Gomorra – La Serie è stato l’ago della bilancia nella mia personale considerazione del panorama delle serie italiane (per quante possano essercene). Il lavoro fatto bene paga. Tre anni di lavorazione per la prima stagione, uno script formidabile, uno scrittore geniale alle spalle (Roberto Saviano), registi ottimi (Sollima, Comencini e Cupellini), cast e recitazione da Hollywood e una tematica di fortissima attualità. Cosa volere di più?
E, attenzione, non è una serie adatta solo a chi ama “il genere”. A mio modestissimo parere la serie Gomorra dovrebbe essere vista da ogni italiano, dal settentrione al meridione, perché racconta il nostro codice genetico, la pasta di cui siamo fatti e i mali di cui moriamo, ogni giorno, ovunque. Vedere Gomorra è come osservare direttamente il nucleo incandescente della materia che ci ha creati in quanto italiani. E, a scanso di equivoci, con questo non voglio dire che siamo tutti delinquenti o camorristi o malandrini. Voglio dire, però, che lo spaccio delle droghe che uccidono i nostri figli e i nostri amici, lo smaltimento abusivo dei rifiuti tossici, la contraffazione dei prodotti made in Italy eccetera eccetera, possono essere raggruppati tutti sotto un unico nome: cancro. Un cancro che uccide l’Italia quotidianamente con le sue metastasi pervasive e che si alimenta di connivenza e omertà. Il girarsi da un’altra parte, il credersi “lontani” dalle problematiche di Scampia (per fare solo un esempio) è pura illusione, per non dire ignoranza.
I veleni che avvizziscono ogni molecola di ciò che mangiamo e respiriamo, da lì vengono. La cocaina che riempie i nasi degli autisti dei camion, delle maestre d’asilo, dei nostri figli, mariti o compagni, dei nostri genitori, da lì vengono. E quando dico “da lì”, intendo da quel marciume che nasce a Scampia a Napoli, come a Librino a Catania, come a San Basilio a Roma, e via dicendo. Perché quello che ci racconta Gomorra è uno degli esempi di export italiano meglio riuscito: è un modello perfettamente attecchito in tutta Italia (e all’estero), soprattutto dove girano i soldi. E se vuoi dirti italiano, devi sapere dove ti muovi, devi conoscere chi ti sta accanto, guardare dove fa male. La speranza è sempre la stessa: conosce ed emendarsi, o per lo meno provarci. Anche se ci sono territori che sembra siano stati scordati pure da Dio. Perciò sì, Gomorra è informativa ed educativa, per rispondere a chi ha parlato di mitizzazione del modello criminale… Vedi Gubitosi, accidentalmente anche presidente della rete radio-televisiva pubblica italiana. Gomorra è etnologia, antropologia, sociologia.
Ovviamente in Gomorra le logiche della serie TV sono pienamente rispettate (e per fortuna!), al pari di qualsiasi ottimo prodotto hollywoodiano, e quindi lo spettatore inevitabilmente si troverà a parteggiare per l’uno o per l’altro personaggio, sebbene “cattivo”. Marco D’Amore, per esempio, impersona Ciro, l’eroe di Gomorra, che si fa strada tra le logiche vetuste della vecchia guardia del clan Savastano e le acerbe ambizioni del figlio e successore di Don Pietro Savastano, Genny Savastano (Salvatore Esposito). Ma sebbene facilmente si finirà per parteggiare per Ciro, ciò non significa che lo spettatore premi moralmente quel tipo di soggetto o i suoi modelli comportamentali. E questo non dovrebbe essere nemmeno necessario spiegarlo… se non fossimo in Italia.
Negli States, l’anti eroe per eccellenza, Walter White, star di Breaking Bad, è un professore di chimica che, scioccato dalla sentenza di morte a seguito di un cancro letale ai polmoni, si mette a produrre una qualità eccellente di metanfetamine per lasciare la propria famiglia in una situazione economica inattaccabile. Non per questo, mi pare evidente, la gente si è messa a spacciare dal giorno dopo la sua messa in onda! Per quanto mi riguarda, l’intera visione di Gomorra, è stata accompagnata, oltre che da una profonda ammirazione per il lavoro fatto, da uno sgomento, anzi uno schifo intimo e inestirpabile per l’oggetto del racconto, ossia la realtà dei fatti.
Lo spettatore maturo e consapevole distingue la fiction dalla realtà, il problema è che ciò non ce lo si aspetta dallo spettatore italiano. A torto, come dimostrano i dati dell’audience. L’ultimo episodio di Gomorra, in diretta, è stato visto in media da 875 mila spettatori, raggiungendo il 3% dello share. Forse che gli italiani fossero stufi marci di Don Mattei e Montalbani vari, delle recitazioni ben al di sotto del limite del significato stesso del termine, della fotografia smarmellata, dei copioni osceni, delle storie sterili e inutili? Certamente parte del target era diverso, è ovvio, ma si deve anche aggiungere che è stata premiata la qualità e che la serie è stata capace di attirare nuovamente in patria gli esuli della televisione italiana, quelli (come noi) approdati alle serie straniere in lingua originale e a cui l’italiano sul piccolo schermo ormai metteva solo i brividi.
In Gomorra tutto è curato nel dettaglio: la fotografia è veramente eccelsa e ben fatta, bella colonna sonora, attori magistrali, trama avvincente, ma soprattutto tanta attinenza ai giorni d’oggi. Nonostante sia tratta dal libro di Roberto Saviano, ormai noto ai più, e sia stata preceduta dal film di Matteo Garrone, la serie si presenta con un intreccio nuovo che tiene letteralmente avvinghiato lo spettatore allo schermo, con dei cliffhanger perfetti.
Il 6 agosto Gomorra è sbarcata in Inghilterra, riscontrando entusiasmo e ottime critiche da mostri sacri del giornalismo come il Daily Telegraph, The Indipendent, che descrive i personaggi di Gomorra come in perfetto stile Tarantino, e il Guardian che addirittura paragona la serie a The Wire, il capolavoro realista di David Simon che narra la criminalità organizzata di Baltimora.
Personalmente sono troppo legata a The Wire per paragonarlo ad alcunché, ma ammetto che il paragone è calzante in primis per il realismo su cui sono imperniate entrambe le serie. Roberto Saviano è un napoletano che ha scritto la non-fiction Gomorra come testimone di prima mano degli eventi narrati; David Simon è un giornalista che ha passato anni a Baltimora, per le strade, confondendosi con la gente, gli spacciatori e i criminali, per prendere nota e realizzare il libro (poi miniserie) The Corner e poi The Wire. La stampa estera, infatti, relativamente a Gomorra parla di neo-neorealismo. Gomorra è cronaca trasformata in arte.
Insomma siamo di fronte a un prodotto che risveglia l’intelletto e tira su il morale, perché, insieme a pochi altri prodotti, afferma che anche in Italia si può fare della buona televisione.
La serie è stata rinnovata per una seconda stagione, dopo aver chiuso la prima con un cliffhanger da paura.
E voi che ne pensate? Siete scettici (come lo ero io in principio), visto il “made in Italy”? Le avete dato una chance, o avete intenzione di dargliela? Diteci la vostra!
PS: esistono due versioni, una sottotitolata e una non. Il dialetto non è stretto come quello del film, quindi si può guardare anche senza sottotitoli. Dipende, ovviamente, dalla familiarità con il dialetto campano.
Vi lascio con lo speciale Sky con Roberto Saviano che commenta la serie Gomorra. Buona visione!
Valeria Susini
Lola23
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