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The Leftovers – L’Uomo e l’inesplicabile

Il 14 ottobre 2011 svanisce nel nulla il 2% della popolazione mondiale, senza alcuna ragione apparente, senza lasciare traccia.

Questo articolo NON contiene spoiler

La premessa di The Leftovers è questa, ma da subito, come ci dice lo stesso titolo, la serie si incentra sulle vicende di chi resta, o meglio sui loro tentativi di mettere a punto differenti strategie per elaborare e accettare ciò che è successo.

The Leftovers_Season2Sin dal promo ho avuto un rapporto conflittuale con questa serie, che però, ve lo dico subito, si è dissolto già a metà della prima stagione, dove i personaggi rivelano tutto il loro potenziale narrativo. Inizialmente non sapevo decidermi se fosse una super americanata o se fosse invece una serie dannatamente profonda. Ma non riuscivo a rinunciarci, dovevo andare avanti, c’era qualcosa che mi spingeva a darle più che una chance. Dalla seconda stagione in poi la narrazione si impreziosisce, raggiunge nuove vette di maturità, si amplia e ci fa intravedere il suo scopo. Sembra divergere dai temi iniziali come anche dai personaggi principali, salvo poi ricondurci alle questioni di fondo già sollevate nella prima stagione e che verranno poi approfondite con grande maestria.

C’è da dire che in più di qualche momento, soprattutto nella prima stagione, i creatori hanno assunto il rischio di cadere nel ridicolo, pur di esplicitare ciò che spesso viene relegato nell’ampio universo dell’indicibile. A proposito, i creatori di questa serie sono Damon Lindelof, già co-creatore Lost, e Tom Perrotta, l’autore del romanzo da cui prende spunto la serie.

Nora Durst

The Leftovers è una narrazione sull’elaborazione del lutto in assenza, però, della grande componente del lutto, ossia la morte. Ed è questo che spiazza tanto i personaggi quanto gli spettatori; poiché in noi manca un’alfabetizzazione a tale tipo di evento: la perdita senza la morte, la mancanza senza l’addio. L’addio a un defunto, infatti, in qualunque parte del mondo viene “ufficializzato”, e quindi metabolizzato, attraverso un rito che solitamente è quello del funerale. Le esequie funebri sono un passo assolutamente necessario per incastonare la perdita di una persona in un ordine logico delle cose. Dunque, l’impossibilità di affrontare tale passo può generare spaesamento, depressione, malinconia, ottundimento, finanche la follia.

Tornando all’indicibile, è proprio questo che tratta la serie: l’inesprimibile, ciò che non trova senso, ragione e soprattutto pace. Quello di The Leftovers è uno sforzo costante di tradurre in immagini e senso ciò che senso non ha. Ed è imboccando questa strada che la serie tocca i tasti più reconditi dell’animo umano come la solitudine, la maternità, la nascita, il sesso, l’amore coniugale, la fertilità, la genitorialità, la malattia, la collettività, la violenza, l’egoismo e l’altruismo. Questo mix di archetipi e tematiche esistenziali viene reso tramite un montaggio che ci propone scene quasi pittoriche, che ricordano, nella loro necessaria trasposizione televisiva, quei dipinti antichi che con tanto vigore e passione ritraggono la pietà di una donna con in braccio il figlio morto, i cataclismi, le pestilenze, le fughe di massa. E tutto questo è reso possibile da un cast che interpreta precisamente quello che sembra essere l’intento padre di Lindelof e Perrotta. L’intensità che ci restituisce la serie si deve ai silenzi eloquenti scolpiti negli occhi di Amy Brenneman nei panni di Laurie Garvey; all’impalpabilità delle intenzioni di Megan Abbott interpretata da Liv Tyler; all’altalena tra eroismo e schizofrenia di Kevin Garvey portato in vita da Justin Theroux; all’indecifrabile pragmatismo di Nora Durst impersonata da Carrie Coon. E naturalmente anche la colonna sonora ha un peso decisivo nella resa emotiva di entrambe le stagioni.

C’è qualcosa di biblico in questa serie che è quel quid che avvince, non permette di distrarsi, di abbandonarla, e costringe ad arrivare fino in fondo. Ma è un percorso difficile, perché anche se non si riesce bene a spiegare il perché, ogni episodio è doloroso, è come un travaglio che attraverso momenti forti e durissimi ci vuole e ci deve condurre alla nascita di una consapevolezza. C’è un’altalena costante tra dolore e allucinazione.

