L’identità è il tema centrale della quinta stagione di GIRLS, quella professionale, relazionale e personale. Il secondo tema, connesso al primo, è la ricerca.
Questo articolo contiene SPOILER sulla quinta stagione di Girls.
Vediamo i vari personaggi, femminili e maschili, barcamenarsi tra i segnali contrastanti che la società gli lancia, nella quotidianità delle loro vite, tra fiducia e sospetto, tra alleanza e tradimento. Come sempre, questa società tortuosa e incasinata è incarnata dall’immagine sfuggente di New York, emblema a sua volta di tutto l’incasinamento della società occidentale. Credo che Lena Dunham non abbia fatto che crescere come sceneggiatrice e regista di questa salace serie TV, e così con lei il suo personaggio Hannah Horvath (Lena Dunham), che si è fatta strada tra i meandri schizoidi di una città complessa e di altrettanto complesse relazioni d’amicizia e sentimentali, per arrivare a una più matura comprensione di sé. Ultimamente è apparso in rete un articolo che spiega come Hannah sia uno dei personaggi più odiati delle serie TV. Ecco, io non sono tra quelli che odiano Hannah, ma anzi, la amo. E la amo perché condensa in sé tutto quello che siamo e che non vogliamo vedere: narcisismo, egocentrismo, strafottenza, autolesionismo, disfattismo, disillusione, speranza, romanticismo, amore, confusione e isteria. Hannah Horvath è un intreccio di atteggiamenti e comportamenti assolutamente contraddittori ma tutti presenti nella gran parte degli attori sociali di oggi, con cui interagiamo e viviamo. Nelle serie TV siamo abituati, spesso, a vedere personaggi che sono nettamente schierati lungo la linea buoni-cattivi, normali-pazzi, seri-inaffidabili, o maturi-immaturi; GIRLS ci ricorda che la realtà, invece, non è mai così chiara e dicotomica. Accanirsi su un obiettivo per poi capire che abbiamo sbagliato non solo il percorso ma anche lo stesso obiettivo, è storia di tutti i giorni.
L’incoerenza di Hanna Horvath non è schizofrenia o bipolarismo, è la confusione di chi cerca di farsi strada in questa giungla di valori e orientamenti, con i soli propri strumenti, andando per tentativi ed errori. Si dice che la categoria più odiata oggi sia quella dei cosiddetti millennials, ossia i nati tra gli anni ’80 e i 2000. Dovremmo chiederci come mai. Non rappresentano forse il risultato generazionale di chi li ha preceduti? Da quando in qua salta fuori una generazione completamente avulsa dal tessuto storico sociale che l’ha generata? I millennials vengono additati come viziati, egocentrici e narcisisti. Se però si approfondisce la ricerca sociologica che ha portato all’identificazione di questa generazione, si scopre, non senza amarezza, che i suddetti atteggiamenti vengono fuori dalla frustrazione di essere la prima generazione che non riuscirà (perché materialmente impossibilitata) a compiere lo scarto positivo della qualità della propria vita. In poche parole, la tendenza per cui da sempre i figli vivono meglio dei genitori, si sta invertendo. Dite che basti a creare atteggiamenti disfunzionali, rabbia, cinismo, nevrosi e depressione? Alla luce di tutto questo risulta davvero interessante osservare più attentamente le dinamiche (scomposte) tra Hannah e i suoi genitori.
A dimostrazione di come GIRLS sia una serie che scandaglia il sociale, arriva l’episodio sette della quinta stagione, una piccola perla. L’episodio verte sulla ricostruzione, mediante una performance artistica, dell’evento che portò allo stupro e all’uccisione di Kitty Genovese nel 1964. In sostanza Lena Dunham si interroga sull’apatia dell’essere umano, sulla totale assenza di empatia per il prossimo, e per farlo mette in scena uno spettacolo teatrale che prevede gli spettatori nel ruolo di osservatori presenti ma silenziosi e inermi, utilizzando come ambientazione il condominio in cui viveva Kitty Genovese e in cui fu stuprata e uccisa nella quasi totale indifferenza del proprio vicinato. Il sarcasmo della Dunham sta nel ricreare tra gli stessi protagonisti, come in un gioco di matrioske, la medesima apatia che connotò decenni addietro i vicini di Genovese. Nessuno infatti, a parte Ray (Alex Karpovsky), appare realmente interessato alla performance artistica; si preferisce vomitare sull’altro i propri problemi sentimentali e relazionali, piuttosto che provare a guardare e sentire gli attori e la ricostruzione di un fatto gravissimo, che addirittura oggi dà il nome a una vera e propria sindrome. Come sempre, tuttavia, Hannah ci spiazza portando alla luce ragionamenti profondi germogliati in mezzo a una logorrea narcisistica. Ed è così, che, blaterando, avanza l’ipotesi per cui la performance non abbia ad oggetto Kitty, ma i suoi vicini e la loro indifferenza nei suoi confronti, indifferenza forse corroborata dalla consapevolezza che Kitty Genovese fosse lesbica. “Un’altra donna ritenuta inaccettabile dalla società e lasciata morire per i suoi peccati”, suppone Hannah. Il momento più alto dell’episodio, arriva quasi alla fine, quando tutta la profondità caustica di Ray esce fuori e dà fondo alla propria teoria per cui decenni di simil-progresso ed evoluzione nel nostro modo di pensare sono, invero, posticci, gusci vuoti, e che l’indifferenza continua a connotare l’essere umano, minacciandolo (… allo stesso modo dei poster “Keep Calm and Carry On” e della gente che intende avere più di un figlio, aggiunge Ray. Ma quella è tutta un’altra storia). Hannah propone un’altra visione, opposta, e cioè quella secondo cui l’apatia non possa essere definita tale se ciò che andava visto, denunciato e cambiato fosse stato invisibile ai più, come se l’umanità tutta fosse stata un osservatore silenzioso, un testimone di qualcosa di inspiegabile e di cui non si sapeva nulla. E ci lasciano così, sospesi tra questi due interrogativi, per tornare poi alle proprie quotidiane vicende di sopravvivenza.
Il finale di stagione, poi, è un’altra chicca. Per tutta la quinta stagione, infatti, si crea una sottile tensione che fa immaginare allo spettatore la terribile reazione che seguirà la scoperta di Hannah circa la relazione amorosa tra Jessa (Jemima Kirke) e Adam (Adam Driver). Questa reazione, tuttavia, non arriverà mai, montando invece nell’inconscio di Jessa e Adam e innescando un’escandescenza “per procura”. Non sarà Hannah a provocare la prossima crisi nucleare, faranno tutto da soli. Perché, dopotutto, ognuno è padrone e autore della propria vita, sebbene contrattata costantemente con chi ci sta accanto. Ancora una volta la stagione si chiude con uno scacco matto di Hannah, una crescita che però questa volta non implica il supporto di qualcun altro, fidanzato o amico che sia. Questa volta Hannah rimane Hannah e sceglie la sua versione più stabile, riuscendo a sentirsi libera, almeno per una sera. E dello stesso nodo, in fondo, si tratta per tutti gli altri personaggi che oscillano costantemente tra la ricerca di una tana e l’inseguimento della libertà. Per arrivare a capire, poi, che in fin dei conti nessuno è mai veramente libero, in quanto essere umano e quindi sociale, e che l’idea assoluta e perfetta di benessere e felicità non esistono, ma esistono i tentativi, gli aggiustamenti, i compromessi. Come dice Jonathan Franzen, che di Libertà se ne intende, “esiste una specie di felicità nell’infelicità, dopotutto, se si tratta dell’infelicità giusta”.
Valeria Susini
Lola23
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