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Show Me a Hero: un romanzo americano

Show Me a Hero è una miniserie a sfondo politico sulle implicazioni politiche e sociali di un progetto di edilizia popolare in una città dello stato di New York negli anni Ottanta. Una sinossi del genere non è garantito che riesca a catturare l’attenzione degli spettatori. Poi leggi il marchio HBO e allora un certo interesse comincia a insinuarsi tra le sinapsi. Una volta che si arriva a “creato da David Simon” allora tutta l’opera assume un significato che trascende lo strumento narrativo della produzione seriale e si trasforma in saggio storico, in indagine sociologica. Come già era accaduto con i precedenti prodotti dell’ex reporter del Baltimore Sun, non siamo di fronte a un prodotto adatto al consumo di massa. Di The Wire si è sempre detto che fosse la miglior serie di sempre mai vista durante il periodo in cui veniva trasmessa. Show Me a Hero, pur non avendo la portata onnicomprensiva di The Wire, non manca certamente di ambizione, e nei sei episodi trasmessi ci guida attraverso i conflitti politici e razziali di una certa parte di America, ricordando ai suoi contemporanei quanto allora la totale integrazione fosse ancora molto distante e forse quanto lo sia ancora oggi.

LA TRAMA

La miniserie scritta da David Simon e dal giornalista William F. Zorzi e diretta dal premio Oscar Paul Haggis (Crash) è tratta dal libro del 1999 di Lisa Belkin, firma del New York Times, che racconta nel dettaglio il conflitto prima politico e poi sociale interno all’amministrazione e alla cittadinanza di Yonkers, grosso centro nel sud-ovest dello stato di New York. Nick Wasicsko (Oscar Isaac) è un giovane consigliere comunale eletto tra le fila del partito democratico che intravede l’opportunità di insidiare il sindaco attualmente in carica, il veterano Angelo Martinelli (Jim Belushi). Nick, spinto da un misto di irruenza giovanile e opportunismo, riesce a imporsi sfruttando l’opposizione popolare ad un provvedimento di un tribunale newyorkese che obbligava la città di Yonkers a costruire almeno 200 unità abitative per persone dal basso reddito in zone più affluenti. In sostanza si trattava di un provvedimento di desegregazione della minoranza di colore, concentrata in blocchi di edilizia popolare affetti dalla piaga della criminalità giovanile e dello spaccio di droga. La corte, presieduta dal giudice Sand, puntava a spingere la causa dell’integrazione razziale attraverso lo strumento dell’urbanistica sociale. Hank Spallone (Alfred Molina), esponente dello stesso partito democratico, è il più feroce oppositore della misura mentre Mary Dorman (Catherine Keener) è tra le fila dei cittadini che vi si oppongono con maggior vigore. Parallelamente alle vicende che avvengono nelle aule di tribunale e del municipio, la miniserie racconta la vita quotidiana di quattro donne di colore, nate e cresciute nei vari ghetti di Yonkers, chiamati quasi beffardamente “projects” (progetti). Doreen Henderson, Miss Norma, Carmen Febles e Billie Rowan ci mostrano le difficoltà di essere donne e madri in situazioni di povertà e con la sempre presente tentazione della droga e della criminalità; ci raccontano la distanza di uno stato avvertito come inesistente o addirittura nemico. Nel corso dei sei episodi della miniserie questi due fili conduttori viaggiano su due corse apparentemente separate, ma come accade spesso nelle opere di David Simon raccontano due facce di una stessa medaglia.

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David Simon

SHOW ME A HERO: NICK WASICSKO

I primi episodi si concentrano più sulle vicende di Nick Wasicsko e dell’amministrazione di Yonkers alle prese con la lotta portata avanti dal NAACP (“National Association for the Advancement of Colored People”, un istituto per l’emancipazione delle persone di colore) guidata dall’avvocato di origine ebrea Sussman (Jon Bernthal) e con l’opposizione popolare e politica guidata da Hank Spallone. Si tratta di introdurre la tematica agli occhi dello telespettatore, che si presume non sia a conoscenza del contesto storico della vicenda. In questo modo veniamo a conoscere meglio la figura di Nick Wasicsko. Nick è giovane, irruento, romantico, idealista e allo stesso tempo capace di navigare con abilità la politica locale di Yonkers, governata dal clientelismo e da un flebile senso di appartenenza politica. Con il passare del tempo però cominciano ad affiorare l’esasperato narcisismo, l’insicurezza paralizzante, la necessità di una costante approvazione da parte dei suoi pari e addirittura dei suoi familiari. Osserviamo un uomo capace di capire che la battaglia intrapresa per motivi di opportunismo è una giusta battaglia, ma che fa dell’orgoglio la più grande forza e allo stesso tempo debolezza. Nick Wasicsko incarna la figura dell’uomo politico moderno, in cui la forza delle idee è sostenuta dall’altrettanto potente narrativa autoimposta per cui il politico non agisce mai per se stesso ma per la società civile, alimentando così la consapevolezza di sè e della propria importanza.

