La serie cult di Netflix, “Orange Is the New Black”, è ormai sbarcata anche in Italia sul canale Infinity di Mediaset.
Come gli amanti della serie sapranno, questa è liberamente ispirata al best-seller autobiografico “Orange Is the New Black: My Year in a Women’s Prison” dell’americana Piper Eressea Kerman.
Nel 2004 la Kerman trascorse 13 mesi in prigione per traffico di droga e riciclaggio di denaro. Successivamente decise di condividere quell’esperienza, che le aveva cambiato la vita, attraverso un libro che è stato pubblicato nel 2010. Dato il successo, nel 2013 il canale streaming Netflix ha deciso di produrne una versione televisiva.
Sono però presenti delle differenze tra il libro e la serie TV: il rapporto tra la protagonista e la sua ex fidanzata/complice (Alex nella serie) sia fuori sia dentro il carcere è stato, in realtà, molto meno romantico ed emotivo; molti personaggi e relazioni all’interno del carcere sono stati inventati dagli autori per rendere più avvincente il racconto; il legame tra Piper e il suo fidanzato (Larry in TV) non è stato così turbolento durante il suo periodo di reclusione e nel 2006 i due si sono sposati.
L’intento della scrittrice era di far conoscere, al più gran numero di persone possibili, la vita in una prigione femminile: abusi, burocrazia asfissiante, divisioni etniche… Inevitabilmente sono anche presenti evidenti critiche al sistema penalistico e carcerario americano.
È stata la stessa autrice a volere che la sua storia fosse raccontata anche in TV. Un libro può avere successo e vendere migliaia di copie, ma si rivolgerà sempre a una fascia ristretta di popolazione; la visibilità che può dare una serie televisiva è invece di proporzioni globali e questo è importante quando si vuol far conoscere una realtà dimenticata.
Sicuramente, con “Orange Is the New Black”, sia Piper Kerman che Netflix hanno fatto centro.