Downton Abbey

Downton Abbey – patemi di inizio ‘900

Ho appena terminato la mia scorpacciata di Downton Abbey, all’interno del mio “piano recuperi” di serie consigliatemi. Downton Abbey cast completoLa premessa è questa: io sono quella che distingue le serie “serie” da quelle “per piacevole passatempo”. Altra premessa: uscivo da un periodo emotivamente molto provato, avevo appena terminato The Wire e stavo ancora elaborando il lutto. Iniziare qualcosa di veramente impegnato, o cominciare immediatamente l’altro capolavoro di David Simon, Treme, mi sembrava un tradimento. Come se non bastasse, entravo nel periodo più folle della mia vita, la preparazione intensa e off limits di un orale per un concorso pubblico. Ergo, urgeva qualcosa che a notte fonda potesse sollazzarmi senza portarmi ad interrogarmi sui grandi quesiti della sporca esistenza umana. Ed eccolo: Downton Abbey. Una sorta di mix tra Desperate Housewives e Brothers and Sisters, ambientato nell’Inghilterra di inizio ‘900, in una “dimora” alquanto sui generis.

Ora, non so se nella mia mente si sia innescato il classico meccanismo psicologico per cui si debba a tutti i costi giustificare razionalmente ciò che semplicemente ci piace, ma io l’ho trovato carino e ben fatto. Ed ecco perché voglio condividere con voi le mie impressioni. Partiamo dal motivare il perché ho collocato questa serie tra quelle “per piacevole passatempo”. Beh, ecco, semplicemente per rigore di cronaca, perché anche se ogni serie è a sé stante, è inevitabile metterla anche a confronto con altri prodotti narrativi, e per forza di cose messa a confronto con, che so, Mad Men o Breaking Bad, dobbiamo ammettere che non ne eguaglia i livelli narrativi, stilistici, fotografici, di regia, recitativi e “morali”, no? Nonostante ciò, è una serie che si colloca manifestamente all’interno di un canone, ne soddisfa appieno i requisiti e riesce a coinvolgere, dopo averci familiarizzato al suo lessico.

Marye MatthewDownton Abbey è certamente un drama che attinge sapientemente al repertorio del feuilleton, mescolando i classici elementi melodrammatici dell’amore impossibile, lo scandalo, la tragedia, la saga familiare e l’eterno scontro tra il bene ed il male. E nel far ciò non ha timore di seguire gli stereotipi, perché pur facendolo dichiaratamente ne esce perfettamente integro e fedele a se stesso e al genere a cui attinge.

All’interno di questo preciso canone si scopre con sorpresa questo gioiellino di scrittura che, volenti o nolenti, ci accalappia durante la visione spingendoci sempre a chiederci “e ora”? La serie è stata ideata e prevalentemente scritta dall’attore e scrittore Julian Fellowes e narra le vicende di una famiglia nobiliare, capeggiata dal tanto conservatore quanto bonario e moderatamente evoluto Conte di Grantham, Lord Robert Crawley, sposato all’americana e meno conservatrice Lady Cora Crewley. La prima apparenza è che la serie voglia narrare usi e costumi di una classe nobiliare alle soglie della modernità. Ma già dalla fine del primo episodio ci viene rivelata la vera natura della serie, e cioè l’anticonvenzionalità di base dell’intera famiglia, (mal)celata da un velo di conformismo e aderenza alle vetuste maniere, che man mano che si procede nella narrazione, e negli anni, appaiono sempre più anacronistiche  e dissonanti con l’andazzo dei tempi. Tempi che, forse mai come prima e come in futuro, furono tanto intrisi di cambiamenti repentini e profondi, soprattutto da dopo la Prima Guerra Mondiale in poi. Eh sì, perché noi al giorno d’oggi potremo anche avere modelli di computer e smartphone che si succedono a ritmo incessante promettendo di farci anche il caffè (e prima o poi di certo accadrà), ma quello che accadeva agli inizi del ‘900 era un cambiamento così intenso e radicale da aver reso possibile poi quello che a noi oggi sembra totalmente scontato: l’elettricità, il telefono, il grammofono, le automobili, il voto femminile, ma soprattutto lo scardinamento delle rigide separazioni tra le classi sociali.Downton_Abbey_Grammophon

