Recensione del series finale di Justified, non continuate a leggere se non l’avete ancora visto, perché seguono spoiler.
When I was your age they would say we can become cops, or criminals. Today, what I’m saying to you is this: when you’re facing a loaded gun, what’s the difference?
You run into an asshole in the morning, you ran into an asshole; you run into assholes all day, you’re the asshole.
Volevo iniziare questa recensione del series finale di Justified con due citazioni. La prima è recitata da Jack Nicholson nella parte del malavitoso irlandese Frank Costello nell’introduzione di The Departed, il film che ha fatto finalmente aprire gli occhi all’Academy sul talento di Martin Scorsese. La seconda è una delle one-liner più celebri di tutta la serie, pronunciata da Raylan Givens nel primo episodio della quarta stagione, e rivolta a uno dei tanti gangster da quattro soldi che hanno abitato l’universo del marshal diviso tra il Kentucky e la Florida e che paiono usciti direttamente dalle pagine di un romanzo di Elmore Leonard, creatore del personaggio di Raylan. Ho scelto di esordire con queste due citazioni perché a loro modo riassumono in tono stringato ma efficace l’intera filosofia dietro al personaggio di Raylan Givens, e di conseguenza all’intero show.
Per essere uno show che ha esordito nell’epoca d’oro dell’anti-eroe, (leggi Toni Soprano o Walter White) la struttura narrativa della serie è abbastanza semplice, come del resto prevedono le regole predicate dal padre putativo della serie sviluppata da Graham Yost, Elmore Leonard. Raylan Givens, interpretato da un magnetico Timothy Olyphant è un personaggio complesso, ricco di difetti di personalità, ma che fondamentalmente si comporta come un eroe. Raylan, nonostante viva la sua vita secondo le proprie regole, e cerchi di manipolare l’ambiente che lo circonda, non finisce quasi mai superare il limite determinato dalle regole imposte dal governo federale o dalla società civile. Allo stesso modo, la sua nemesi, lo yin del suo yang, Boyd Crowder, interpretato dall’altrettanto magnetico Walton Goggins, è un classico fuorilegge, un vero outlaw; ma pur amando la sua eloquenza e il suo carisma, il suo ruolo nella serie non è mai stato in discussione. Nei confronti di Raylan ha sempre agito da villain. Nella serialità odierna è sempre più raro trovare esempi di narrazione così lineare che più che affidarsi a stantii plot-devices si concentra sulle interazioni tra personaggi e sulla brillantezza del dialogo. Per questo motivo la serie, fin dal pilot, decide di prendersi un pò di tempo per introdurre i propri personaggi e le tematiche a loro legate e solo in seguito portare avanti storyline di più ampio respiro.
Così fin dalla primissima scena vediamo Raylan Givens e il suo Stetson sotto il sole della Florida a fronteggiare il criminale Tommy Bucks sulla terrazza di un affollato ristorante. In questo esempio tipico di esordio in medias-res, Raylan viene subito posto di fronte a un tipo di scelta che in seguito sarebbe diventata uno dei temi portanti di tutta la serie e che si ricollega alle citazioni poste all’inizio dell’articolo. Uccidere o essere uccisi. “Quando ti trovi davanti ad una pistola carica, qual è la differenza?”. Raylan è ossessionato dal passato, dalla figura di un padre criminale, da quella “road not taken”, la strada mai intrapresa di cui parla Robert Frost, che rappresenta un passato che non è mai esistito e che è costituita da Boyd, ciò che Raylan probabilmente sarebbe diventato se solo non fosse scappato da Harlan e fosse rimasto nel Kentucky. Tommy Bucks prima, e Boyd poi hanno messo Raylan di fronte a questa realtà. Quando ti trovi dalla parte giusta della canna del revolver, la differenza tra buono e cattivo tende a sfumarsi. E tale linea tende proprio a scomparire nel caso di Raylan, ossessionato dal cancellare i demoni del passato della propria famiglia nell’unico