Show me a hero and I’ll write you a tragedy

Questa citazione è forse la frase simbolo dell’intera miniserie. Ci pone di fronte ad un uomo, Wasicsko, incapace di accettare la sconfitta e la successiva caduta nell’oblio dei politici bolliti. La scena in cui Nick trascina la moglie Nay (Carla Quevedo) a tarda sera tra le poche unità abitative che il comune è riuscito a costruire grazie ai suoi sforzi politici a domandare alle famiglie residenti come si trovano, ricevendo in risposta solo sguardi sospettosi e ben poche parole di conforto, fa capire in che spirale di insicurezza sia piombato il nostro protagonista. Come accade (in contesti ben diversi) ai veterani di guerra, Nick non riesce ad adattarsi alla sua nuova esistenza lontana dai riflettori della politica e perde qualsiasi senso di identità e di scopo. Se la tragedia di cui si parla nella citazione si riferisce alle disavventure politiche incontrate da Nick nella sua battaglia per la costruzione delle 200 unità abitative, la vera tragedia risiede nei problemi e nei difetti di un uomo che prima di essere un politico è un essere umano, sprovvisto dell’attrezzatura necessaria ad affrontare le durezze della carriera politica.

LE DONNE DI DAVID SIMON

show me a heroCome è già accaduto nelle serie che hanno preceduto questa miniserie, Simon ama affiancare alle storyline più tradizionali (come quella di Nick e del comune di Yonkers), vicende più intime e personali. La trama che coinvolge Wasicsko è la fase distruttiva della miniserie, nella quale l’autore racconta il marciume dell’America, mentre i racconti che coinvolgono Mary Dorman, Norma O’Neal, Carmen Febles, Billie Rowan e Doreen Henderson rappresentano la fase costruttiva, nella quale i personaggi – e con loro David Simon – ci presentano le possibili alternative a un modello che fino ad allora aveva solo portato ingiustizia e intolleranza. All’inizio si fa fatica ad empatizzare con questi personaggi. Lo stesso mi era accaduto con i ragazzi dei “projects” di Baltimore o con alcuni personaggi dei quartieri popolari di New Orleans. Ma con il passare del tempo ci si rende conto che i veri protagonisti delle opere di David Simon non sono i Jimmy McNulty o Nick Wasicsko della situazione, ma sono le varie Miss Ladonna e Carmen Febles che popolano le sue serie. La parabola di queste donne non diventa mai didascalica, non si trasforma nella classica parabola della ragazza difficoltosa che trova redenzione nella maternità, o in quella dell’anziana disabile che si rifiuta di ricevere l’elemosina dello Stato. Le donne di David Simon sono personaggi sfaccettati, ricchi di difetti e idiosincrasie e proprio per questo portatori dell’umanità più vera, quella che ci colpisce nel profondo. Il percorso di Mary Dorman, passata dall’opposizione più intransigente all’attivismo in favore dell’integrazione, fa passare un messaggio diverso da quell0 della semplice tolleranza, ma spinge l’asticella ancora più in alto, in direzione della comprensione di qualcuno che percepiamo come diverso, quasi alieno. In questa miniserie non ci sono buoni o cattivi, ma solo esseri umani, con i loro problemi ed eredità culturali. Nessun provvedimento giuridico o politico può sostituire l’interazione umana come strumento di superamento delle barriere culturali. I personaggi di Peter Smith (interpretato da Terry Kinney, il Tim McManus di OZ) e di Robert Mayhawk (interpretato da Clarke Peters, veterano delle serie di Simon) fungono da intermediari tra il ruolo delle istituzioni cittadine e quello della cittadinanza, trovando un terreno comune per il negoziato culturale tra due comunità che si erano (e in parte ancora oggi) sempre viste come estranee.

IL CAST

A mio avviso l’interpretazione più memorabile è quella di Oscar Isaac, davvero abile nel mostrarci i vari aspetti di una personalità complessa come quella di Nick Wasicsko. Ma non dobbiamo scordare Ilfenesh Hadera, LaTanya Richardson-Jackson, Natalie Paul e Dominique Fishback, le quattro attrici di colore, praticamente sconosciute fino ad oggi e capaci di offrire interpretazioni tanto sincere da essere quasi dolorose. Notevole anche il lavoro svolto da Wynona Ryder, bravissima nell’interpretare Vinnie Restiano, alleata politica, bussola morale e specchio della personalità di Nick. Infine, voglio ricordare l’interpretazione da parte di Peter Riegert di Oscar Newman, celebre architetto e urbanista responsabile della teoria dello spazio difendibile, strumento fondamentale nel processo di integrazione delle minoranze nel tessuto urbano delle città americane.

CONCLUSIONI

Le opere di David Simon hanno il potere di scaturire nello spettatore considerazioni diverse rispetto a quelle più canoniche che in genere seguono la visione di una serie televisiva. Chi vive e chi muore, chi va in prigione e chi invece riesce a scamparla fanno parte di discorsi di secondo piano. Le emozioni e le riflessioni legate alle vicende dei personaggi si prendono la maggior parte della gloria, ricordandoci che la narrazione televisiva non è solo fuga dalla realtà, ma che può anche essere uno strumento di maggiore connessione a questa stessa realtà. È impossibile valutare la miniserie senza prendere in considerazione anche solo in minima parte i lavori precedenti di David Simon. Le tematiche, la struttura, le tipologie di personaggi lasciano trasparire uno schema narrativo e un obiettivo comune. Per questo motivo mi piace pensare a Show Me a Hero non come una semplice miniserie ma come un capitolo nel più vasto progetto letterario/televisivo di David Simon che ci ha portato prima a Baltimore, poi a New Orleans e ad esso nella grande periferia industriale americana. Il vero Grande Romanzo Americano.

Fateci sapere che ne pensate nella sezione commenti. Nel frattempo ecco a voi il trailer della miniserie.

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talpa10

29 anni, blogger su itasa dall'estate 2014 con una predilezione per i series finale. Sono sempre stato un fedele suddito di HBO ma negli ultimi anni ho trovato rifugio sicuro tra le braccia di FX. Nick Miller e Ron Swanson i miei spiriti guida
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