti della finanza e dei giornali, che cominciano a scavare nel suo metodo e ne identificarono le falle, o perlomento instillano il dubbio a chi gli si affidava ciecamente. Molti investitori ritirano i loro investimenti o non rinnovano gli utili (lo stesso Ponzi ha smesso da tempo di farlo), rallentando e poi interrompendo il flusso esponenziale di capitale.
Pur tentando di mantenere rispettabilità e dimostrarsi solvente, alla fine l’intero schema cade e Ponzi finisce in galera, per appena 3 anni. Successive truffe in Florida e Texas lo condurranno di nuovo in gattabuia, e anche gli ultimi dei suoi fedeli sostenitori diventano suoi acerrimi nemici (più di una volta la polizia deve proteggerlo dal linciaggio). Tornato in Italia, tenta di replicare lo schema senza successo, poi si trasferisce in Brasile dove vivacchia finchè un ictus non lo coglie. Senza denaro né prospettive, Ponzi muore in un ospedale per poveri di Rio nel 1954, facendo la fine che in molti gli avevano augurato.

Se vi pare che è tutto troppo novecentesco e little-italiano perché accada di nuovo, forse non conoscete Bernie Madoff, l’uomo a cui è ispirata questa terza stagione di Damages. Barone della finanza newyorkese, a capo di uno dei principali studi di consulenza del mondo e indicato più volte nel passato come esempio di investitore accorto e affidabile, Madoff aveva dalla sua più di 40 anni di esperienza e una reputazione incrollabile fra gli addetti ai lavori, quando nel 2001 ideò e promosse uno schema di investimento in hedge funds, i prodotti finanziari più rischiosi e complessi dell’epoca (prima che arrivassero i derivati, responsabili della crisi di questi mesi). Gli hedge, in virtù della loro rischiosità, assicurano alti tassi di interesse, ma quelli offerti da Madoff erano troppo alti, quasi il doppio dei concorrenti (10%, qualsiasi cosa accada). Tuttavia, molti investitori (non preoccupatevi, in questo caso si parla soprattutto di GROSSI investitori) e anche soggetti istituzionali da tutto il mondo si fidano della sua esperienza affidandogli i propri soldi, confortati dall’esercito di analisti che lavorano nel suo studio; la realtà, che solo Madoff (apparentemente) sa, è che tutti i soldi non vengono affatto investiti negli hedge, ma utilizzati per il classico schema Ponzi: i primissimi investitori pagati di tasca propria, quelli successivi pagati con gli utili reivestiti dei primissimi, e così a seguire mentre tutto il mondo finanziario tesse le lodi della sua intuizione e nuovi pesci abboccano all'amo. Quando l’intero schema vale ormai quasi 50 miliardi di dollari, e la crisi mondiale spinge un gran numero di investitori a ritirare i propri soldi, a Madoff restano solo tre cose da fare: consegnarsi all’FBI, scappare su un’isola abbastanza sperduta e sperare che nessuno lo trovasse, oppure prendersi la buonuscita e lasciare la gatta da pelare al suo successore (Alitalia docet). Ma dal momento che il suo studio era a conduzione familiare e il successore suo figlio, Madoff raduna soci e familiari e spiega candidamente il guaio in cui si è cacciato. Pochi giorni dopo, l’FBI viene a prelevarlo. Ora il signor Madoff, alla candida età di 71 anni, dovrà scontarne 150 per la truffa commessa, anche se pare che il cancro non lo lascerà per molto tempo dietro le sbarre. Sembra che Madoff non nasconda alcun tesoro (lo schema non gliel’avrebbe permesso, visto che il capitale appena raccolto serve a ripagare gli investimenti vecchi) ma bisogna fare ancora molta luce sulla vicenda: forse un giorno spunteranno i soldi dei truffati illustri, come Kevin Bacon e Steven Spielberg.

Ma la vera ironia è che un delinquentello squattrinato come Charles Ponzi aveva messo in piedi uno schema basato sui francobolli, teoricamente davvero profittevole e legale, poi trasformato nel suo celebre schema più per “incompetenza gestionale” che per reale truffa. Mentre uno che di gestione e professionalità ne sapeva a pacchi, ha ceduto al lato oscuro e truffato in modo ridicolo quello stesso mondo e quella stessa gente che per anni gli aveva dato da mangiare.

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