modo che riesce a concepire: con la sua pistola. Raylan spinge i propri avversari a tirare fuori la loro arma da fuoco per avere la giustificazione legale per ucciderli. Questa pulsione è evidente nel confronto con Tommy Bucks nel pilot e in tanti altri standoff affrontati nel corso dei 78 episodi della serie, che costituiscono una colonna portante del genere western. Ma, in maniera più significativa, è evidente nei tre principali confronti con Boyd: quello che avviene al termine del pilot, quello che avviene sulle colline del Kentucky in Collateral e quello che si tiene nella prima metà di questo series finale, Promise. Il momento in cui forse l’anima di Raylan è sembrata definitivamente passare dall’altra parte della barricata è stato proprio nel penultimo episodio della serie, quando l’ossessione di Raylan per Boyd lo ha quasi portato a sacrificare la vita di uno dei suoi rari amici, il buon Constable Bob, interpretato da un impareggiabile Patton Oswalt, vera macchina da guest star, una più memorabile dell’altra. In questo momento Raylan sembra incarnare alla perfezione il celebre detto da lui pronunciato e citato all’inizio dell’articolo. Finalmente Raylan è diventato lo stronzo che, a furia di incontrare i suoi simili, non si rende conto di essere diventato lui stesso uno di loro.
E qui si inserisce l’altra tematica portante di questo series finale, che ci mostra come Raylan non sia veramente cambiato, non sia migliorato, ma sia semplicemente rimasto fedele ai propri principi. Si tratta dell’ultima scena, il confronto che tutti ci aspettavamo, con la differenza che a separare i nostri due protagonisti non si trovano canne, cane e grilletto di due pistole, ma il vetro blindato del parlatoio di un carcere federale. Non ci sono armi da fuoco ma il magnetismo è ugualmente fuori scala, incalcolabile. Raylan è andato a portare a Boyd la notizia (chiaramente falsa) della morte di Ava, con la speranza di liberare per sempre la donna dal giogo della paura e portare un po’ di pace nell’animo del fuorilegge. In un bellissimo scambio dove l’acredine viene rapidamente sostituita dal ricordo nostalgico e dall’affetto, capiamo cosa è realmente accaduto nella mente di Raylan, prima del confronto a casa di Ava nel pilot, in seguito sulle colline di Harlan in Collateral e, infine, nel fienile dei Bennett in Promise. Quella pulsione a premere il grilletto che era stata fatale a Tommy Bucks come agli innumerevoli altri idioti che hanno incrociato il loro cammino con quello del nostro marshal, è stata combattuta da un legame antico, quasi ancestrale e incomprensibile per chi non lo conosce profondamente. Poche parole, due sorrisi, un vetro a separare i due personaggi e che sembra non esistere più. “We dug coal together – That’s right”. Non c’è bisogno di altro, di nessuna spiegazione. Il legame tra due uomini che hanno passato tanto tempo nell’inferno delle miniere di carbone è capace di sovrascrivere istinti con i quali un uomo ha vissuto per la maggior parte della propria vita e che ne hanno governato le azioni per decenni.
Quel You’ll never leave Harlan alive, la canzone del musicista originario del Kentucky Darrell Scott, che negli anni è quasi diventata mantra e simbolo dell’intera serie, sembra essere stata smentita dal fatto che tutti i personaggi principali sono effettivamente sopravvissuti. Ma io non penso che sia andata così. Il finale, nella mia personale interpretazione, dimostra l’esatto contrario. Puoi finire in un carcere federale, nell’ufficio dei Marshal a Miami o in un ranch della California, ma questo non cambia quello che sei. Boyd non può che tornare a fare il predicatore da dietro le sbarre di una cella, Raylan non poteva vivere per sempre felice e contento con la sua Winona (Natalie Zea) e Ava (Joelle Carter) non poteva vivere una vita di sonni tranquilli. Non si può lasciare Harlan da vivi, perché è Harlan a non lasciarti mai.