Sin da subito assistiamo agli scandali, tanto frequenti quanto mantenuti segreti, che sconvolgevano le migliori dinastie nobiliari: sesso prematrimoniale, dissapori coniugali, matrimoni senza amore e quant’altro. Ma pian piano si fa largo all’interno della narrazione un unico filone, poi declinato in diverse tracce narrative: l’impossibilità di rimanere aggrappati a false rappresentazioni della realtà e ad usanze e visioni della vita, legate ad un tempo inclemente e intransigente, che scorre alla velocità della luce, lasciando indietro chiunque non riesca ad adattarsi. È la gara tra nobiltà e borghesia, che corre parallelamente a quella tra sfegatato nazionalismo britannico e un’incipiente globalizzazione, resa possibile proprio da quei moderni mezzi di comunicazione, che oltre alla comunicazione, appunto, hanno reso possibile un reale confronto tra culture e classi differenti. Vedremo nobili “donzelle” legarsi a semplici chauffeur, altolocate zitelle innamorarsi di uomini sposati, servitori difesi e “protetti” dal nobile padrone di casa, pronto a esporsi in prima persona piuttosto che lasciare il domestico in pasto ai lupi. E così via.

Old Lay GranthamMa c’è una figura superba, tra tutte le altre, ad incarnare perfettamente la gara tra antichità e modernità, Old Lady Grantham, Violet Crawley, interpretata magistralmente da Maggie Smith. Sulle prime si presenta come la classica suocera “avvelenata”, sempre pronta a tramare inganni e misfatti a difesa della propria famiglia, madre padrona del figlio (il Conte di Grantham) completamente in balia di lei. E invece non è così! Lei, proprio lei, la più vetusta rappresentante della dinastia Crawley, è quella che trae d’impaccio spesso e volentieri i componenti della famiglia, in particolare le tre nipoti, Mary, Edith e Sybil, sfoderando il più sfacciato anticonformismo, nel momento più insospettabile. Il tutto alternato a degli sprofondi nel più buio conservatorismo, così da spiazzare totalmente tanto i personaggi della serie quanto gli spettatori. Violet incarna perfettamente il topos della donna impassibile e che non si scompone mai, l’eleganza incorruttibile e algida, dietro a cui si cela un cuore di nonna, di madre ma soprattutto di donna ben conscia di tutte le paturnie femminili. Volendo fare un paragone, potrebbe benissimo essere una Bree Van De Camp di inizio ‘900: una veterana della vita algida e impassibile, ma risoluta e “svezzata”. Non spereresti mai in un suo intervento riparatore, quando invece eccola lì sopraggiungere con una frecciata spiazzante e “fuori luogo”, come quando riprende Lord Grantham come fosse ancora un bambino, minacciandolo di mandarlo a letto senza cena. E questa, forse, è la chiave vincente di Downton Abbey, ossia il dramma alternato a momenti comici e ironici, che fanno di questa serie un appuntamento irresistibile e divertente, sebbene contraddistinto da una drammaticità di fondo che fa della tragedia il suo modus operandi.

Mia cara, la vita intera è una serie di problemi, che dobbiamo affrontare e risolvere. Prima uno, poi un altro e un altro ancora, e così fino a quando alla fine moriremo. – Contessa Violet

