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Le tre leggi di Ryan Murphy

Il New Yorker questa settimana offre un lungo e illuminante ritratto di Ryan Murphy. Scoprite con noi l’uomo che sta cambiando la tv (potrebbe esserci qualche spoiler).


Scrive Emily Nussbaum, critica televisiva autrice del pezzo, che Ryan Murphy è irritante, come il peperoncino. E’ vero: irrita anche chi lo ama. Nonostante sia uno dei più influenti autori e produttori di Hollywood, non ha (ancora) ottenuto i fan e la fama che ci si aspetterebbe da un personaggio del suo calibro. Non è un Whedon, nè un Abrams, fa incazzare i puristi perché produce show per ragazzini, inquinando le serie tv col germe dei reality; però poi produce uno show a metà fra Il silenzio degli innocenti e L’esorcista, con pezzi di X-Files e Arancia meccanica: non proprio il programma davanti al quale metteresti i pargoli.

Quei wallpaper un po’ così, a metà fra espressionismo e trash…

Ecco, per capire il lavoro di Ryan Murphy bisogna seguirlo su tre linee guida. La prima potremmo chiamarla trash, o cattivo gusto. Tante delle cose che fa sono di cattivo gusto, ma in senso buono: perché Murphy cerca la bellezza nel cattivo gusto, e spesso anche la cattiveria nel buon gusto. Se ci pensate questo è il tema su cui si gioca l’intero Nip/Tuck. Da un lato uomini e donne che in cerca della bellezza si sottopongono ad ogni orrore (ve lo ricordate il sondino che raspa sottopelle per aspirare il grasso, mentre in sottofondo suona musica classica?), dall’altro problemi fisici grotteschi, uomini orribili che cercano la normalità. Anche nel ben più antestetizzato Glee Murphy non perde l’occasione nel trasformare l’adolescenza, e praticamente tutto il repertorio musicale rock e pop degli ultimi 30 anni, in una pantomima. Qui lo scopo è intrattenere, non scioccare, e come sempre in mezzo ci si trovano momenti di delicatezza estrema, ma anche scene di violenza e crudeltà, confusi in una specie di parata impazzita di adolescenti e granite colorate.

Questo ci porta al secondo tema di Murphy, l’impegno civile. Parola pesante, per un autore così. Eppure una serie come Glee fa di più per i diritti degli omosessuali e contro il bullismo di una vasta campagna di informazione istituzionale. Il tema sessuale, la promiscuità e la confusione dei sessi è centrale anche in Nip/Tuck, e in forma più perversa anche in American Horror Story, dove utilizza anche attori con disabilità mentali, fra i primi nella tv generalista. Ma è l’omosessualità a uscire prepotente in ogni sua serie, come tema portante (nella nuova commedia The New Normal) o accessorio, come nella bizzarra scena di cura al lesbismo di American Horror Story. Murphy è il leader di un piccolo drappello di autori omosessuali (Alan Ball di Six Feet Under, Kevin Williamson di Dawson’s Creek, Marc Cherry di Desperate Housewives, Silvio Horta di Ugly Betty) di enorme successo, che negli ultimi anni hanno fortemente influenzato il piccolo schermo, e quindi buona parte della cultura americana, in una direzione di maggiore tolleranza e integrazione. I risultati, alle ultime elezioni, si sono visti.

L’ultimo tema è la trasformazione. Murphy è uno sperimentatore, e forse la gente è irritata per quello, perché gioca coi suoi giocattoli: le serie. Prende uno show concettualmente elevato come Nip/Tuck, roba da HBO d’annata, e lo trasforma in una specie di telenovela splatter e sessuomane dove sesso, sangue e ricchezza si alternano nel nauseare il buon gusto dello spettatore. Quando uno pensa di aver capito (“ok, l’edonismo è male”) tira fuori una serie che esalta il glam e l’ego, porta i reality e Broadway sul piccolo schermo, creando icone gay nella stessa emittente che trasmette telegiornali ultraconservatori. E dopo 3 stagioni, nauseato dal buonismo, crea una specie di antologia dell’horror capace di rinascere dalle proprie ceneri, stesso cast, storia diversa, rispolverando il talento prepotente di Jessica Lange in una seconda stagione che mette insieme alieni, suore assassine, esorcismi, e Anna Frank. The New Normal è l’ultima sfida, quella di accostare omosessualità e famiglia, non renderlo più un fatto di autoconsapevolezza e coraggio, come in Glee, ma qualcosa di comune e familiare… il vicino di casa.

Murphy la tv l’ha già cambiata, e un po’ anche il mondo. Vedremo se gli riuscirà di sfondare anche nel cinema, dove è impegnato con The Normal Heart, il racconto dell’esplosione del virus HIV all’inizio degli ’80, soprattutto nella comunità gay americana. Tratto dall’omonima produzione Broadway, includerà numerosi attori del piccolo schermo, da Jim Parsons a Matt Bomer, e altri del grande, come Julia Roberts e Mark Ruffalo. I presupposti ci sono tutti per lasciare un segno anche alla notte degli Oscar.

Fonte: New Yorker

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