Kevin_ The LeftoversCredo che The Leftovers sia un progetto molto articolato, quasi rizomatico, che impiegherà tempo e spazio per riuscire a spiegare ciò che cerca, giungendo possibilmente a qualcosa che nemmeno era stato pensato in partenza. Non aspettiamoci una soluzione del “mistero”, e non lasciamoci ingannare da quale sia, poi, questo mistero. L’oggetto magico di questa narrazione seriale, che tanto attinge dalla mitologia classica e dalla struttura della fiaba, cioè la soluzione a cui ambire per comprendere l’incomprensibile e poter così pacificarsi, non è la soluzione dell’arcano, bensì la resilienza. Ossia la capacità di far fronte collettivamente a un trauma devastante, di raccogliere i cocci, di far leva ognuno sulla spalla dell’altro e riuscire ad andare avanti e a non perire. Ma si sa che di fronte a tragedie di questo calibro, c’è sempre chi resta indietro, chi non ce la fa, chi non può tornare a vedere con gli occhi di sempre, non meno che dopo una guerra.

The Leftovers mi sembra, almeno per il momento, una serie speculativa, una ricerca nella sterminata enciclopedia delle reazioni umane. È come se interpellasse continuamente lo spettatore su quale potrebbero essere le sue reazioni a un simile evento, su quale tipo di superiorità morale potrebbe vantare di fronte a comportamenti e azioni che dalla prospettiva di una comoda poltrona possono sembrare ingiustificabili, amorali e inumani… Ma se venissimo coinvolti in prima persona?

The Leftovers_ Megan AbbottD’altra parte la serie non è solo una narrazione distopica, ma purtroppo prende le mosse anche da veri eventi traumatici che hanno colpito l’immaginario del mondo, soprattutto di quello occidentale; come l’11 settembre, le sparatorie nelle scuole, i cataclismi annientatori. Questi ultimi, sono eventi che tutt’oggi restano senza spiegazione, miglia e miglia lontani da qualsivoglia barlume di razionalità e bollono ancora in pentola, possono dirsi tutt’altro che sedimentati nella nostra coscienza storica. Tutt’oggi ci domandiamo, al di là di qualsiasi ricostruzione storica, il perché dell’Olocausto, il perché dei disastri di massa, il perché anche di una tanto anonima quanto intima morte di un familiare.

Per usare un’espressione della critica Emily Nussbaum, “La scomparsa è una semplice ma efficace metafora; nel mondo reale, dopotutto, la più ordinaria delle morti viene vissuta come inspiegabile”.

La figura dei Guilty Remnant, una setta nata dopo il 14 ottobre in apparenza oppositiva a qualsiasi forma di ripresa, è di fortissimo impatto e rimanda alla memoria immagini sinistre, anche storiche e/o attuali, di carnefici e cattivi, che però a ben vedere poi forse non lo sono, o non del tutto. Sono vestiti di bianco, hanno smesso di parlare e fumano. Il fumo è una forma di autofustigazione, un lento suicidio poiché si considerano non meritevoli di essere rimasti. I Guilty Remnant sono l’emblema e la personificazione dell’insolubilità e del cortocircuito mentale che deriva da una tragedia collettiva: sono vivi ma non possono vivere. E non permettono agli altri di vivere e andare avanti, perché semplicemente non si può dimenticare. E allora? Qual è la soluzione? Morire tutti? Dimenticare? Vivere come se niente fosse? Cercare una spiegazione eternamente?

Guilty Remnant_The LeftoversBellissimo, poi, vedere come questa forma di sofferenza estrema e inappagabile sfoci nel fondamentalismo. The Leftovers ci sommerge di domande, ma non è avara di risposte, che però ognuno deve coltivare internamente calibrandole con la propria intimità e il proprio vissuto.

È una serie molto fragile, perché rischia di cadere nei luoghi comuni, nella banalità. Ma fino a ora si è dimostrata un prodotto culturale di grande valore. E il suo segreto è dire e non dire, lasciar trapelare e subito mistificare. Per usare ancora una volta le parole di Emily Nussbaum, in The Leftovers troviamo “il simbolo che riecheggia i suoi segreti ma si rifiuta di rivelarli”. Non è una serie rivelatrice, ma più che altro stimolante e interrogativa. Provoca scossoni, tocca punti che inevitabilmente si traducono in lacrime, è intensa, cupa, a tratti profondamente buia. Ma d’altronde, si sa, se si parla dell’essere umano si dovrà fare i conti più con le tenebre che con la luce.

Valeria Susini

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Lola23

Lunatica, incasinata, perennemente indecisa, una ne faccio e mille ne penso. Quattro elementi chiave della mia vita: Famiglia, Mare, Etna, Scrittura. Le serie TV sono il Quinto Elemento, una vera e propria dipendenza, meglio farsene una ragione. Le mie preferite? Non chiedetemelo! Vabbè, ve ne dico 3: Six Feet Under, The Wire, Treme... Mad Men! Ah sono 4... Ve l'ho già detto che non so decidere?
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