Downton AbbeyMa Downton Abbey narra anche un’altra metà della storia: quella della servitù. Ed è questa un’altra peculiarità decisiva della serie. Le vicissitudini della servitù scorrono in parallelo a quelle della famiglia e finiscono sempre con l’intrecciarvisi. Ecco perché alla fine la famiglia Crawley si distingue come sui generis, perché i domestici diventano parte integrante della famiglia e vengono presi in considerazione, con i dovuti limiti dell’epoca, molto più di quanto ci aspetti dalle rigide separazioni classiste. Ci affezioneremo inevitabilmente a Mr. Carson, molto più conservatore dello stesso Lord Grantham, sebbene bonario e paterno; ci faremo avvincere dalla tormentata storia di Mr. Bates e resteremo affascinati dai semplici e quotidiani funzionamenti della grande cucina di una dimora nobiliare. Il segreto di questa narrazione, a mio parere, è proprio la miscellanea di intrecci narrativi e particolari di una vita quotidiana, tanto ai piani nobili quanto a quelli degli inservienti, a noi ormai sconosciuta.

Downton KitchenÈ inevitabile, dunque, che la nostra attenzione verrà catturata dallo sconcerto con cui l’elettricità viene accolta nella dimora (“Non potrei mai avere l’elettricità in casa. Non potrei chiudere occhio!” – Contessa Violet), o dallo scompiglio che crea la comparsa del telefono (“È uno strumento di comunicazione o di tortura?” – Contessa Violet), o ancora dal sospetto con cui viene accolto uno sbattitore elettrico, visto dalla cuoca Mrs Patmore come uno strumento che alle lunghe avrebbe dimostrato la sostituibilità dell’essere umano… (non a torto, diremmo, con il senno del poi).

Ciò che coinvolge all’interno del percorso narrativo è l’equilibrio tra la classe abbiente e quella popolare e il notare come, spesso, nelle impacciate vicende dei nobili rientri il salvifico intervento dei domestici.

Mary, Sybil, EdithAltro elemento fondamentale, come si è accennato sopra, è l’arrivo della Prima Guerra Mondiale, che come tutte le guerre opera un “reset” di un insieme sostanzioso di pregiudizi, differenze, visioni e rapporti sociali. Sarà difficile, da dopo la guerra in poi, tenere a freno le pretese di partecipazione sociale delle donne, persino di quelle nobili, relegate da sempre a comparse in feste sfarzose e limitate alla scelta di abiti e accessori, come sentenzia Lady Mary. E soprattutto si intravede all’orizzonte la fine della classe nobiliare, ereditiera e spendacciona, minacciata da un’intraprendente borghesia che vede nel lavoro l’unica via possibile per sopravvivere ed emendarsi. Adattarsi o perire, dunque. Al contempo, ciò che rende orgogliosa una dinastia nobiliare è il dar lavoro al più ingente numero possibile di domestici, o almeno è questa la filosofia di Downton, che pertanto dovrà essere soppesata con le sempre più pressanti pretese ammodernatrici. Investire e lavorare, sì, ma mantenere comunque tutti i domestici, ormai parte della famiglia.

Insomma, di certo non si guarda Downton Abbey con delle pretese cronachistiche o storicistiche, ma certamente lo sfondo storico rende ancora più avvincente questa produzione iper premiata, soprattutto grazie alla superba Maggie Smith, senza dimenticare le impeccabili prestazioni di tutto il cast, con particolare riguardo all’eccellente Michelle Dockery (Lady Mary) e a Elizabeth McGovern (Cora Crewley).

Perciò, bando alle ciance, per chi non l’abbia ancora vista l’invito è senza dubbio a vederla. E per chi l’ha vista, cosa ne pensate? E intanto aspettiamo intrepidamente la quinta stagione che andrà in onda il prossimo autunno!

Non essere disfattista, fa così classe media. – Contessa Violet

 

Valeria Susini

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Lola23

Lunatica, incasinata, perennemente indecisa, una ne faccio e mille ne penso. Quattro elementi chiave della mia vita: Famiglia, Mare, Etna, Scrittura. Le serie TV sono il Quinto Elemento, una vera e propria dipendenza, meglio farsene una ragione. Le mie preferite? Non chiedetemelo! Vabbè, ve ne dico 3: Six Feet Under, The Wire, Treme... Mad Men! Ah sono 4... Ve l'ho già detto che non so decidere?
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