Pensieri sparsi
Come del resto è accaduto nel finale della serie, rimane ben poco spazio per il resto di un cast che avrebbe meritato ben altro riconoscimento. Gli addii di Raylan ad Art (Nick Searcy), Tim (Jacob Pitts) e Rachel (Eva Tazel) sono brevi ma significativi e per noi romantici sono degli apprezzatissimi richiami al primo episodio della serie.
Wynn Duffy a fare surf nelle isole Fiji è la cosa più bella che potessero concepire. Finale perfetto per uno dei personaggi più amati. Non solo ci ha regalato tante risate, ma anche alcune tra le emozioni più forti di tutta la serie nella scena della morte di Mikey. Un vero sopravvissuto. Che almeno non avrà più bisogno della cabina abbronzante. L’unico vero dispiacere è stato non averlo realmente visto nell’episodio finale, anche se l’interrogatorio di Vasquez nel penultimo episodio e il suo “I have sensitive gums” vale l’intera permanenza nella serie di Jere Burns.
È stato bello rivedere anche Ellen May, uno dei pochi personaggi a lasciare veramente Harlan. Per quanto mi sarebbe piaciuto rivedere Dewey Crowe, la serie non ha proprio spazio per il soprannaturale quindi è stato un bene che non se ne sia fatto nulla.
Solo io vorrei vedere uno spin-off con protagonisti Tim, Rachel e la vittima predestinata Nelson? Lo scambio avvenuto off-screen durante l’addio di Raylan mi ha regalato l’ultima sonora risata della serie.
L’approccio conciso e stringato alla narrazione predicato da Elmore Leonard ha portato la serie a concentrarsi meno sulla stesura dei fatti narrati e più sui dialoghi e l’interazione tra i personaggi. Le scelte di casting hanno favorito questo tipo di scelta e la serie si è dimostrata essere il prodotto di una grande sintonia tra cast e team di autori. La battuta di Boyd, che nel finale dice: “Raylan Givens, I know you have never believed a word that has come out of my mouth, though I have harbored the secret hope that you have nevertheless enjoyed hearing them” (Raylan Givens, so che non hai mai creduto a una sola parola uscita dalla mia bocca, sebbene io abbia sempre nutrito la segreta speranza che, nonostante ciò, ti abbia fatto piacere sentirle); in realtà è da attribuire allo stesso compianto Elmore Leonard, che durante una seduta di lettura delle sceneggiature con il resto del writing team, è rimasto colpito dalla qualità dello script. Non credo possa esistere un’eredità migliore per questo show. E l’epigrafe finale sta lì, a dimostrare che l’amore è stato reciproco, dal primo all’ultimo minuto.
Chiudo con un sondaggio. Sono alla ricerca della miglior battuta di tutta la serie. Scelta proibitiva, ma nonostante tutto ho deciso di provarci e sono arrivato a ridurre la competizione a queste tre:
You run into an asshole in the morning, you ran into an asshole; you run into assholes all day, you’re the asshole (Raylan in Hole in the wall 4×01)
The next one’s coming faster (Raylan in Watching the detectives 3×08)
Your teeth glow in the dark (Raylan in Collateral 6×12)
Menzione speciale per:
That mystery bag thing’s giving me a little bit of a marshal stiffy (Art in Where’s Waldo 4×02)
Avrei voluto metterne qualcuna di Tim ma sarebbe impossibile senza aggiungere la faccia impenetrabile e la voce bassa e piatta di Jacob Pitts, perfetto nel pronunciare le sue battute con un misto di cinismo, sarcasmo e atteggiamento blasè, una perfetta deadpan delivery come dicono gli americani, che avevamo già imparato ad ammirare in The Pacific e che in Justified è stata perfezionata e portata a un livello superiore.
Fateci sapere la vostra preferita e cosa pensate di questo finale nei commenti!
talpa10
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